L’infinito mistero dell’amore di Dio

Michele Trotta racconta dell’educazione all’amore di un figlio disabile

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di Antonio Gaspari

ROMA, venerdì, 21 maggio 2010 (ZENIT.org).- Michele Trotta è il papà di Francesco, per tutti Francky, nato prematuro il pomeriggio del 2 marzo 1993.

L’asfissia, che al momento del parto, aveva colpito il cervello di Francesco, aveva procurato dei traumi che avevano toccato i centri motori del linguaggio e del movimento e generato un’epilessia.

Un drammatico encefalogramma metteva in evidenza questo disordine nel cervello, diagnosticando la cosiddetta sindrome di West: irrigidimento della muscolatura del corpo con progressivo blocco, salivazione continua, in poche parole: sedia a rotelle, nessuna autosufficienza e con il bavaglino per sempre.

Un percorso pregresso estremamente accidentato. Un rischio per questo figlio del terzo binario e per la mamma Marina, già ricca di due felici maternità. Una martire sorridente, crocifissa alla sua maternità. Da questa nascita inizia un parto costante. Nel dolore e nell’amore si può partorire ad ogni istante il figlio segnato dal calvario condiviso.

Per cercare di capire l’infinito mistero di una figlio disabile, Michele ha scritto un libro: “Francesco e l’infinito. Un diario straordinario di una vita normale” pubblicato dalle Edizioni CVS (Centro Volontari della Sofferenza – Silenziosi Operai della Croce).

Intervistato da ZENIT, Michele ha spiegato che alcune persone per descrivere l’innamoramento dicono di essere diventati pazzi l’uno per l’altra. Ebbene la stessa cosa capita a chi s’imbatte nelle persone affette da particolari sindromi celebrali, una volta chiamati sub normali, poi handicappati, ora diversamente abili. Per loro una Persona – in particolare – è impazzita.

“Si, è Dio! Dio è pazzo per loro, è impazzito per loro, non si è divertito ma li ha costruiti come uno scrigno: i custodi di un tesoro”, ha sottolineato Michele Trotta.

Secondo l’autore del libro “la pazzia d’Amore di Dio per l’uomo raggiunge il culmine, dove gli interrogativi della fragilità del corpo si scontrano con la luce che quel corpo ferito emana”.

“Poverini, si dice di loro, ma è solo per non guardare a fondo il loro segno che è il pazzo amore, Infinito, che Dio ha stabilito nelle profondità di quel corpo da bambino, da adulto o da vecchio che chiede solo di essere scoperto”.

La sofferenza è presente ovunque, ma nel caso di Francesco, così come di tante migliaia di persone “silenziose” si tratta della storia di famiglie che sono state coinvolte, tramite queste creature, nella pazzia d’Amore del Buon Dio.

Michele ha raccontato che tutto iniziò come un fulmine a ciel sereno: una bella famiglia come tante, due figli belli e sani, timorati di Dio, poi … “proprio a me?!”: “Mia moglie, parto prematuro all’ottavo mese con complicazioni distacco di placenta, mancanza di ossigeno al cervello…”.

“Inizia la corsa contro il tempo per salvare questa creaturina – racconta Michele – qualcuno dice che ‘forse è meglio che muore, sai … i danni … il cervello …’. Ma come – ti rispondi – è mio figlio, lo abbiamo voluto, è una creatura di Dio, Lui non può permettere questo!”.

“Non lo sapevamo, ma era iniziato un misterioso cammino verso quell’Infinito, di cui quella inconsapevole creatura ne era il portone d’ingresso”.

“Quando con il tempo si supera la ‘sbornia’ di medici, amici – ora c’è anche Internet che ti alluviona con migliaia di notizie e previsioni incerte -, iniziò l’analisi di ciò che ci era capitato”, continua.

Un mese tra la vita e la morte, i tubi, le macchine che garantivano il moto respiratorio, bisognava arrivare ai 9 mesi biologici e al peso forma.

“Ogni mattina – racconta il papà di Francesco – si era in attesa della telefonata del reparto dell’ospedale per le notizie riguardanti le condizioni avute in nottata, con lo squillo del telefono svanivano, in un sol colpo, i momenti felici di tutta la famiglia, momenti che ognuno di noi conserva, una nuova realtà stava avanzando e prendeva tutto lo spazio che nel nostro cervello, nel cuore, nei sentimenti, nei ricordi più o meno recenti, avevamo”.

Tutto veniva assorbito e invaso da questa nuova corsa che era partita il 2 marzo 1993.

“Francesco, anche se piccolo, già occupava lo spazio di tutta la famiglia, tutti coinvolti, tutti protesi verso questo ‘ciclone’ di circa 4 chilogrammi che sembrava stesse schiacciando tutta la nostra ‘normalità’”.

I due fratelli di 2 e 4 anni più grandi di Francesco hanno vissuto le stesse tensioni, le paure e i molti interrogativi, che Michele e Marina ogni giorno si son trovati davanti.

Michele ha rilevato che se all’inizio della sua vita familiare, Francesco, era considerato dai fratelli, malato, un bambino da proteggere, con il tempo i due, a secondo della loro sensibilità, hanno iniziato a porsi con una incredibile autorevolezza a fianco di Francesco, con gesti semplici ma efficaci, fino a diventarne dei veri “angeli custodi” che conoscono le leve su cui agire al fine di spronare il fratello, sempre riluttante a scuotersi, ma pronto a cogliere gli stimoli che un vero amore fraterno sa dare.

“Francesco – continua Michele – è diventato così un ‘pedagogo’ che stimola, tutti coloro i quali gli sono accanto lungo la sua strada, a imitarne l’approccio, chiedendo la sintonia del cuore, l’attenzione totale di tutto il nostro essere verso l’altro, verso lo sconosciuto, il non riconoscibile anzi, più è irriconoscibile e più ci si avvicina a quel gesto della Creazione, che comprende tutto, veniamo accompagnati verso l’Infinito, di cui Francesco e gli altri ‘amici’ sono i custodi silenziosi e guardiani attenti”.

“Questa forza educativa che, oggi dopo 17 anni, riusciamo ad analizzare ed individuare in modo razionale, ha avuto un percorso altrettanto pedagogico: Francesco nel corso della sua vita ci ha dato e, continua a dare, il tempo e il ritmo di questo ammaestramento”, spiega.

Secondo Michele se si mettono in sequenza tutte le azioni che Francesco ha fatto compiere alla sua famiglia, da quelle più semplici a quelle più dolorose o faticose (le nottate, le febbri sempre pericolose per l’epilessia, la sua insonnia legata al meteo, ecc.) si può individuare un percorso che ha “ammaestrato” tutti coloro i quali si sono lasciati coinvolgere, verso il rispetto nei confronti dell’altro.

Trotta è convinto che si tratta della pazienza dell’attesa, dell’ascolto e della libertà, come condizione d’appartenenza ad una storia che quel “pazzo d’amore” di Dio ha pazientemente e finemente costruito dando così la possibilità di andare “oltre”. Oltre al fisico, al corpo, al sangue.

“Entrare in questa nuova dimensione – ha concluso Michele – ti fa diventare tutt’uno con i bisogni dell’altro, nulla è più estraneo, là dove c’è sofferenza, disagio, difficoltà, lì si condivide e, perchè no, si fa festa, si supera insieme. Nulla è più estraneo”.

Nel libro l’autore racconta anche della scomparsa di Marina, sua moglie, la più coraggiosa e intrepida nel sostenere i diritti di Francesco.

“Con la scomparsa di Marina, mamma speciale – ha scritto Trotta -, lo stesso dolore immenso, non ancora valutabile da ognuno di noi, non è riuscito ad arginare questa storia buona che ormai il buon Dio ha iniziato, anzi, lo sguardo di Francesco che parla d’Amore Infinito ci richiama, ci sgrida, ci supplica di non fermarci perché l’Amore che abbiamo incontrato è più forte e appassionato della vita stessa”.

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ZENIT Staff

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