ROMA, domenica, 6 giugno 2010 (ZENIT.org).- Intervenendo alla XIV sessione del Consiglio dei Diritti Umani a Ginevra, l'Arcivescovo Silvano Maria Tomasi, osservatore permanente della Santa Sede presso l'Ufficio ONU della città svizzera, ha chiesto di porre fine alla speculazione dei cosiddetti “fondi avvoltoio”.

Questi ultimi, ha spiegato in un'intervista rilasciata alla “Radio Vaticana”, sono “dei fondi o degli investimenti che prendono il nome da questo uccello che spolpa le ossa delle carcasse degli altri animali oppure attacca quando un animale è quasi pronto a morire”.

In altre parole, “sono dei fondi speculativi che acquistano a basso prezzo i debiti dei Paesi in via di sviluppo, da creditori pubblici o privati, ma soprattutto dallo Stato. Dopo di che, la compagnia che compra il debito ad un prezzo molto ridotto va a chiedere al Paese debitore, in maniera del tutto legale, il rimborso del credito iniziale, aumentando la richiesta e chiedendo anche gli interessi, in modo che il costo iniziale cresca di molto”.

“Quando il Paese poi non può pagare, specialmente i Paesi in via di sviluppo dell’Africa, questi 'fondi avvoltoio' tentano di prendersi il denaro proveniente dai finanziatori pubblici o da qualche risorsa primaria di questo Paese, come petrolio o altre materie prime, in modo non solo da recuperare la spesa iniziale, ma facendo degli enormi profitti a scapito appunto di questi Paesi”.

In questo contesto, la Santa Sede chiede di eliminare tali speculazioni, “perché vanno a danno dei Paesi più poveri, che hanno diritto invece ad avere il necessario per la loro gente e avviarsi verso lo sviluppo”.

In altre parole, ha sottolineato, “l’economia ha delle conseguenze sociali”, che devono essere “prese in considerazione” e a cui “si deve dare priorità, perché alla fine è il bene comune che stiamo cercando: il bene delle persone è al di sopra dei meccanismi del profitto”.

“Il principio che i debiti devono essere pagati noi lo sosteniamo, ma nello stesso tempo si dice anche che le popolazioni hanno diritto alla sopravvivenza”, ha dichiarato il presule, ricordando che “bisogna garantire l’esercizio dei diritti umani fondamentali”.

Il debito, dunque, “non deve diventare una forma di oppressione, bloccando lo sviluppo e la sopravvivenza”.

“Si devono cercare delle formule per incoraggiare sia i Paesi indebitati ad evitare la mancanza di una gestione trasparente, evitare la corruzione, evitare una programmazione fallimentare, ma dall’altra anche i Paesi ricchi a condonare quando è possibile questi debiti, in modo da garantire una ripresa nuova per questi Paesi”, ha concluso.