di Roberta Sciamplicotti
LOURDES, lunedì, 7 giugno 2010 (ZENIT.org).- La Croce è “il ‘sì’ estremo di Dio all’uomo”, ha affermato l’Arcivescovo Vincenzo Pelvi, Ordinario militare per l’Italia, durante il Pellegrinaggio militare internazionale a Lourdes svoltosi dal 21 al 25 maggio con la partecipazione di 12.000 militari provenienti da circa 70 Nazioni. Gli italiani, sempre il gruppo più numeroso, erano 4.000.
Durante la processione mariana del 22 maggio, monsignor Pelvi ha ricordato che “nella morte in Croce si compie quel volgersi di Dio all’uomo per salvarlo con un amore radicale ed eterno, nel quale si manifesta e si comprende anche come debba definirsi l’amore autentico”.
“La croce ci fa giustamente paura, come ha provocato paura e angoscia in Gesù Cristo”, ha ammesso. “Essa però non è negazione della vita, da cui per essere felici occorra sbarazzarsi. È invece il ‘sì’ estremo di Dio all’uomo, l’espressione suprema del suo amore e la fonte della vita piena e perfetta; contiene dunque l’invito più convincente a seguire Cristo sulla via del dono di sé”.
In questo contesto, il presule ha rivolto “un pensiero di speciale affetto alle membra sofferenti del Corpo del Signore”, che “a Lourdes, come ovunque nel mondo, completano quello che manca ai patimenti di Cristo nella propria carne e contribuiscono così nella maniera più efficace alla comune salvezza”.
“Sono i testimoni più convincenti di quella gioia che viene da Dio e che dona la forza di accettare la croce nell’amore e nella perseveranza”, ha dichiarato.
“Anime riparatrici”
L’Ordinario militare ha quindi spiegato che la scelta della fede e della sequela di Cristo “è sempre contrastata e controversa”, perché il credente rimane “segno di contraddizione”.
“Ma non per questo ci perdiamo d’animo. Al contrario, dobbiamo essere sempre pronti a dare risposta a chiunque ci domandi ragione della nostra speranza, con dolcezza e rispetto, con una retta coscienza, con quella forza mite che viene dall’unione con Cristo”.
“Dobbiamo farlo a tutto campo, sul piano del pensiero e dell’azione, dei comportamenti personali e della testimonianza pubblica intenzionati a riparare, come la Vergine, ai peccati, con l’impegno evangelico della riparazione”.
“Diventiamo, con l’aiuto della grazia, anime riparatrici”, ha esortato. “E’ il frutto che chiediamo per la nostra preghiera”.
Nella riparazione, si dà “conforto al Signore, partecipando alla tristezza della Vergine Addolorata per il peccato e l’ingratitudine del mondo che rigetta Colui che è via, verità e vita”.
In questo compito e nell’unione con Cristo, ha ricordato l’Ordinario militare, “ci precede e ci guida la Vergine Maria”.
“Ella sta ancora ai piedi della Croce della nostra umanità sofferente per innalzare il dolore quotidiano nel sacrificio di Gesù, unico ed universale. Maria rimane ai piedi della Croce. Non si lascia sopraffare dal dolore, profondamente radicata nella pace di Gesù”.
Seguire e rimanere
Nell’omelia delle Messe alla Grotta il 22 e il 24 maggio, monsignor Pelvi ha poi commentato che “seguire e rimanere sembrano essere i due verbi della vocazione e della vita cristiana”.
“Se la sequela è una risposta che comporta sacrificio e rinuncia, dimorare con Gesù è il di più dell’amore da offrirgli”. “La sequela è solo l’inizio. Occorre dimorare permanentemente in lui, costi quel che costi”.
Il cristianesimo, infatti, “non è primariamente una morale, ma esperienza di Gesù Cristo, che ci ama personalmente”, “anche quando gli voltiamo le spalle”.
“Si tratta di un incontro esistenziale che invita ad andare con lui, per conoscerlo e testimoniarlo a coloro che non hanno ancora incrociato il suo sguardo”.
L’esistenza cristiana, ha proseguito il presule, “scaturisce da una proposta di benevolenza del Signore e può realizzarsi solo grazie a una risposta d’amore”.
“Gesù invita i suoi discepoli al dono totale della vita, senza calcolo e tornaconto umano, con una fiducia senza riserve in Dio, non mettendo più al centro se stessi, ma scegliendo di andare controcorrente, vivendo secondo il Vangelo. Ciò porta al dono della vita eterna”.
Dio, ha sottolineato l’Ordinario militare, “dona i comandamenti perché vuole educare alla vera libertà e costruire con noi un Regno di amore, di giustizia e di pace. Ascoltarli e metterli in pratica non significa alienarsi, ma trovare il cammino della libertà e dell’amore autentici, perché i comandamenti non limitano la felicità, ma indicano come trovarla”.
“Non abbiate paura – ha esortato -. Il Signore non è un concorrente nella nostra vita, che può toglierci la libertà. Se Dio è grande, anche noi siamo grandi. La nostra vita non viene oppressa, ma elevata e allargata, diventando meravigliosa nello splendore di Dio”.