Al Pime undici nuovi missionari ma nessun italiano

di padre Piero Gheddo*

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ROMA, lunedì, 7 giugno 2010 (ZENIT.org).- Nei mesi di giugno e luglio 2010 saranno ordinati 11 sacerdoti missionari del Pime. Quattro brasiliani, tre indiani, tre birmani, uno della Guinea Bissau. Nessun italiano!

E’ la prima volta che succede, ma è indicativo di una realtà che tutti conosciamo e lamentiamo: la decadenza della famiglia e della società italiane, che non producono più bambini e nemmeno preti. Il 25 maggio 2010, il cardinale Angelo Bagnasco, arcivescovo di Genova, aprendo a Roma l’Assemblea generale della CEI di cui è Presidente, ha parlato della famiglia dicendo fra l’altro: “L’Italia sta andando verso un lento suicidio demografico. Oltre il cinquanta per cento della famiglie oggi è senza figli e tra quelle che ne hanno quasi la metà ne contemplano uno solo, il resto due e solo il 5,1% delle famiglia ha tre o più figli”.

La conseguenza è che diminuiscono drammaticamente anche i sacerdoti. Nel 1990, vent’anni fa, un prete straniero in servizio nelle nostre parrocchie era una eccezione assoluta che attirava l’attenzione. Oggi i preti non italiani nelle nostre parrocchie (parroci o viceparroci) sono più di duemila e si avvicinano ai tremila, tutti giovani naturalmente (su 32.000 sacerdoti diocesani italiani)  e ogni anno aumentano, mentre i preti italiani diminuiscono. Il vescovo di una diocesi del centro Italia mi diceva pochi anni fa: “Più di metà dei miei preti diocesani non sono nati in diocesi e sono i più giovani. Vengono da varie parti, non più dalle famiglie e parrocchie della diocesi”.

Un altro vescovo, sempre del centro Italia: “Se non avessi trovato a Roma un po’ di sacerdoti polacchi, indiani, latino-americani, africani, dichiarerei il fallimento della mia diocesi, perché negli ultimi vent’anni non abbiamo avuto nemmeno un nuovo prete diocesano e oggi ci sono due nostri seminaristi che studiano. In diocesi c’erano cinque ordini religiosi che avevano una parrocchia, ne sono rimasti due, gli altri tre si sono ritirati per mancanza di vocazioni”. E non si tratta di due diocesi minime, ma di una certa consistenza numerica di abitanti, nella quasi totalità battezzati nella Chiesa cattolica.

Impegnato da quasi sessant’anni nella stampa e animazione missionaria, questo è un fatto che mi addolora molto. Ringrazio il Signore che nell’Assemblea generale del 1989, celebrata a Tagaytay nelle Filippine, il Pime ha deciso di diventare internazionale, contro il parere di molti che ci volevano solo italiani come all’origine. Personalmente ho sempre sostenuto la via dell’internazionalità, fin dall’Assemblea generale del 1965 a cui ho partecipato: mi pareva assurdo che un istituto missionario, aperto a tutto il mondo, fosse solo composto da italiani! Ma poi, grazie a Dio e a diverse richieste di vescovi locali delle missioni, l’Istituto è diventato internazionale.

Però mi pongo anche questa domanda: come mai, fra i giovani italiani, e anche fra le ragazze, pochissimi rispondono bussando alla porta degli istituti missionari maschili e femminili, per chiedere di consacrare la vita all’annunzio del Vangelo fra i non cristiani? Perchè la figura del missionario, affascinante fino a un 30-40 anni fa, è molto decaduta nella cultura del nostro tempo e ben poco presente nei mass media d’oggi?

Le risposte sono molte, ma sostanzialmente a me pare che gli istituti missionari, noi missionari in Italia, lo stesso “movimento missionario italiano” abbiamo perso buona parte della nostra identità e del nostro fascino. Il perché lo spiegherò meglio in un prossimo post.

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*Padre Piero Gheddo (www.gheddopiero.it), già direttore di Mondo e Missione e di Italia Missionaria, è stato tra i fondatori della Emi (1955), di Mani Tese (1973) e Asia News (1986). Da Missionario ha viaggiato nelle missioni di ogni continente scrivendo oltre 80 libri. Ha diretto a Roma l’Ufficio storico del Pime e postulatore di cause di canonizzazione. Oggi risiede a Milano.

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ZENIT Staff

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