Una prospettiva educativa e teologica al consumo

In un convegno, le ragioni dell’acquisto selvaggio

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di Mariaelena Finessi

ROMA, venerdì, 7 maggio 2010 (ZENIT.org).- Gli esperti la chiamano società dei consumi, a significare che sono gli acquisti a connotare in modo sostanziale il funzionamento della struttura sociale. «Si tratta di un fenomeno affrontato da molti studiosi e in molti ambiti, e che in un’accezione più critica viene anche definito consumismo, in una declinazione che lascia intendere un giudizio negativo». Così don Dario Viganò – preside dell’Istituto Pastorale Redemptor Hominis – introduce presso la Pontificia università Lateranense la giornata di studio «“Consumo, dunque sono”? Una prospettiva educativa, teologica e sociale».

Un incontro, quello del 5 maggio, suggerito dal titolo di un libro di Bauman del 2008, a cui è stato aggiunto un interrogativo con il dichiarato proposito di sondare il tema dei consumi. E, in finale, di indagare sulla realtà esistenziale dell’uomo di oggi. Una realtà caratterizzata dalla tecnologia e dai media, i quali, per dirla con le parole di Menduni «sono prodotti culturali realizzati industrialmente, riprodotti e diffusi in un gran numero di pezzi uguali o simili, che portano a conoscenza dei loro utenti, paganti o meno, determinati contenuti che spesso sono prodotti anch’essi in forma industriale, collettiva».

Dall’altro lato, gli stessi media appaiono, come scriveva Roger Silverstone nel 1999, «dei veri e propri surrogati sociali in quanto essi si sono sostituiti alle comuni casualità dell’interazione quotidiana, generando in maniera insidiosa e continua simulacri della vita». «In questo inscatolamento mediale della società – interviene Massimiliano Padula, docente di Comunicazione Istituzionale presso la Lateranense – , non sono più chiari i confini tra consumo e consumismo».

«Individualità e socialità perdono la loro forza distintiva per mescolarsi in un omogeneizzato socio-culturale sempre più evidente in Occidente, il quale è stato in grado di imporsi e di imporre il proprio modello in tutto il mondo e ad aspetti diversi della vita». Quello stesso Occidente che ha cioè “McDonaldizzato” il mondo, per usare un’espressione di Ritzer, suggeritagli dal noto fast food che ha saputo mettere radici ovunque con una crescita esponenziale.

E in una realtà siffatta, finiamo «col vivere una specie di falso dilemma: da una parte – spiega Chiara Palazzini, CeSNAF – si coltivano intensamente gli affetti, ma nessuno vuol sentir parlare di legami; d’altra parte si stringono ogni giorno legami che tengono lontani gli affetti». «L’uomo ha senso nel riconoscimento da parte dei simili. Venendo meno il quale – chiarisce monsignor Sergio Lanza -, si affida agli oggetti di consumo e fatalmente finisce con l’essere esso stesso oggetto. Ecco perché è necessario intervenire con una pedagogia energica. In fondo, la spontaneità, lasciata a se stessa non produce roseti ma rovi».

Una ricetta magica per educare tuttavia non esiste. «Spesso, ciò che dobbiamo – sottolinea con amarezza Sergio Belardinelli, coordinatore delle iniziative del Progetto culturale della Cei – è ciò che ci costa di più nella pratica. Eppure una cosa si può fare: generare il più possibile una consapevolezza che il bene e il piacere, come sostiene Platone, non sono la stessa cosa».

E far capire che la realtà, sì, esiste ma non asseconda spontanemaente i nostri desideri. «Diceva Rousseau che se il bambino vuole la mela, non devi portare la mela al bambino ma devi condurre il bambino verso la mela». Un insegnamento pedagogicamente prezioso, che abitua alla fatica di attribuire un valore ad ogni cosa, al di là del prezzo di mercato.

«Consumare – spiega Francis-Vincent Anthony, docente di Teologia alla Pontificia università Salesiana -, cioè esaurire risorse materiali, scaturisce da una visione della realtà, cioè da un modo di comprendere la persona umana e Dio». In particolare, «dietro la nostra abitudine odierna di “usa e getta”, c’è una visione meccanicistica e utilitaristica della natura, che si riduce a un indiscreto uso e consumo da parte dell’uomo. Superare questa visione eccessivamente antropocentrica e ristabilire un rapporto idoneo tra il cosmo, l’uomo e Dio è il pimo passo da compiere nell’affrontare il problema del consumismo».

Tradotto, significa che per raggiungere lo scopo ultimo della propria vita è necessario imprimere un orientamento etico all’acquisizione sia dei beni materiali, sia dei piaceri della vita. «Il consumo non è male. Lo è, invece, esaurire le risorse senza nessun riguardo per la coscienza morale e la convivenza comune». Alla domanda “Consumo, dunque sono?”, Anthony risponde sicuro: «Si, consumare è indispensabile per vivere; eppure una vita degna dell’uomo orientato alla gioia piena impone la necessità di regolare eticamente la soddisfazione dei propri bisogni, sacrificando anche la propria vita per il bene comune».

«Il termine “consumare” (dal latino consumere) – composto da cum (con) e sumere (prendere, usare interamente) – nella sua accezione più ampia indica “un prendere con” gli altri. In questo senso consumare è sacrificare (sacrum facere), cioè un’azione sacra. Dalla prospettiva cristiana – conclude Anthony –, l’eucaristia rappresenta eloquentemente il consumo congiunto al sacrificio da testimoniare nella vita».

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ZENIT Staff

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