“Spero che i miei lettori sentano il bisogno di leggere Newman”

Pubblicato un libro di monsignor De Berranger

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di Anita S. Bourdin

LIONE, mercoledì, 28 aprile 2010 (ZENIT.org).- “Mi auguro che, leggendo il mio libro, i lettori sentano il bisogno di leggere gli scritti dello stesso Newman”, dichiara il Vescovo emerito della diocesi francese di Saint Denis, monsignor Olivier de Berranger, in questa intervista rilasciata a ZENIT.

Il presule sottolinea il carattere “mariano” del “processo” di Newman: Maria “è per noi simbolo, non solo della fede dei più semplici, ma anche di quella dei dottori della Chiesa”.

Buckingham Palace ha annunciato che Benedetto XVI si recherà in visita nel Regno Unito dal 16 al 19 settembre 2010 e che presiederà, a Coventry, la Messa di beatificazione del cardinale John Henry Newman.

In vista di questa beatificazione, la casa editrice Ad Solem ha recentemente pubblicato un libro atipico: “Par l’amour de l’invisible, itinéraires croisés de John Henry Newman et Henri de Lubac” [Per amore all’invisibile, itinerari incrociati di John Henry Newman e Henri de Lubac, n.d.r.].

In questa opera, monsignor De Berranger propone un approccio originale al pensiero del cardinale Newman e alla sua attualità.

Come ha pensato all’idea di abbinare le figure di Newman e di de Lubac?

Monsignor De Berranger: È l’editore che avvicina le figure di questi teologi nella copertina del libro, attraverso due foto che li ritraggono intorno ai loro 70 anni di età.

Newman (1801-1890) e de Lubac (1896-1991) non appartengono allo stesso secolo, né allo stesso Paese. Uno è oratoriano, l’altro è gesuita.

Ma il pensiero del primo ha esercitato un’influenza che anticipa il Concilio Vaticano II (1961-1965).

Il secondo, che ha partecipato al Concilio come esperto, non ha esitato ad apportarvi ciò che è stato “l’evento spirituale” del Movimento di Oxford, del quale Newman è stato uno dei principali esponenti, nella speranza di rinnovare la Chiesa in Inghilterra tra il 1833 e il 1843, quando vedeva in essa una “via mediana” tra il Protestantesimo e ciò che egli considerava una tendenza alle esagerazioni superstiziose del “romanismo”.

Approfondendo, a partire dallo studio dei Padri della Chiesa, la questione dello “sviluppo della dottrina cristiana”, si è reso conto che la verità nella sua pienezza si trovava nella Chiesa cattolica e ha deciso di “arrendersi” e di aderire alla Chiesa romana il 9 ottobre 1845.

Perché padre de Lubac aveva letto l’opera del cardinale Newman con tanta attenzione?

Monsignor De Berranger: Perché vedeva in lui un teologo, il cui pensiero – al pari dei tedeschi Johannes Adam Möhler (1796-1838) e Matthias Joseph Scheeben (1835-1888) – avrebbe potuto contribuire a rinnovare la vita della Chiesa.

E ciò attraverso influenze contrarie al modernismo, condannato da San Pio X nel 1910 e attraverso il neotomismo, che troppo spesso gli sembrava una cattiva risposta alle domande rivolte alla fede cristiana dai nostri contemporanei, perché prigioniero di formulazioni astratte e lontane dalla tradizione patristica … e dallo stesso San Tommaso d’Aquino.

Ciò che de Lubac apprezzava in Newman era la purezza della fede, unita a un’acuta comprensione delle esigenze della cultura scientifica.

Inoltre, esisteva tra Newman e de Lubac un’altra affinità, oltre al fatto di essere stati nominati cardinali verso la fine della loro vita, il primo da Leone XIII, l’altro da Giovanni Paolo II (come Journet, Daniélou, Congar, Grillmeier,…): un’affinità di tipo spirituale.

Entrambi hanno cercato di essere umili interpreti della fede più radicata nella Tradizione.

Lei parla della loro “passione volta a far amare la Rivelazione cristiana ai suoi contemporanei”. Cosa hanno, in definitiva, in comune?

Monsignor De Berranger: Appunto, la stessa sensibilità verso la Rivelazione, quella che la costituzione conciliare Dei Verbum metterà in rilievo, completando in qualche modo la costituzione Dei Filius del Concilio Vaticano I (1870).

Entrambi hanno una conoscenza molto profonda della Scrittura nella storia, in cui il Verbo incarnato costituisce la chiave interpretativa.

Ma non si tratta di una pura dichiarazione di principi. È, sia per l’uno che per l’altro, una fonte di santità, perché secondo il motto del cardinale Newman, “cor ad cor loquitur” (il cuore parla al cuore).

Questo è il vero rapporto tra il credente e Cristo, che deve diventare il rapporto del credente con tutti, con il proprio fratello, che egli desidera portare all’amore verso Colui che si rivela per mezzo della Chiesa.

Come sottolineato da Newman, senza certezza non esiste possibilità di santità. Ciò non vuol dire che la fede non venga mai messa alla prova dal dubbio, come un cammino spirituale attraverso l’aridità, ma che l’intelligenza deve potersi fondare su un assenso molto fermo a Cristo, secondo la confessione di Pietro, roccia della Chiesa.

Perché Benedetto XVI ha tanto interesse a far conoscere Newman a tutta la Chiesa? Il Papa non solo ne promuove la beatificazione, ma presiederà egli steso la cerimonia, che non si svolgerà a Roma!

Monsignor De Berranger: Tutti sono d’accordo nel riconoscere in Benedetto XVI un grande teologo.

Non so quante volte egli abbia citato Newman nelle sue numerose opere. Ma poiché egli si è abbeverato alle stesse fonti della grande Tradizione e poiché come de Lubac, suo contemporaneo, ha letto l’opera di Newman, ha riconosciuto la sua santità nella ricerca della verità a qualunque costo.

Penso di poter dire che Newman rappresenti per Benedetto XVI una testimonianza della stessa levatura di una Edith Stein (Santa Teresa Benedetta della Croce) per Giovanni Paolo II.

E, insieme a molti altri, spero che l’uno e l’altra siano dichiarati dottori della Chiesa.

A lei, personalmente, cosa le piace di più di Newman? Cosa ha voluto comunicare ai suoi lettori?

Monsignor De Berranger: Mi piace l’uomo e l’opera nella sua integrità. Mi consenta di citare un passaggio celebre del suo quindicesimo sermone universitario pronunciato a St. Mary di Oxford, quando era ancora un chierico anglicano.

Meditando sul versetto di Luca 2,19 (Maria, da parte sua, serbava tutte queste cose meditandole nel suo cuore), dice: “Maria è il nostro modello nella Fede, non solo nella ricezione, ma anche nello studio della Verità divina. Ella non si accontenta di accettarla, vive in essa; non le basta possederla, si serve di essa; sottomette la propria ragione, ma ragiona sulla fede, certamente non razionalizza prima, per poi credere, come Zaccaria, ma prima crede senza ragione e poi, con amore e rispetto, ragiona su ciò che crede. Pertanto, ella è per noi simbolo, non solo della fede dei più semplici, ma anche di quella dei dottori della Chiesa, che devono cercare, soppesare, definire, oltre che professare il Vangelo; per tracciare una linea tra la verità e l’eresia; per anticipare o rimediare alle aberrazioni di una falsa ragione, per combattere con le armi giuste (quelle della fede) l’orgoglio e la temerarietà e per trionfare sul sofista e l’innovatore” (2 febbraio 1843).

Mi auguro che, leggendo il mio libro, i lettori sentano il bisogno di leggere gli scritti dello stesso Newman, per rafforzarsi in questo processo “mariano”, ecclesiale, perché radicato nelle origini del Cristianesimo.

Sarà presente alla beatificazione?

Monsignor de Berranger: Rispondo come i romani: “Se Dio vuole, certo”.

I suoi studi sul cardinale Newman e sul cardinale de Lubac l’hanno aiutata nel suo ministero?

Monsignor De Berranger: Vorrei citare in particolare due opere che mi hanno particolarmente ispirato. Una mentre ero in Corea, l’altra mentre ero Vescovo di Saint-Denis in Francia.

In Corea, è stata la “Grammatica dell’assenso” c
he mi ha aiutato a inculturarmi in un’area così diversa dall’Europa.

Newman non si mostra solo preoccupato per “la fede dei più semplici”, per dimostrare coerenza profonda, ma dispiega una straordinaria sensibilità per l’influenza delle culture nell’espressione di una medesima fede.

E proprio nel momento in cui monsignor Tagliaferri, allora nunzio in quel Paese, mi ha detto che ero stato nominato alla sede di Saint-Denis, dovevo preparare una conferenza su un’opera apparentemente minore, del padre de Lubac: “Il fondamento teologico delle missioni”.

Ha dimostrato l’unità del genere umano di fronte alla sua fonte originale, creatrice, e si è opposto con vigore, nel gennaio del 1941, alle tesi razziste divulgate dal nazismo.

Questa coincidenza mi ha confortato in un ministero planetario.

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ZENIT Staff

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