CITTA’ DEL VATICANO, mercoledì, 9 giugno 2010 (ZENIT.org).- Per rendere la Chiesa “più attrattiva”, il primo passo non deve essere cambiarla, ma iniziare a modificare il proprio cuore.
Lo ha affermato il Cardinale Joachim Meisner, Arcivescovo di Colonia (Germania), questo mercoledì mattina nella Basilica romana di San Paolo fuori le Mura nella meditazione che ha offerto prima della celebrazione eucaristica presieduta dal Cardinale Cláudio Hummes, prefetto della Congregazione per il Clero, in occasione della chiusura dell’Anno Sacerdotale.
Come la Chiesa è la “Ecclesia semper reformanda“, ha spiegato il Cardinale Meisner, in essa sia il sacerdote che il Vescovo sono un “semper reformandus” che, come Paolo a Damasco, “devono essere sempre di nuovo gettati a terra da cavallo, per cadere nelle braccia di Dio misericordioso, il quale ci invia poi nel mondo”.
Per questo, “non è sufficiente che nel nostro lavoro pastorale vogliamo apportare correzioni solo alle strutture della nostra Chiesa, per poterla rendere di una evidenza più attrattiva. Non basta! Ciò di cui c’è bisogno è un cambiamento del cuore, del mio cuore”.
“Solo un Paolo convertito ha potuto cambiare il mondo, non già un ingegnere di strutture ecclesiastiche”.
L’importanza della confessione
Il Cardinale Meisner ha quindi riconosciuto che “una delle perdite più tragiche” che la Chiesa ha subito nella seconda metà del XX secolo è “la perdita dello Spirito Santo nel sacramento della riconciliazione”.
La scarsa frequenza a questo sacramento, ha commentato, “è la radice di molti mali nella vita della Chiesa e nella vita del sacerdote”.
“Quando dei fedeli cristiani mi chiedono: ‘Come possiamo aiutare i nostri sacerdoti?’, allora sempre rispondo: ‘Andate a confessarvi da loro!'”, ha aggiunto.
Secondo il porporato, “laddove il sacerdote non è più confessore, diventa operatore sociale religioso” ed “entra in una grave crisi di identità”.
“Un sacerdote che non si trova, con frequenza, sia da un lato che dall’altro della grata del confessionale subisce danni permanenti alla sua anima e alla sua missione”.
“Un confessionale in cui è presente un sacerdote, in una chiesa vuota, è il simbolo più toccante della pazienza di Dio che attende”.
Conferma dell’amore di Dio
Nel confessionale, ha continuato, “il sacerdote può gettare lo sguardo nei cuori di molte persone e da ciò gli derivano impulsi, incoraggiamenti e ispirazioni per la propria sequela di Cristo”.
La confessione, ha osservato il Cardinale, “ci consente l’accesso in una vita dove non si può pensare a nient’altro che a Dio”.
“Andare a confessarsi significa rendere l’amore a Dio un po’ più cordiale, sentirsi dire e sperimentare efficacemente, una volta di più”, “che Dio ci ama”.
“Confessarsi significa ricominciare a credere – e allo stesso tempo a scoprire – che fino a ora non ci siamo mai fidati abbastanza profondamente e che, per questo, si deve chiedere perdono”.
Considerata l’importanza della confessione, il porporato ha confessato che a suo avviso “la maturità spirituale di un candidato al sacerdozio a ricevere l’ordinazione sacerdotale diventa evidente nel fatto che egli riceva regolarmente – almeno nella frequenza di una volta al mese – il sacramento della riconciliazione”.
E’ infatti in questo sacramento che si incontra “il Padre misericordioso con i doni più preziosi che ha da dare, e cioè il donarsi, il perdono e il farci grazia”.
Con la confessione, ha concluso, “si ritorna dentro lo stesso movimento dell’amore di Dio e dell’amore fraterno, nell’unione con Dio e con la Chiesa, dal quale ci aveva escluso il peccato”.
Urgenza missionaria
Nella sua omelia, il Cardinale Hummes ha ricordato che il grande obiettivo dell’Anno Sacerdotale è stato quello di “rinnovare in ognuno dei presbiteri la coscienza e l’attuazione concreta della loro vera identità sacerdotale e della loro spiritualità specifica, per riprendere in forma rinnovata la missione”.
La ripresa e l’approfondimento dell’identità e della spiritualità, ha indicato, “faranno percorrere la strada della continua e rinnovata conversione”, che “renderà il cuore del presbitero aperto ad assumere sempre di nuovo, con coraggio e determinazione, la missione ricevuta dal Signore”.
Il porporato ha quindi invitato i presbiteri ad essere “coscienti dell’attuale urgenza missionaria”.
“Da un lato, la scristianizzazione dei Paesi di antica evangelizzazione, dall’altro, la nuova evangelizzazione che spesso dovrà essere una vera prima evangelizzazione, oltre al primo annunzio di Gesù Cristo nei Paesi e negli ambiti in senso stretto chiamati terre ed ambiti di missione ‘ad gentes’, mostrano l’immensità dell’opera missionaria ancora da svolgere”.
I destinatari della missione, ha aggiunto, “sono tutti, ma in modo particolare i poveri”, “i prediletti di Dio”.
“Sono loro i primi che hanno il diritto di ricevere la buona notizia che Dio è un Padre che li ama senza riserve e che Egli non approva le condizioni disumane in cui i poveri sono mantenuti, ma richiede che anche per loro i diritti umani siano riconosciuti, rispettati e integralmente realizzati in concreto”.
“L’evangelizzazione e la vera promozione umana non possono essere disgiunte”, ha dichiarato il Cardinale.