Il Papa dovrà confrontarsi con l'instabilità politica di Cipro

Intervista ad Alfred-Maurice de Zayas

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di Michaela Koller

ROMA, venerdì, 4 giugno 2010 (ZENIT.org).- La visita apostolica di Benedetto XVI a Cipro, che avrà inizio questo venerdì, sarà uno dei viaggi di maggior rilievo politico mai fatti finora, afferma un esperto di storia cipriota e di diritto internazionale.

Alfred-Maurice de Zayas, docente di diritto internazionale presso la Geneva School of Diplomacy and International Relations, ha parlato con ZENIT della questione cipriota e degli aspetti politici e giuridici connessi con la visita papale.

Sebbene padre Federico Lombardi, direttore della sala stampa del Vaticano, abbia spiegato che il Papa andrà a Cipro principalmente come visitatore e pellegrino, alcune fonti informative stanno speculando sull’impatto della visita del Pontefice sulla situazione politica dell’isola.

Il Santo Padre ha in programma di incontrare l’arcivescovo Chrysostomos II, capo della Chiesa ortodossa di Cipro, durante il suo soggiorno nell’isola a maggioranza ortodossa.

Un altro vescovo ortodosso, Athanasios di Limassol, ha espresso, al quotidiano cipriota “Phileleftheros”, l’auspicio che la visita di Benedetto XVI faccia emergere le questioni nazionali.

La Chiesa ortodossa di Cipro è autocefala dal V secolo, da quando cioè si è resa indipendente dal Patriarcato di Antiochia, dopo il Concilio di Efeso.

Le sue radici si fondano nella Bibbia, negli Atti degli Apostoli (13,4-13). Nell’anno 45, l’apostolo Paolo, accompagnato da Barnaba e da Marco l’evangelista, sono arrivati a Salamis e hanno viaggiato fino a Paphos, luogo che sarà visitato anche da Benedetto XVI.

Il successo di questa missione ha fatto di Cipro il primo Paese ad avere un governo cristiano, mentre il proconsole Sergius Paulus è stato il primo funzionario romano ad essersi convertito al Cristianesimo.

Molto tempo dopo, i re cattolici conquistarono il trono di Cipro e oppressero la gerarchia ortodossa fino al 1571, quando l’Impero ottomano conquistò l’isola e rese la Chiesa ortodossa l’unica Chiesa cristiana legale.

Dal XVII secolo in poi, alla gerarchia ortodossa venne affidata anche la guida politica dei cristiani di Cipro, il compito di raccogliere i tributi per conto dell’impero oltre alla facoltà di trattare altre questioni. L’Arcivescovo di Cipro rivestì anche l’incarico di “etnarca”, a capo del popolazione.

Nel XX secolo, la Chiesa era ancora fortemente coinvolta nella politica secolare di quest’isola del Mediterraneo orientale.

Il primo presidente della Repubblica di Cipro è stato l’arcivescovo Makarios III, uno dei predecessori dell’attuale capo della Chiesa cipriota Chrysostomos II. È stata la sua diplomazia ad aprire la via all’indipendenza. Makarios III ha resistito al regime militare greco (1967-1974) che mirava a estendersi su Cipro. In seguito, Atene ha sobillato una rivolta contro di lui, che è stata presa a pretesto dalla Turchia per l’invasione.

In questa intervista rilasciata a ZENIT, de Zayas spiega come la situazione con la Turchia ancora non abbia trovato una soluzione e sia causa di instabilità politica.

Benedetto XVI si recherà a Cipro venerdì per restarci fino a domenica sera. Secondo il programma che stato reso noto, non è prevista una visita alla parte nord dell’isola. Come vede questa decisione dal punto di vista del diritto internazionale? 

De Zayas: Il Papa Benedetto darebbe un segnale sbagliato se visitasse Cipro del Nord.

La Turchia ha illegalmente invaso la Repubblica di Cipro nel 1974 e ne ha occupato il 37% del territorio.

Adesso, 36 anni dopo, la Turchia continua ad occupare la parte settentrionale di Cipro in violazione alla Carta delle Nazioni Unite e a numerose risoluzioni del Consiglio di sicurezza e dell’Assemblea generale. Nel tentativo di aggirare il diritto, ha istituito un governo fantoccio, la cosiddetta Repubblica Turca di Cipro del Nord, un’entità che non è riconosciuta da alcuno Stato oltre che dalla Turchia stessa e che è stato dichiarato illegittimo dal Consiglio di sicurezza.

Nel 1974 la Turchia ha espulso 200.000 ciprioti cristiani da Cipro del Nord, in violazione della quarta Convenzione di Ginevra del 1949 e della Convenzione europea per i diritti dell’uomo (CEDU), per cui è stata ripetutamente condannata.

Finché la Turchia continuerà ad ignorare le risoluzioni delle Nazioni Unite e le sentenze della Corte europea per i diritti dell’uomo, sarebbe un errore dare un riconoscimento implicito alla Repubblica Turca di Cipro del Nord attraverso una visita ufficiale del Vaticano. Questa discrezione diplomatica sarà apprezzata dalla popolazione cristiana di Cipro.

Il 24 aprile 2004 tre quarti della popolazione della Repubblica di Cipro, la parte riconosciuta dal diritto internazionale, ha votato contro il cosiddetto piano Annan, con il quale gli Stati Uniti hanno cercato di dare una soluzione al conflitto cipriota. I greco-ciprioti hanno avuto motivi validi per questa scelta?

De Zayas: Annan ha avuto ben poco a che vedere con il piano che porta il suo nome. Questo piano, sostanzialmente sbagliato, non è stato il prodotto di negoziati democratici con la popolazione cipriota, ma era un’imposizione dall’alto che rifletteva gli interessi di alcuni Paesi, in particolare Gran Bretagna e Turchia.

Dal punto di vista del diritto internazionale, il piano viola il principio di autodeterminazione e innumerevoli risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell’ONU e dell’Assemblea generale.

Sarebbe stato veramente sorprendente se i greco-ciprioti avessero accolto un piano che sostanzialmente ignora le precedenti risoluzioni dell’ONU e accetta l’invasione illegale della Turchia del 1974, assicurando impunità ai crimini e alle ingiustizie che ne sono derivate.

Inoltre, il “piano” non provvedeva a dare piena attuazione alle sentenze della CEDU, non riconosceva il diritto dei greco-ciprioti espulsi a ritornare, né il diritto alla piena restituzione e compensazione, ma avrebbe invece consentito a gran parte dei 130.000 turchi che si sono insediati illegalmente, di rimanere a Cipro, in violazione dell’articolo 49, comma 6, della quarta Convenzione di Ginevra del 1949.

I monumenti ecclesiastici, i cimiteri e i monasteri nella parte settentrionale dell’isola sono stati distrutti dagli occupanti turchi e i tesori sacri di valore sono stati venduti illegalmente. Vi è qualche possibilità di riparazione?

De Zayas: Grazie all’Interpol, un certo numero di mosaici e altri oggetti sacri sottratti alle chiese e ai monasteri di Cipro del Nord sono stati ritrovati e restituiti alla Repubblica di Cipro.

Secondo il diritto umanitario internazionale e secondo numerose convenzioni e dichiarazioni UNESCO, il patrimonio culturale di una popolazione deve essere protetto dalla distruzione e, se distrutto o danneggiato,

devono essere risarciti i danni.

È triste pensare a quanto poco hanno fatto il Consiglio d’Europa e l’Unione europea per persuadere le autorità turche a restituire le proprietà del Patriarcato di Cipro.

L’adesione all’Unione europea, avvenuta il 1° maggio 2004, ha portato a un rilassamento dell’intera situazione?

De Zayas: Direi di no. Sebbene Cipro sia membro dell’Unione europea, è ancora soggetto a considerevoli pressioni dalla parte della Gran Bretagna e di altri Stati che hanno interessi nel Paese.

È sconcertante che l’Unione europea abbia avviato negoziati con la Turchia sulla sua possibile adesione, senza richiedere la piena attuazione delle sentenze della CEDU, senza restituire le proprietà greco-cipriote, le chiese e i monasteri, e senza ritirare la sua presenza illegale da Cipro, il suo governo fantoccio della Repubblica Turca di Cipro del Nord.

Non sono sicuro che il tempo giochi a favore di Cipro, perché l’Unione europea è un’entità economica e politica che applica il diritto internazionale “à la carte” e, c
ome dimostra il caso di Cipro, si prodiga solo a parole nella difesa dei principi sanciti dall’articolo 6 del Trattato sull’Unione europea: libertà, democrazia, rispetto dei diritti umani e Stato di diritto.

Lei ha anche esperienza nelle questioni di tutela delle minoranze e dei gruppi etnici. Benedetto XVI incontrerà alcune migliaia di maroniti. La loro identità culturale e linguistica, così come l’arabo cipriota, è messa gravemente a rischio. Il villaggio di Kormakitis nella parte nord dell’isola, da cui gran parte dei maroniti sono stati espulsi, è stato un centro dove questo dialetto si è conservato nel tempo. Come può essere salvato?

De Zayas: L’articolo 27 del Patto internazionale sui diritti civili e politici del 1966, riconosce il diritto delle minoranze e obbliga gli Stati ad assicurare che le minoranze possano preservare la propria cultura.

Questo implica la necessità di un’azione positiva. Se adeguatamente attuata, la Convenzione dell’UNESCO sulla protezione e la promozione della diversità delle espressioni culturali, del 2005, e la Carta europea per le lingue regionali o minoritarie, del 1992, assicurerebbero la tutela necessaria.

Alla fine si tratta di una questione di volontà politica e di applicazione delle norme.

La Chiesa può svolgere un ruolo importante per dare voce alla minoranza maronita.

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ZENIT Staff

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