Il Card. Ortega invoca amore, riconciliazione e perdono a Cuba

L’Arcidiocesi dell’Avana analizza la situazione del Paese

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L’AVANA, venerdì, 7 maggio 2010 (ZENIT.org).- In un’intervista alla rivista Palabra Nueva, dell’Arcidiocesi dell’Avana, il Cardinale Arcivescovo della capitale cubana, Jaime Ortega, non solo offre il criterio opportuno in relazione al momento che vive il Paese, ma ribadisce ancora una volta l’appello della Chiesa al dialogo e alla riconciliazione tra tutti i cubani.

Di recente, si è svolta una riunione alla quale erano presenti i pastori e i leader di praticamente tutte le confessioni religiose presenti a Cuba, insieme al Presidente Raúl Castro, alla signora Caridad Diego, responsabile dell’Ufficio per le Questioni Religiose, e ad altri alti funzionari cubani, così come al religioso domenicano brasiliano fr. Betto. A che cosa è dovuta l’assenza della Chiesa cattolica all’incontro?

Il Cardinale Ortega ha risposto a questa domanda indicando che l’invito era stato ricevuto, ma “lo abbiamo declinato perché si trattava di una commemorazione di due eventi non direttamente collegati alla Chiesa cattolica”.

Nel corso della riunione, si è parlato di un’alleanza strategica con lo Stato cubano e per il bene del popolo da parte dei vari gruppi presenti.

Circa questa proposta, il Cardinale ha affermato: “Non ho mai accettato questa definizione per considerare l’azione della Chiesa nella società e le sue relazioni con i poteri statali, perché ha risonanze militari o politiche non conformi per sviluppare le relazioni della Chiesa con lo Stato, visto che la possibilità di agire nella società, di servire gli uomini e le donne che vivono nel nostro Paese, non dipende da un patto sociale espresso o tacito della Chiesa con lo Stato”.

“L’azione della Chiesa all’interno della società – ha aggiunto – appartiene all’ordine dei diritti, e il diritto alla libertà religiosa è riconosciuto chiaramente nella Costituzione vigente a Cuba”.

“La Chiesa cattolica svolge la sua missione a Cuba a favore del bene comune”, e in questo “può concordare con istituzioni ufficiali o private, con organismi internazionali di aiuto, ecc., che collaborano al bene generale della Nazione cubana”, ma la sua azione “non si basa su alcuna alleanza né a livello verticale né orizzontalmente, ma sboccia dal diritto del corpo ecclesiale di rendere presente l’amore di Gesù Cristo nel mondo di oggi in base alla propria missione”.

Il Cardinale ha quindi sottolineato che Cuba “si trova in una situazione molto difficile”.

“Molti parlano del socialismo e dei suoi limiti, alcuni propongono un socialismo riformato, altri si riferiscono a cambiamenti concreti da fare, alla necessità di lasciarsi alle spalle il vecchio Stato burocratico di tipo staliniano, altri ancora parlano dell’indolenza dei lavoratori, della scarsa produttività”.

Il denominatore comune proposto da tutti è che “si compiano rapidamente a Cuba i cambiamenti necessari per porre rimedio a questa situazione”.

Per il porporato, “il primo passo necessario per spezzare il circolo critico in cui ci troviamo” è favorire “un dialogo Cuba-Stati Uniti”.

Il Presidente Raúl Castro, ha ricordato, all’inizio del suo mandato ha proposto agli Stati Uniti questo dialogo senza condizioni. Nella sua campagna politica presidenziale, anche Barack Obama ha affermato che avrebbe cambiato lo stile vigente e avrebbe cercato in primo luogo di parlare direttamente con Cuba.

“Ad ogni modo – lamenta –, dopo essere giunto al potere, il nuovo Presidente nordamericano ha ripetuto il vecchio schema dei Governi precedenti: se Cuba effettuerà dei cambiamenti riguardo ai diritti umani, allora gli Stati Uniti solleveranno il blocco e si aprirebbero spazi per un ulteriore dialogo”.

“Sono convinto che la prima cosa sia incontrarsi, parlare”, ha sottolineato l’Arcivescovo dell’Avana. “E’ questo il modo civile per affrontare qualsiasi conflitto”.

Nelle ultime settimane, questa situazione di scontro si è acutizzata, soprattutto dopo la morte del detenuto Orlando Zapata Tamayo in seguito a uno sciopero della fame. Almeno un altro cittadino cubano si è unito a questo tipo di protesta.

“Il fatto tragico della morte di un detenuto per sciopero della fame ha dato luogo a una guerra verbale dei mezzi di comunicazione di Stati Uniti, Spagna e altri Paesi – ha sottolineato il Cardinale –. Questa forte campagna mediatica contribuisce ad esacerbare ancor di più la crisi”.

In questo contesto, la Chiesa non può ovviamente “unirsi a una delle due parti in causa, con propositi politici di destabilizzazione da un lato e con il conseguente trinceramento difensivo dall’altro”. “Ciò che ci spetta come Chiesa è invitare tutti alla saggezza e al buonsenso perché si pacifichino gli animi”.

Quanto ai prigionieri per motivi politici, il Cardinal Ortega ha sottolinea che “la Chiesa ha fatto storicamente tutto il possibile perché siano rimessi in libertà, non solo i malati”.

“Con la partecipazione della Conferenza dei Vescovi Cattolici degli Stati Uniti, negli anni Ottanta è uscito dal carcere un buon numero di prigionieri, che insieme ai loro familiari più stretti sono partiti per gli Stati Uniti”. In tutto si parla di oltre mille persone, giunte negli USA su voli finanziati dai Vescovi nordamericani. “Solo quelli che avevano commesso gravi delitti violenti non hanno ricevuto il visto per gli Stati Uniti o altri Paesi”.

Su richiesta di Papa Giovanni Paolo II in occasione della sua visita a Cuba nel 1998, altri detenuti vennero liberati, e quanti ottennero dei visti da vari Paesi – con la stessa riserva relativa ad aver commesso gravi fatti di sangue – emigrarono.

“E’ ciò che la Chiesa fa sempre con i detenuti e con ogni persona coinvolta nella loro situazione, come i familiari – ha confessato il Cardinale –. Ha fatto lo stesso nei confronti dei cinque cubani in carcere negli Stati Uniti su richiesta delle loro famiglie, promuovendo pratiche, finora infruttuose, per far sì che almeno due delle mogli, che da quasi dieci anni non vedono i mariti, possano andare a far loro visita”.

“Nei confronti di tutti coloro che si trovano in situazioni deplorevoli, senza analizzare le cause o le ragioni della loro condanna, la missione della Chiesa è sempre quella della comprensione e della misericordia, agendo in modo discreto ma efficace affinché la situazione di queste persone sia superata per il loro bene e per quello dei loro familiari, anche se non sempre si ottengono i risultati sperati”.

“In questo momento difficile – ha concluso il porporato –, la Chiesa a Cuba chiede la preghiera e l’azione di tutti i credenti affinché l’amore, la riconciliazione e il perdono si facciano largo tra tutti i cubani”.

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ZENIT Staff

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