di padre Angelo del Favero*
ROMA, venerdì, 4 giugno 2010 (ZENIT.org).- “Al loro ritorno, gli apostoli raccontarono a Gesù tutto quello che avevano fatto. Allora li prese con sé e si ritirò in disparte, verso una città chiamata Betsaida. Ma le folle vennero a saperlo e lo seguirono. Egli le accolse e prese a parlare loro del regno di Dio e a guarire quanti avevano bisogno di cure. Il giorno cominciava a declinare e i Dodici gli si avvicinarono dicendo: “Congeda la folla perché vada nei villaggi e nelle campagne dei dintorni, per alloggiare e trovare cibo: qui siamo in una zona deserta”. Gesù disse loro: “Voi stessi date loro da mangiare”. Ma essi risposero: “Non abbiamo che cinque pani e due pesci, a meno che non andiamo noi a comprare viveri per tutta questa gente”. C’erano infatti circa cinquemila uomini. Egli disse ai suoi discepoli: “Fateli sedere a gruppi di cinquanta circa”. Fecero così e li fecero sedere tutti quanti. Egli prese i cinque pani e i due pesci, alzò gli occhi al cielo, recitò su di essi la benedizione, li spezzò e li dava ai discepoli perché li distribuissero alla folla. Tutti mangiarono a sazietà e furono portati via i pezzi loro avanzati: dodici ceste” (Lc 9,10-17).
“Fratelli, io ho ricevuto dal Signore quello che a mia volta vi ho trasmesso: il Signore Gesù, nella notte in cui veniva tradito, prese del pane e, dopo aver reso grazie, lo spezzò e disse: “Questo è il mio corpo che è per voi; fate questo in memoria di me”. Allo stesso modo, dopo aver cenato, prese anche il calice dicendo: “Questo calice è la nuova alleanza nel mio sangue; fate questo, ogni volta che ne bevete, in memoria di me”. Ogni volta infatti che mangiate questo pane e bevete al calice, voi annunciate la morte del Signore, finchè egli venga” (1Cor 11,23-26).
Nella zona desertica di Betsaida, alla sera di una giornata spesa a prendersi cura dell’anima e del corpo di cinquemila persone, Gesù, presi in mano cinque pani e due pesci, anticipa sotto gli occhi di tutti quei gesti eucaristici che nell’ultima Cena consegnerà ai Dodici dicendo: “fate questo in memoria di me” (1Cor 11,24b). Nel deserto, moltiplica il cibo e lo fa distribuire alla folla; nel Cenacolo, lo trasforma in se stesso ed è lui a distribuirlo ai discepoli.
Sono due episodi separati nel tempo, ma collegati in quell’evento fondamentale per la Chiesa che Paolo ha ricevuto e trasmesso a sua volta: l’inconcepibile miracolo dell’Eucaristia, un Corpo preparato dal Padre per dare a tutti gli uomini la Vita del Figlio (Eb 10,5).
Il prodigio di Betsaida serve a saziare il corpo dei molti che hanno seguito Gesù per tre giorni senza provviste “al sacco”; quello del Cenacolo annuncia la fine di una fame molto più profonda, diffusa, vitale e “migliore”, quella del cuore, cioè la persona. La fame saziata nel deserto serve a capire che il pane materiale, preparato nei villaggi e nelle campagne dagli uomini, non può soddisfare il loro radicale bisogno di verità e di vita vera ed eterna; solo il pane-Carne e il vino-Sangue di Gesù sono quel cibo incorruttibile che impedisce di perire, poichè la sua sostanza è Dio.
Inquadrando il contesto immediato del fatto, Luca racconta che Gesù si era ritirato in disparte per sfuggire alla gente che lo cercava, decisa a violare la sua privacy. Il Signore, tuttavia, non sembra minimamente infastidito da queste folle implacabili: l’evangelista rivela infatti che egli “le accolse” (Lc 9,11b).
E’ così implicitamente sottolineata la necessità di quell’atteggiamento personale di stupefatta ed umile accoglienza che consente alla fede di sperimentare la realtà e gli effetti dell’Eucaristia: è il vivo Corpo e Sangue di Cristo, è Gesù in persona che può trasformare la carne inquinata del peccatore nella carne trasfigurata del santo.
Gesù-Eucaristia è simile al figlio neo-concepito: un Corpo pieno di vita da accogliere nel grembo interiore quale “cibo per l’uomo affamato di verità e di libertà” (Esortazione Apostolica “Sacramentum caritatis”, n. 1). La parola “cibo” non deve far venire in mente gli alimenti della tavola, ma il nutrimento spirituale essenziale alla felicità della persona umana, creata a immagine e somiglianza di Dio-Amore (Gen 1,26).
Forse che il bambino nel grembo non è un nutrimento per colei che gli da’ carne e sangue? In realtà, il figlio alimenta il cuore della madre con una sostanza spirituale profonda, ricca di gioia e di vita, che ne realizza pienamente la persona. Sì, e quanto infinitamente amaro è rendersi conto di tutto ciò quando ormai gli è stato opposto un irreparabile rifiuto.
Non definitivamente irreparabile, in verità, poiché l’Eucaristia è Gesù in persona che viene per accogliere nel suo amore salvifico il povero di vita e l’affamato di pace che si accostano a Lui. E non c’è che un modo per sperimentare la trasformazione della propria indigenza mortale in abbondanza di vita: “Ecco: sto alla porta e busso. Se qualcuno ascolta la mia voce e mi apre la porta, io verrò da lui, cenerò con lui ed egli con me” (Ap 3,20).
Fa riflettere questa dichiarazione del Signore: se uno sta alla porta e bussa vuol dire che è già arrivato, anche se deve ancora cenare: perché allora dice “io verrò da lui”? La risposta sta proprio nelle due condizioni preliminari: “se uno ascolta la mia voce e mi apre la porta”.
In altre parole: il Signore può rendere effettiva ed efficace la sua venuta solo se viene accolto a cuore spalancato come una porta. Vuol dire che il suo è come l’arrivo del medico sulla porta di casa. Sarebbe del tutto inutile chiamarlo, farlo accomodare in salotto, ascoltare le sue parole e non farsi visitare da lui perché si ritiene di non averne bisogno!
Accogliere Gesù-Eucaristia, Medico e Farmaco che da la Vita, significa anzitutto riconoscersi profondamente malati nello spirito, affetti dal cancro del peccato ma fiduciosi nella sua infinita misericordia, quella Comunione che è rimedio dell’anima e del corpo. Dopo di che si fa’ propria una volontà di accoglienza “eucaristica” nei confronti di ogni prossimo, senza differenze, anche quello più importuno, anche il nemico che non da’ tregua e ti toglie la pace.
Una simile volontà pratica è eucaristica non solo per il modello, che è Gesù-Eucaristia, ma anche per il destinatario, che è sempre Gesù-Eucaristia. Infatti: “Proprio nella “carne” di ogni uomo Cristo continua a rivelarsi e ad entrare in comunione con noi, così che il rifiuto della vita dell’uomo, nelle sue diverse forme, è realmente rifiuto di Cristo. E’ questa la verità affascinante ed insieme esigente che Cristo ci svela e che la sua Chiesa ripropone instancabilmente: “Chi accoglie anche uno solo di questi bambini in nome mio, accoglie me” (Mt 18,5)” (“Evangelium vitae”, n. 104).
– L’Eucaristia è il Signore Gesù, “è il dono che Gesù Cristo fa di se stesso, rivelandoci l’amore di Dio per ogni uomo” (Es.Ap. “Sacramentum caritatis”, n.1).
– L’Eucaristia è il Sacramento della Presenza e dell’accoglienza reale di Cristo, grazie al quale “possiamo dire che non soltanto ciascuno di noi riceve Cristo, ma che anche Cristo riceve ognuno di noi” (Enc. “Ecclesia de Eucharistia”, n. 22).
– L’Eucaristia è quella “carne” del Figlio di Dio nella quale è rappresentata e ri-presentata al vivo la carne di ogni uomo, da quando è concepita nel grembo, a quando esala l’ultimo respiro, identificazione vera e certa perché rivelata da Gesù stesso con queste parole: “ogni volta che avete fatto queste cose a uno di questi miei fratelli più p
iccoli, lo avete fatto a me” (Mt 25,40).
Tale “uguaglianza eucaristica” è così segno e fondamento della comune, assoluta, intangibile dignità di tutti gli esseri umani, dal neoconcepito all’uomo saturo di anni.
– L’Eucaristia è l’Amore fatto cibo, non solo perché “In questo mirabile Sacramento si manifesta l’amore “più grande”, quello che spinge a “dare la vita per i propri amici” (Gv 15,13)” (“Sacramentum caritatis”, n.1), ma anche perché l’uguaglianza eucaristica dimostra che “l’amore di Dio non fa differenza fra il neoconcepito ancora nel grembo di sua madre, e il bambino, o il giovane, o l’uomo maturo o l’anziano. Non fa differenza perché in ognuno di essi vede l’impronta della propria immagine e somiglianza (Gn 1,26). Non fa’ differenza perché in tutti ravvisa riflesso il volto del suo Figlio Unigenito” (Benedetto XVI alla P. Accademia per la Vita, 27/2/2006).
Non fa differenza perché tra ogni essere umano e Gesù-Eucaristia non c’è differenza: “lo avete fatto a me” (Mt 25,40).
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* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E’ diventato carmelitano nel 1987. E’ stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.