La Santa Sede chiede uno sforzo per aumentare la fiducia tra gli Stati

Nella Conferenza per la Revisione dello Statuto di Roma del Tribunale Penale Internazionale

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KAMPALA, lunedì, 7 giugno 2010 (ZENIT.org).- Nella Conferenza per la Revisione dello Statuto di Roma del Tribunale Penale Internazionale (TPI), celebrata a Kampala (Uganda) il 1° giugno, la Santa Sede ha chiesto sforzi per aumentare la fiducia tra gli Stati e raggiungere un equilibrio tra la prevenzione delle guerre di aggressione e la legittima difesa.

Nella Conferenza, gli Stati membri stanno lavorando per adottare un emendamento allo strumento costitutivo del TPI che riconosca il crimine di aggressione e delimiti la giurisdizione del Tribunale su questo tipo di delitti.

Al dibattito è intervenuto il direttore della delegazione della Santa Sede, il Nunzio Apostolico in Kenya, monsignor Alain Paul Lebeaupin.

“Dibattendo questo emendamento, è un imperativo che si compiano sforzi per equilibrare la prevenzione delle guerre di aggressione con i diritti delle Nazioni di legittimare la propria difesa”, ha dichiarato.

“Questo equilibrio si può ottenere solo se il risultato di questi dibattiti sarà un emendamento che rifletta davvero le preoccupazioni e i pensieri di tutta la comunità internazionale e promuova la ricerca della giustizia anziché del compenso”.

Monsignor Lebeaupin ha spiegato nel dibattito che l’emendamento nello Statuto di Roma “cerca di istituzionalizzare, in strumenti giuridici internazionali, un principio che respinga la guerra come mezzo per risolvere le controversie e di sostituire la ‘legge della forza’ con la ‘forza della legge'”.

Ricorrere alla forza mina la sicurezza

“Questo emendamento costruisce sulle lezioni tragiche apprese in tutto il mondo per cui ricorrere alla forza, o anche la minaccia della forza, ha minato la sicurezza globale e personale di individui e Nazioni”, ha indicato.

In questo senso, ha ricordato che “la Santa Sede è da molto tempo intercessore contro le guerre di aggressione e respinge la logica errata della violenza e della distruzione come fattori di progresso e di miglioramento politico”.

“Gli Stati devono continuare a lavorare alla costruzione della fiducia tra loro – ha dichiarato -. Fallire nella costruzione di questa fiducia darà luogo, in ultima istanza, alla giustizia selettiva”.

Come ha ricordato l’osservatore permanente della Santa Sede, “due anni fa i delegati si sono recati a Roma per realizzare l’obiettivo di creare una nuova struttura legale internazionale per garantire che le violazioni massicce dei diritti umani non fossero tollerate dalla comunità internazionale per altro tempo, e che i responsabili della perpetuazione di queste violazioni fossero considerati responsabili delle proprie azioni”.

“Ora siamo venuti a Kampala per misurare l’efficacia di questi sforzi e continuare a migliorare i sistemi giudiziari per garantire che la vera giustizia sia disponibile per tutti in ogni angolo del pianeta”, ha continuato.

Ha quindi sottolineato l’importanza del concetto di giustizia, indicando che “non si basa meramente su determinazioni legali o strumenti giuridici, ma piuttosto sulla legge morale che riconosce l’inerente dignità della persona umana”.

“La giustizia non può limitarsi alla sfera della responsabilità legale, ma richiede anche che la società lavori in modo positivo per la creazione di una società più giusta in tutti gli aspetti dell’ordine sociale”, ha aggiunto.

L’Arcivescovo ha poi proseguito segnalando che “q uando si traduce in sistemi legali penali e civili nazionali e internazionali, questa giustizia richiede che gli organismi legali e giuridici applichino regole e istituzioni che cerchino di rendere realtà questi principi in modo che rispettino la verità morale obiettiva e collochino la persona umana al centro del processo decisionale”.

“In questo senso, lo Statuto di Roma ha dato un importante contributo al rispetto della persona umana, riconoscendo che i diritti umani non sono limitati da frontiere nazionali, atteggiamenti politici, credenze religiose o patrimonio culturale, ma che riguardano ogni persona umana”.

Secondo la Santa Sede, “la promessa dello Statuto di Roma risiede in ultima istanza nella sua capacità di affinare ancor di più il diritto delle Nazioni (ius gentium), in cui le norme universalmente riconosciute sono superiori alle leggi degli Stati e che richiede di rendere conto davanti a tutta la comunità globale”.

L’Arcivescovo ha anche sottolineato che “i sistemi locali nazionali devono essere la fonte principale per avere individui responsabili”.

“Facendo così – ha spiegato -, riconosciamo che la sussidiarietà aiuta a ripristinare le comunità locali, ma promuove anche la fiducia tra gli Stati, così come i Governi nazionali mantengono la responsabilità di sostenere il rendiconto dei perpetratori”.

Pace e giustizia

Il rappresentante della Santa Sede ha anche approfittato dell’occasione per ribadire che “la pace non solo è possibile, ma è un diritto che deve costruirsi sui pilastri della verità, della giustizia, dell’amore e della libertà”.

Ha poi segnalato che “la pace e la giustizia non sono in contraddizione tra loro, ma la giustizia è una base per la pace, e le leggi giuste forniscono mezzi per promuovere una maggiore giustizia”.

Monsignor Lebeaupin ha affermato che “la Santa Sede continua a chiedere a tutti gli individui della società di essere costruttori di pace e di lavorare per la giustizia”.

“Questi sforzi si centrano sulla verità per cui ogni persona umana ha una dignità inerente e preziosa che deve essere rispettata indipendentemente dalle distinzioni razziali, etniche, religiose, politiche o sociali”, ha spiegato.

“La Santa Sede – ha concluso – considera che, attraverso l’insegnamento della pace e della giustizia, le istituzioni educative possono svolgere una funzione importante nella promozione di una situazione sociale che veda i nostri vicini non come forestieri dei quali diffidare e da offendere, ma come fratelli e sorelle da rispettare e amare”.

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ZENIT Staff

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