di Mariaelena Finessi
ROMA, domenica, 30 maggio 2010 (ZENIT.org). – Già espresso nella “Caritas in veritate”, Benedetto XVI torna a ribadire il concetto secondo cui «il bene comune è la finalità che dà senso al progresso e allo sviluppo». Un bene comune che, però, non può esaurirsi nella produzione, nell’industrializzazione e, in definitiva nella ricchezza materiale. Esistono dei fattori inalienabili, senza i quali infatti l’uomo sarebbe più povero. Quali sono questi fattori? La dignità, innanzitutto, che si sostanzia nella partecipazione alle innumerevoli forme di vita sociale. Siano esse politiche, economiche o culturali.
Della questione, più che mai attuale, si è dibattuto il 25 maggio nel corso dell’incontro all’Università Gregoriana di Roma, “L’uomo al centro delle scelte socio-politiche”, organizzato dalla Fondazione Magis (Movimento e Azione dei Gesuiti Italiani per lo Sviluppo) e dal Jesuit Social Network. Padre Federico Lombardi, direttore della Sala stampa vaticana, a proposito del tema ricorda un recente discorso del Papa, tenuto sabato 22 presso la Fondazione “Centesimus Annus”.
«Come rilevavo nell’enciclica “Caritas in veritate” – spiega il Pontefice – uno dei maggiori rischi nel mondo attuale è quello che “all’interdipendenza di fatto tra gli uomini e i popoli non corrisponda l’interazione etica delle coscienze e delle intelligenze, dalla quale possa emergere come risultato uno sviluppo veramente umano” (n. 9). Una tale interazione, ad esempio, appare essere troppo debole presso quei governanti che, a fronte di rinnovati episodi di speculazioni irresponsabili nei confronti dei Paesi più deboli, non reagiscono con adeguate decisioni di governo della finanza. La politica deve avere il primato sulla finanza e l’etica deve orientare ogni attività».
Padre Lombardi cita poi il Compendio della Dottrina sociale della Chiesa, là dove è detto che «la comunità politica, realtà connaturale agli uomini, esiste per ottenere un fine altrimenti irraggiungibile: la crescita più piena di ciascuno dei suoi membri, chiamati a collaborare stabilmente per realizzare il bene comune, sotto la spinta della loro tensione naturale verso il vero e verso il bene». Qui è il nodo: la comunità politica è necessaria per raggiungere un bene più grande e collettivo.
Dal canto suo, Maurizio Petriccioli, segretario confederale CISL, parte dall’attualità e nella scelta dei Governi, di procedere a delle misure restrittive per combattere la crisi internazionale, scorge un modis operandi che non tiene conto dei risvolti sociali: «La realtà è che il governo degli uomini è affidato ai mercanti, i quali scriveranno regole per affermare il proprio potere. Innegabile, infatti, il predominio dell’economia sulla politica mentre la sfera sociale è in difficoltà, e la constatazione è quella di una perdita di capacità nel saper andare oltre i bisogni dei singoli».
«Eppure, con toni non equivocabili, nell’enciclica c’è una critica profonda a questo modello di sviluppo che, al contrario, dovrebbe mettere al centro d’ogni iniziativa l’uomo, tutti gli uomini. Un siffatto stato di cose – è questa però la denuncia di Petriccioli – si è reso possibile perché siamo di fronte ad una crisi antropologica: ad essere in crisi è l’uomo stesso, privato dei valori del passato. La crisi ci pone dunque domande sul suo stesso senso e il luogo dove cercare delle risposte ed un riscatto è la comunità. Ecco perché è necessario puntare sullo sviluppo di reti di solidarietà e integrazione, nonché valorizzare il ruolo della sussidarietà, che è cosa diversa, voglio ricordarlo con le parole dell’enciclica, “da quell’assistenzialismo che umilia”».
«Di fatti – spiega Luca Diotallevi, professore associato di Sociologia all’Università di Roma Tre – con il numero 57 della “Caritas in Veritate” fa il suo ingresso nel lessico del magistero pontificio il termine “poliarchico”. In altri termini, essendo il bene comune composto di più beni, di esso non può decidere un potere soltanto. Difendere le ragioni della poliarchia significa allora contrastare la tendenza del potere politico, o di quello economico e scientifico, a farsi assoluto; in breve, significa valorizzare la funzione di reciproca limitazione che ciascun potere svolge rispetto a tutti gli altri. Allo stesso tempo, un ordine sociale poliarchico è strettamente collegato al principio di sussidiarietà, là dove istituzioni e soggetti diversi collaborano tra di loro, anche limitandosi reciprocamente».
«Certo è che una tale riflessione – commenta con amarezza Diotallevi -, sfuggita ai politici e agli stessi cattolici, ci arriva invece dagli ultimi due Pontefici che di fronte ai problemi hanno saputo invece pensare largo. Il termine “nuovo”, ad esempio, quante volte compare nell’enciclica? Contate – è la sfida che lancia Diotallevi – e capirete quanto è impegnativo questo testo». Dunque, una possibile soluzione alla crisi economica e antropologica dei nostri giorni risiederebbe nella “Caritas in Veritate“. L’invito è a prendere – specie gli Stati – in giusta considerazione il Magistero di Benedetto XVI, senza finti ossequi e piaggeria.
«Troppo spesso – lamenta il gesuita padre Gianni Notari, direttore dell’Istituto di formazione politica Pedro Arrupe – l’ispirazione etica è stata utilizzata dai politici in modo retorico, senza coerenza tra il detto e le azioni, e così, fatte le dovute eccezioni, tutti parlano di sintonia con le parole del Papa. Tuttavia è incomprensibile la parola di chi è garantito dal potere alle orecchie di chi non ha nulla». Ciò che serve, suggerisce, è «un’etica cristiana, l’esercizio della democrazia, indispensabili opzioni e progetti concreti» che legittimino un nuovo ordine politico che riporti il bene comune al centro del dibattito.
Non sarà facile, certo: «In fondo – spiega Notari, citando Karl Popper – il mondo è un luogo meraviglioso che noi, come giardinieri, possiamo ancora migliorare e coltivare, usando però la modestia di un giardiniere esperto il quale sa che molti dei suoi tentativi falliranno». Eppure, se teniamo “le braccia alzate verso Dio nel gesto della preghiera”, come scrive Benedetto XVI nell’enciclica, «abbiamo non poche probabilità – conclude padre Notari – di essere buoni giardinieri».