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La riforma del Titolo V della Costituzione ha assegnato alle Regioni compiti sempre più ampi di autonomia e di responsabilità diretta in settori particolarmente importanti per la vita dei cittadini. La tutela della salute e in particolare la cura della vita umana, in tutte le sue fasi, dal concepimento alla morte naturale, è senza dubbio uno di questi.
Proponiamo perciò un’ulteriore riflessione sul tema della applicazione della legge 194/78, dal titolo “Norme per la tutela sociale della maternità e sulla interruzione volontaria della gravidanza”.
Dal titolo stesso della legge, oltre che dalla sua lettera, traspare il principio per cui lo Stato si impegna a privilegiare la nascita e a tutelare la possibilità per ogni donna di vivere la sua maternità. Non a caso, la 194 vieta l’interruzione volontaria di gravidanza a scopo eugenetico, ed esprime chiaramente la volontà del legislatore di prevenire l’IVG anche in fase post-concezionale, lì dove (art.5) descrive minuziosamente gli interventi dissuasivi e i tentativi di ricerca di alternative all’intervento che devono essere messi in atto dal medico o dal consultorio familiare cui la donna si rivolge: lo Stato e la società civile devono cioè impegnarsi a prevenire ogni causa di abortività volontaria!
In questi anni, d’altronde, si è registrato un progressivo mutamento nell’atteggiamento dell’universo femminile che è approdato ad una idea di libertà non più disgiunta dal valore della maternità, tanto che si è molto attenuata la contrapposizione tra i diritti della madre e quelli del nascituro, in favore dei quali si sono registrati numerosi pronunciamenti giurisdizionali nazionali ed internazionali.
Infine, la situazione demografica nazionale ed in particolare quella della Puglia, penultima regione italiana per tasso di fecondità, impone il tentativo di non rinunciare a nessun bambino.
In realtà, la prima parte della legge 194, dedicata esplicitamente alla prevenzione delle IVG è stata in questi anni ampiamente disattesa, non trovando coerente e concreta applicazione. Ciò assume particolare rilevanza in forza della recente introduzione della RU 486 nella induzione farmacologica della interruzione volontaria della gravidanza. Infatti, la necessità di somministrare il mifepristone entro il 49° giorno di amenorrea, così come stabilito dall’AIFA, ripropone drammaticamente il problema della congruità dei tempi necessari a mettere in atto gli interventi dissuasivi, pensati proprio per tutelare il diritto di nascere del feto, e la libertà di diventare madre della donna.
L’adozione della RU 486 può quindi fortemente ostacolare l’integrale applicazione della legge 194 e specialmente dei suoi artt 1 e 5, in considerazione della esiguità dei tempi a disposizione degli operatori socio-sanitari per mettere in atto gli interventi finalizzati alla rimozione delle cause di aborto e le misure di sostegno alla maternità.
Non è perciò da sottovalutare il rischio che, con l’utilizzo della RU 486, l’IVG si realizzi senza le misure previste dalla 194, accentuando così la solitudine della donna, protagonista suo malgrado di una scelta totalmente privatizzata, davanti alla quale le istituzioni e la società civile rinunciano di fatto a qualsiasi tentativo di contrasto.
Ciò evidentemente riguarda anche la tutela della salute della donna che sceglie l’IVG, lì dove i noti rischi di emorragie e sepsi secondari all’uso del mifepristone rendono necessario il monitoraggio clinico della paziente, fino alla completa espulsione del feto, così come chiaramente indicato dal Consiglio Superiore di Sanità nella seduta del 18 marzo 2010.
Proponiamo pertanto alcune misure urgenti per l’attuazione di concrete politiche di contrasto all’abortività nelle nostre Regioni:
1. In forza della natura pienamente umana dell’embrione fin dal concepimento, così come scientificamente e biologicamente attestato, la Regione deve impegnarsi a tutelare e promuovere il diritto alla vita di ogni essere umano, fin dal concepimento.
Proponiamo quindi la redazione di apposite Linee Guida regionali di applicazione della 194, che regolino e verifichino l’efficacia del colloquio del medico o dell’operatore psico-sociale consultoriale cui la donna si rivolge per chiedere l’IVG.
Esse devono prevedere il monitoraggio delle modalità di svolgimento del colloquio, la regolare (anche se anonima) registrazione delle cause inducenti la donna a richiedere l’IVG, per la messa in atto di mirate politiche preventive, delle proposte alternative offerte alla donna e dell’esito del colloquio stesso.
Tutto ciò, sia pur nel pieno rispetto della privacy della donna, deve essere registrato su apposite schede e trasmesso alle autorità regionali competenti per l’opportuno approfondimento, da restituire con apposita relazione annuale regionale al consiglio regionale, per la messa a punto di misure di contrasto e di adeguate modalità di governance. Va garantita effettivamente la settimana di attesa dal rilascio del certificato alla prenotabilità dell’intervento, al fine di offrire alla gestante il tempo di una opportuna riflessione.
2. Va inoltre garantita l’applicazione dell’art.2 legge 194/78, lì dove si prevede la collaborazione fra Associazioni di volontariato della società civile disponibili a sostenere la donna gravida in difficoltà, durante la gravidanza e dopo il parto. Tale collaborazione, è espressione dell’impegno civile diffuso per la tutela del diritto alla vita di ogni persona umana, e permette l’offerta di aiuto a donne che lo richiedano. Tali possibilità devono essere fatte conoscere chiaramente e discretamente in TV, attraverso messaggi radiofonici, nei consultori, negli ospedali e nei reparti maternità, lì dove la possibilità di un’alternativa può permettere di evitare il dramma dell’aborto.
1. A tal fine, la presenza dei medici e del personale obiettore di coscienza nei consultori familiari va conservata e comunque garantita.
2. Definizione del limite delle 22 settimane di amenorrea, epoca a partire dalla quale c’è possibilità di sopravvivenza del feto, per l’esecuzione di aborti dopo i primi 90 giorni di gravidanza, come previsto dall’art. 6 della legge 194/78; garanzia di assistenza medica atta a salvaguardare la vita del feto al nato da IVG che mostri possibilità di vita autonoma, nel rispetto dell’art.7 della stessa legge
3. Il rilancio e la rivisitazione della fisionomia del servizio consultoriale, cui va garantita l’integrazione delle dimensioni sociale e sanitaria e lo sviluppo di attività sempre più orientate alla cura delle relazioni familiari intese come fonte di bene comune.
Tale orientamento è presente in tutte le più recenti normative regionali in materia di consultori familiari, superando così la vecchia ed inadeguata sanitarizzazione dei consultori.
1. L’urgente avvio e/o ripresa delle procedure di accreditamento dei Consultori privati no profit, riconosciuti ed autorizzati dalle Regioni.
2. L’attivazione di percorsi formativi rivolti agli operatori dei consultori delle Asl e di quelli gestiti da Associazioni ed enti privati no profit, comunque riconosciuti ed accreditati dalle Regioni, con particolare riguardo alla figura del consulente familiare
3. La promozione del parto in anonimato.
In merito poi all’aborto farmacologico, chiediamo l’attuazione del disposto dal Consiglio Superiore di Sanità, in base al quale tutto il processo abortivo innescato dall’assunzione del mifepristone deve avvenire, per tutelare la salute della donna, in regime di ricovero ordinario, fino alla completa espulsione dell’embrione, e la attenta registrazione di eventuali effetti avversi secondari all’utilizzo di questo farmaco, onde permettere un confronto con la tecnica dell’aborto chirurgico.
In materia di educazione e prevenzione primaria, chiediamo una approfondita riflessione in merito alla prescrizione ed alla somministrazione della cosiddetta “pillola del giorno dopo”, così come permesso in alcune Regioni, in particolare alle adolescenti. Studi compiuti in diversi Paesi europei ed americani hanno infatti da tempo dimostrato un diretto nesso di causalità fra la libera somministrazione del levonorgestrel e l’aumento dei tassi di gravidanza, di abortività e di malattie sessualmente trasmesse tra gli adolescenti.
Proponiamo infine, in tema di educazione dell’affettività e della sessualità, l’istituzione di un tavolo di lavoro fra Ufficio Scolastico Regionale, Associazioni Familiari e Assessorato regionale al Welfare che, in collaborazione con istituzioni accademiche, promuova l’auto formazione permanente di genitori e docenti su questi temi e garantisca percorsi formativi integrati per gli adolescenti, in stretta collaborazione fra famiglia e scuola.
Recenti studi, infatti, hanno messo chiaramente in evidenza l’incongruenza fra i percorsi proposti nelle scuole, non di rado in modo scoordinato o addirittura caotico, i loro contenuti ed i reali bisogni avvertiti dagli adolescenti italiani.
Ci sembra dunque indispensabile riconoscere alle famiglie il loro diritto-dovere di educare i propri figli, in particolare in questo campo, così come operare per costruire alleanze intelligenti fra Famiglia, Scuola ed Istituzioni.