Zambia, una nazione ufficialmente cristiana

Intervista all’Arcivescovo di Lusaka

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LUSAKA (Zambia), lunedì, 7 giugno 2010 (ZENIT.org).- Sebbene lo Zambia si autodefinisca una nazione cristiana, c’è ancora tanto lavoro da fare perché la fede diventi lo stile di vita dei credenti cattolici, sostiene l’arcivescovo Telesphore Mpundu.

Il prelato di Lusaka ha parlato con il programma televisivo “Where God Weeps”, realizzato da Catholic Radio and Television Network (CRTN), in collaborazione con Aiuto alla Chiesa che soffre. Nell’intervista riflette sul perché sia sbagliato per lo Zambia definirsi a livello ufficiale cristiano e sui motivi di speranza per il Paese.

Eccellenza, nel 1991 l’allora presidente Chiluba ha dichiarato ufficialmente lo Zambia una nazione cristiana e ogni Governo che si è succeduto da allora ha riaffermato la fedeltà a Dio. Si può dire che lo Zambia sia stato particolarmente benedetto da questa fedeltà, da questa generosità, una generosità ufficiale dello Stato a Dio?

Monsignor Mpundu: Non esattamente. Credo che lo Zambia sia un Paese come tutti gli altri nel mondo, amato da Dio, cristiano o non cristiano. Egli non fa distinzioni o discriminazioni. Per quanto riguarda la Chiesa cattolica ufficiale in Zambia, non abbiamo condiviso la dichiarazione di nazione cristiana, al contrario l’abbiamo considerata un’azione avventata.

Ci vuole spiegare meglio perché è stata considerata una dichiarazione fuori luogo?

Monsignor Mpundu: I motivi hanno anzitutto a che vedere con i diritti costituzionali dei cittadini. Se si dichiara un Paese costituzionalmente cristiano, i cittadini non cristiani si trovano in una posizione di svantaggio. Non è necessario approfondire i diversi risvolti di tale dichiarazione.

Nel 1996 la revisione della costituzione ha considerato la dichiarazione dello Zambia come una nazione cristiana nel suo preambolo. Noi ci siamo espressi in senso contrario. Lo Zambia dovrebbe essere uno Stato laico e non una teocrazia. I Governi successivi l’hanno riaffermato a motivo dei propri interessi, sulla base del proprio programma.

Qual è il programma?

Monsignor Mpundu: Il programma, a mio modesto avviso, e credo ad avviso dei vescovi cattolici, è quello di cercare di manipolare i vescovi cattolici, la Chiesa cattolica.

In che modo siete stati manipolati da una dichiarazione di questo tipo?

Monsignor Mpundu: Lasciando intendere di avere un rapporto con le Chiese cristiane e di sostenere le Chiese cristiane, ottenendo così i loro voti, il loro sostegno. Ma noi abbiamo ritenuto che questo non fosse giusto.

Quindi è stato più per motivi politici?

Monsignor Mpundu: Sì, è stata una tattica politica e nel tempo si è dimostrata tale perché purtroppo in questo periodo i governi successivi a quello del presidente Frederick Chiluba hanno assistito all’emergere di molta corruzione. Non è che prima la corruzione non esistesse, ma se lo Stato fosse veramente “cristiano” la corruzione sarebbe diminuita.

Una nazione non è mai cristiana per dichiarazione, presidenziale o ministeriale che sia. È la gente, il suo stile di vita, che la fa cristiana. Per me, per i vescovi cattolici in Zambia e per gran parte dei cattolici, il Paese non è più cristiano o meno cristiano a seguito di una dichiarazione. Quindi è una dichiarazione inutile che non aiuta nessuno. Al contrario, essa mette in cattiva luce il Cristianesimo. “Cesare” vuole essere al contempo prete e papa; per chi ha studiato, nella storia della Chiesa, nella storia della religione, soprattutto della religione giudaico cristiana, i profeti, sacerdoti e re finiscono per essere più re che profeti o sacerdoti.

La situazione del Paese, come abbiamo detto, non è stata particolarmente benedetta: il 51% della popolazione vive con meno di un dollaro al giorno, facendo dello Zambia uno dei Paesi più poveri al mondo. Qual è il motivo, visto che lo Zambia è ricco in risorse naturali e rientra nella “cintura del rame”? Perché lo Zambia è rimasto indietro economicamente?

Monsignor Mpundu: La ringrazio per aver sollevato la questione. Anzitutto lei è molto generoso: a percentuale dei poveri non è il 51%, ma l’80% – una stima ancora per difetto –. Io direi che l’85% della gente in Zambia vive al di sotto della soglia di povertà.

Perché? Lo accennava lei stesso. Non è per mancanza di risorse. Le risorse naturali in Zambia ci sono, ma negli ultimi quattro decenni, all’incirca, purtroppo, sebbene abbiamo compiuto dei progressi, non siamo cresciuti a sufficienza da trarre beneficio per la popolazione. La maggioranza della gente si trova oggi ad essere più povera di come lo era negli anni ’60 e lo dico perché in quegli anni io c’ero.

Uno dei motivi è la mancanza di priorità adeguate, priorità dei dirigenti politici. Per esempio l’istruzione. L’istruzione è la chiave dello sviluppo. Subito dopo l’indipendenza era stata data priorità all’istruzione, ma si puntava più alla quantità: “più è meglio”. Ma avere più studenti a scuola, non significa migliorare la qualità dell’istruzione, e purtroppo questo è stato il caso.

Per quanto riguarda le risorse naturali, sì, il rame ne fa parte, ma purtroppo il rame è stata per noi anche una maledizione. I politici della prima generazione ci hanno insegnato, dopo gli inglesi, che noi zambiani siamo fortunati ad essere nati con il “cucchiaio di rame” in bocca. Così si diceva e io l’ho sentito, non mi è stato raccontato, ma l’ho sentito personalmente, e a causa di questo la nostra economia in Zambia è stata un’economia monoproduttiva basata unicamente sul rame.

Senza aver sviluppato alcun altro settore?

Monsignor Mpundu: Non si è fatto abbastanza per diversificare l’economia. Si poteva sviluppare il comparto agricolo, per esempio, o quello manifatturiero. Abbiamo avuto tre o quattro programmi con l’obiettivo di rendere l’agricoltura un pilastro della nostra economia, ma nulla di concreto è stato fatto. Uno di questi, ai tempi di Kenneth Kaunda, era definito “Riforma agraria”, l’altro “Rivoluzione verde”. Poi è venuto “Operazione produzione cibo” e poi “Ritorno alla terra”.

Questi programmi non erano stati elaborati in modo adeguato, né avevano risorse sufficienti a disposizione. Quindi, alla fine, la gente non si è mai sentita pronta ad impegnarsi nell’agricoltura come in un’attività economicamente sfruttabile. L’agricoltura non si è sviluppata, sebbene nel Paese abbiamo terra arabile in abbondanza. Dei 12 milioni di abitanti, circa 5 milioni vivono nelle città. Il resto vive nelle zone rurali di un Paese che è più grande del Kenya.

Lo Zambia ha il tasso di urbanizzazione più alto in Africa?

Monsignor Mpundu: Sì, effettivamente risulta che lo Zambia, con più del 45%, forse 46%, della popolazion che abita nelle città o zone urbane, è uno dei Paesi, se non il Paese, maggiormente urbanizzato dell’Africa.

Nel contesto africano lo Zambia sta economicamente bene. Avete un tasso di inflazione a cifra singola. Avete indicatori macroeconomici positivi. Avete investimenti dall’estero. L’inflazione è bassa. Stiamo parlando di un Paese che economicamente – almeno sulla carta – sta bene, ma come è emerso dalla nostra conversazione e come risulta da altre fonti, il malcontento per la povertà è in aumento. Perché questa contraddizione? Dov’è il problema?

Monsignor Mpundu: Mi consenta di chiarire. Anzitutto, la mia valutazione riguardava il secondo mandato dell’ex presidente Mwanawasa. Vi è stata una forte crescita di fiducia, di fiducia degli investitori, grazie al suo impegno diretto almeno a ridurre la corruzione.

Purtroppo questa “iniezione” di investimenti nella nostra economia rischiava di tornare al punto di partenza. Questa è la mia valutazione personale. Perché venivano aperte altre miniere, soprattutto di rame. Ci veniva prospettata una seconda “cintura del rame”. L’atti
vità di estrazione del rame dura da 67 anni nel nostro Paese, in quella che abbiamo chiamato la provincia della “cintura del rame”.

Ma sotto Mwanawasa si stava per creare una seconda cintura del rame nella provincia nord-occidentale dello Solwezi. Il rischio era di tornare al punto di partenza. È noto quanto sia volatile il prezzo del rame. Dal 1973, con l’embargo delle nazioni – soprattutto arabe – petrolifere, la produzione di rame era diventata molto costosa e i prezzi erano scesi. Da allora non ci siamo mai più ripresi. Stavamo per tornare alla stessa crisi.

A breve termine si promettevano molti benefici, come quelli degli investimenti cinesi con cui si sarebbero aperte queste nuove miniere. Poi è arrivata la crisi economica mondiale. Ora, mentre parliamo, si stanno operando molti licenziamenti nel settore del rame. E adesso si è ridotta la portata di quelle miniere che saranno aperte. Vi sono licenziamenti ovunque a causa del rallentamento nella produzione del rame.

Si parla della disoccupazione negli Stati Uniti e dell’impatto sulla Cina, ma non si dice che l’Africa è il continente che sta soffrendo di più a causa di questa crisi economica.

Monsignor Mpundu: È vero. Quando si contano 5.000 licenziamenti ogni settimana nelle miniere in Zambia, si tratta di cifre ben superiori a quella di 1 milione negli Stati Uniti per via della diversa proporzione. Ma questo sta avvenendo negli ultimi due o tre mesi, e nessuno sa dire con esattezza quando ciò avrà fine. Io credo che la situazione dovrà peggiorare molto, prima di tornare a migliorare. Questo è già un motivo valido per evitare di continuare nell’errore di non investire a sufficienza nell’agricoltura per renderla un’attività più attraente e uscire da un’economia monoproduttiva.

I cattolici, in Zambia, sono 3 milioni, su un totale di 12 milioni di persone. L’istruzione cattolica è molto forte e presente. Considerato che la corruzione rappresenta un problema importante per la crescita economica del Paese, in che modo l’istruzione cattolica ha fallito nel non aver affrontato questo problema con i futuri dirigenti della società zambiana?

Monsignor Mpundu: Negare che i nostri laici cattolici siano implicati nella corruzione è volersi tappare gli occhi. Posso dare un esempio concreto. Un giorno, i vescovi hanno avuto l’onore e il privilegio di incontrare l’ex presidente Chiluba: “signor Presidente, lei deve fare qualcosa contro la corruzione. La corruzione nel Governo. La corruzione nella vita civile. Lei deve, come Presidente, prendere l’iniziativa. Il governo deve prendere l’iniziativa nella ricostruzione morale, soprattutto in relazione alla corruzione”. E il presidente Chiluba ha risposto: “per la corruzione non dovete parlare con me. Rivolgetevi ai vostri cattolici. Il 70% dei direttori generali dei Ministeri sono cattolici. Sono loro che sanno come fare”. Noi abbiamo replicato dicendo che non era un problema cattolico, ma un problema nazionale.

Quindi sono d’accordo con lei. D’altra parte, negli ultimi anni, la Chiesa in Zambia ha ritenuto di aprire anche ai non appartenenti alla Chiesa cattolica il suo tesoro più nascosto, che è l’insegnamento sociale della Chiesa. La nostra gente, ogni giorno che passa, è più felice grazie a questo ricco patrimonio di insegnamenti su come noi esseri umani dovremmo comportarci gli uni con gli altri riguardo al tema dei diritti umani, della dignità della persona umana creata a immagine e somiglianza di Dio, e dovremmo impegnarci di più.

Forse ci saremmo dovuti impegnare di più. Ora ce ne stiamo rendendo conto. Nel campo dell’istruzione, certamente la Chiesa cattolica ha fatto molto. Purtroppo, come ho detto, i Governi che si sono succeduti non hanno stanziato risorse a sufficienza per l’istruzione e non ne hanno colto l’importanza. Non si tratta solo di istruzione, ma di qualità educativa per le nostre scuole che abbiamo oggi.

Recentemente ci è stato detto che dopo il nono anno di scuola non c’è più il numero chiuso: si passa direttamente all’anno successivo. Fantastico, eccellente. Ma dove stanno le risorse necessarie per aumentare le aule, i laboratori, il numero degli insegnanti?

Che dimensioni hanno le classi in Zambia? In Europa o negli Stati Uniti vi sono circa 25 studenti per classe.

Monsignor Mpundu: Questa è una buona domanda. Per lungo tempo abbiamo mantenuto un numero di 40 alunni per classe, ma a causa delle pressioni, nel corso degli anni si è passati a 45 e ora siamo a 50. Con l’eliminazione del numero chiuso non si avrà più limite.

Ma dove li metteremo? Non abbiamo abbastanza classi, laboratori e insegnanti. Se si hanno così tanti studenti con pochi insegnanti… Io l’ho visto per la scuola secondaria: 70, 75 studenti per insegnante; povero insegnante. Inimmaginabile. Vuoi far fare gli esami, ma poi non li puoi correggere. Vuoi preparare una lezione, ma come fai a catturare la loro attenzione? Quindi, si può dire “più è meglio”? No! E questo ne è un esempio.

Cambiamo argomento. Parliamo dei non cristiani e in particolare della questione dell’Islam. Esiste una crescente islamizzazione, soprattutto nel nord della Nigeria e in altri Paesi africani. A Lusaka, 10 anni fa, esisteva una sola moschea, mentre oggi – se non vado errato – ve ne sono 10. È una preoccupazione?

Monsignor Mpundu: Non so se preoccupazione sia la parola giusta. Effettivamente l’Islam è in crescita. In un passato non così remoto vi è stato ciò che chiamerei una campagna aggressiva di proselitismo da parte dei musulmani. E questo si vede nelle strade di Lusaka e nelle scuole islamiche che vengono istituite nella città e nelle zone rurali delle provincie centrali e orientali.

Ciò che la gente dimentica è che, allo stesso tempo crescono anche le Chiese cristiane, tra cui quella cattolica. Non una ma diverse parrocchie sono state istituite negli ultimi anni, a servizio dei nostri cristiani. Il fatto che l’Islam stia crescendo non è tanto fonte di preoccupazione, quanto fonte di esame di coscienza per la Chiesa locale. In che modo stiamo impartendo la catechesi al fine di formare adeguatamente la nostra gente alla fede ed evitare che vengano sospinti di qua e di là? Perché è questo il problema che abbiamo anche con le sette.

Rimanendo sul tema dell’Islam, lei ha accennato ad una forma aggressiva di islamizzazione. Vi è chi parla di soldi provenienti, per esempio, dall’Arabia saudita, per questo scopo, per l’islamizzazione dell’Africa. È questo il caso anche dello Zambia?

Monsignor Mpundu: Questo non lo so. Non posso rispondere per loro e non è nulla di nuovo. Ogni anno io mando delle richiese per le missioni. Ho rapporti con alcune diocesi negli Stati Uniti e in Europa, perché ci aiutino nei nostri programmi pastorali. Non vedo perché l’Islam, i musulmani, non debbano fare lo stesso con i loro fratelli e sorelle in Arabia saudita, nel Bahrein o Dio sa dove. […] Non vi è nulla di male in questo. Non mi manda nel panico, ma mi obbliga solo a pensare: come stiamo formando i nostri cristiani, per renderli sufficientemente sicuri nella fede?

Lo sono?

Monsignor Mpundu: Beh, non tanto quanto vorremmo che lo fossero. Lo sono, ma noi vorremmo che fossero molto più saldi. Le radici della catechesi non sono molto profonde, non sufficientemente, altrimenti non avremmo avuto questo appello al primo Sinodo per l’Africa. Il primo Sinodo africano del 1990 ha preso in esame la nostra fede nel continente.

La Chiesa è giovane, molto dinamica, ma ha anche i problemi di chi sta “mettendo i denti” come un bambino. La fede non è sufficientemente profonda ed è quindi per noi imprescindibile cercare di inculturare la nostra fede. La nostra fede dà luce alle nostre usanze culturali e tradizionali, per arricchirle con la luce della fede. Queste due dimensioni sono così meravigliosamente intessute in noi per renderci veri cristiani africani.

Sono i giov
ani che vi danno questa speranza?

Monsignor Mpundu: I giovani mi danno molta speranza. Per quanto riguarda le vocazioni, per esempio, nell’Arcidiocesi di Lusaka ho 70 giovani nel seminario maggiore e non ho abbastanza soldi per mantenerli; questa è la tragedia. Li perdo perché non riesco a mantenerli tutti nel seminario.

I motivi sono anzitutto che non ho soldi a sufficienza come chiesa locale, e poi che abbiamo delle quote a livello nazionale per l’anno spirituale, per cui possono prendere al massimo 5 studenti. Così, se ne ho 15, beh, 10 dovranno aspettare l’anno successivo.

Alcuni sono troppo impazienti per aspettare e quindi stiamo cercando il modo e i mezzi per tenerli occupati mentre aspettano il loro turno per entrare nel seminario maggiore. Si tratta di giovani che vogliono diventare sacerdoti e che nella maggioranza dei casi provengono da scuole secondarie dove venivano presi in giro e ridicolizzati per la loro decisione di farsi prete, ma che hanno deciso di andare avanti lo stesso.

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Questa intervista è stata condotta da Mark Riedemann per “Where God Weeps”, un programma televisivo e radiofonico settimanale, prodotto da Catholic Radio and Television Network in collaborazione con l’organizzazione internazionale Aiuto alla Chiesa che soffre.

Per maggiori informazioni: www.acs-italia.glauco.it

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ZENIT Staff

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