Come coniugare sobrietà e solidarietà in tempi di crisi


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di don Daniele Bortolussi*

ROMA, giovedì, 20 maggio 2010 (ZENIT.org).- Per “stile di vita” si intende genericamente un insieme stabile e duraturo di comportamenti visibili, di modi di essere che riflettono la gerarchia di valori della persona o del gruppo che li mette in atto. Ciò che determina uno stile, pertanto, non sono le scelte episodiche, ma un sistema di scelte, caratterizzate dalla continuità nel tempo e dalla trasversalità ai diversi ambiti di vita e aventi come riferimento, più o meno consapevolmente, precisi modelli sociali ed economici. Lo stile di vita, dunque, si esplicita all’interno di una continua interazione tra la persona singola con il suo orientamento valoriale e il sistema sociale che la circonda, come a cerchi concentrici, dal più prossimo fino a quello globale. Il contesto attuale rende urgente una riflessione sui nuovi stili di vita, che parta necessariamente da questa prospettiva relazionale che coinvolge il soggetto nel suo rapporto con le cose, le persone, l’ambiente e il mondo.

Rapporto con le cose

Si gioca essenzialmente nel consumo di beni, spesso caratterizzato dell’eccesso e dallo spreco, dal bisogno di consumare sempre di più e dalla conseguente incapacità di godere di ciò che si ha. Il consumo diventato “consumismo”, cioè filosofia dell’usa e getta e del bisogno indotto, altera fortemente il rapporto con la quotidianità, se consideriamo il forte impiego di energie per mantenere un tenore di vita tale da possedere determinati oggetti, che spesso conduce a mettere in secondo piano le relazioni e gli aspetti più profondi dell’esistenza. Il mito della crescita che il mercato impone, induce a perdere di vista il senso dell’utilità reale delle cose, rende schiavi, identifica la persona con il consumatore per renderlo funzionale a sé e non il contrario. Ecco allora la necessità sempre più urgente di assumere un atteggiamento pensante e critico di fronte a questa logica, per diventare attori di un cambiamento, non solo nella direzione della riduzione dei consumi, ma anche nell’attenzione alle conseguenze del “cosa” consumare.

Rapporto con l’ambiente

La sensibilità verso l’ambiente si sta affermando in maniera sorprendente non solo tra le nuove generazioni. Tra allarmismi e superficialità si sente la necessità, come singoli e come comunità, di porre in essere scelte che rallentino lo sfruttamento di risorse, la produzione insensata di rifiuti, l’emissione incontrollata di sostanze nocive. E’ in gioco il rapporto con la terra e la sua vivibilità nel presente e nel futuro: è necessario instaurare un rapporto non violento con la terra, quasi a recuperare il senso delle radici dell’uomo e della sua realtà più profonda.

Rapporto con il mondo

La globalizzazione ha reso evidente la stretta connessione tra le persone che abitano questo pianeta, tra le sorti dei vari popoli e nazioni. Le guerre in atto, le forti disuguaglianze sociali ed economiche pongono domande allo stile di vita: indifferenza e non conoscenza non sono più ammissibili. L’informazione corretta e critica è il primo passo per assumere un atteggiamento di vicinanza reale con le popolazioni più povere e per mettere in atto azioni ispirate ad un principio di giustizia e non solo di tipo assistenzialistico.

Rapporto con le persone

È parte della natura umana costruire rapporti tra le persone, anche se, purtroppo, si sperimenta che individualismo ed egoismo possono rallentare o addirittura impedire la realizzazione di questa aspirazione. Come già accennato, il campo delle relazioni umane è fortemente condizionato dal sistema di vita, segnato oggi dal consumo sfrenato e dalla mercificazione. In questo senso, è di notevole importanza tornare a riflettere su questo aspetto, a considerare le relazioni umane come ricchezza e potenziale di crescita.

Tutto ciò apre anche il delicato capitolo del lavoro, dove la persona investe molte delle sue energie creative e relazionali. Diventa particolarmente urgente il ritorno a rapporti di lavoro che siano segnati dal riconoscimento della dignità dell’uomo, dalla giustizia, dalla sicurezza. Pensiamo, inoltre, alle conseguenze che la qualità del lavoro ha sul tempo libero, sulle relazioni familiari e amicali, sulla possibilità di improntare rapporti pacifici e non dettati da violenza o tensione, sull’attenzione a chi si trova in difficoltà, sull’opportunità di recuperare tempo di riflessione e di dialogo vero con gli altri. Parlare di stile di vita in questo ambito, significa riportare al centro la persona e non il profitto.

Solo in questa prospettiva relazionale è possibile inquadrare il discorso della “responsabilità” verso l’altro vicino e lontano, verso i beni, verso la natura e il mondo; d’altro canto solo nella responsabilità si possono attuare rapporti retti e così cooperare in modo intelligente all’edificazione di un mondo più umano. Responsabilità è letteralmente rispondere di qualcosa, rispondere agli appelli dell’altro, entrare nella vita dell’altro con partecipazione attiva alle sue vicende.

Parole-chiave per la riflessione sul tema “stili di vita”

— Persona: in un sistema nel quale la persona è ridotta a “risorsa umana” è necessario tornare a mettere al centro l’uomo, la sua dignità di collaboratore alla crescita e allo sviluppo umano, il suo bisogno di essere protagonista della vita, la sua creatività e le sue relazioni familiari e sociali

— Famiglia: è il soggetto che più fortemente ha subito i contraccolpi delle profonde trasformazioni nel lavoro. In molte famiglie, l’aumento del benessere economico non corrisponde ad un miglioramento delle relazioni, della comunicazione. D’altro canto le famiglie segnate dalla precarietà nel lavoro e da condizioni economiche difficili sono fortemente condizionate nelle loro scelte anche educative.

— Tempo: l’attuale impostazione del lavoro, caratterizzata da forte investimento mentale ed emotivo da parte della persona, provoca, in un certo senso, uno svuotamento di umanità che si rivela soprattutto nel vivere la festa e il tempo libero. È qui che l’uomo recupera il senso della sua vita, nelle sue dimensioni più essenziali.

— Sicurezza. Può essere intesa secondo due accezioni: da una parte la necessità di avere la sicurezza di un posto di lavoro, che gradualmente scompare per lasciare il posto alla flessibilità. Questa aumenta l’incertezza per le famiglie, la paura del futuro, l’individualismo. La sicurezza riguarda anche i rischi legati ai luoghi e alle condizioni di lavoro. Velocità di produzione, precarietà, scarsa specializzazione sono cause di morte ancora oggi. Ancora una volta, la logica del profitto prevale sulla centralità della persona. 

— Responsabilità sociale delle imprese. Si esplicita nell’integrare i parametri di mercato e di profitto con criteri di natura etica quali l’impatto ambientale, i diritti dei lavoratori, nonché la scelta di produrre beni che siano realmente utili all’uomo e al suo benessere integrale come persona.

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*Don Daniele Bortolussi è Direttore dell’Ufficio Pastorale Sociale e del Lavoro dell’Arcidiocesi di Torino.

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ZENIT Staff

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