Mons. Paglia e la sua Italia "In cerca dell'anima"

Contro le divisioni del Paese, Wojtyla inventò la preghiera per l’unità

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di Mariaelena Finessi

ROMA, mercoledì, 28 aprile 2010 (ZENIT.org).- Nel suo nuovo libro, In cerca dell’anima. Dialogo su un’Italia che ha smarrito se stessa (ediz. Piemme), monsignor Vincenzo Paglia, vescovo di Terni, affronta un lungo colloquio con Franco Scaglia, scrittore e presidente di RaiCinema.

Alla presentazione del volume a Roma, il 27 aprile, nella parrocchia di Sant’Agnese fuori le Mura, monsignor Paglia incalzato da Aldo Cazzullo, giornalista del Corriere della Sera, ha spiegato perché – a suo avviso – in Italia esista una crisi morale. «I comportamenti distorti sono la punta di un malessere più generalizzato e profondo. E il vero segno della crisi è che gli scandali — che pure non sono mai mancati — oggi non riescono a provocare una corrente di sdegno. C’è invece rassegnazione, quello cioè che io e Franco Scaglia chiamiamo “inerzia”. Ciò nonostante, la vitalità di tante esperienze ecclesiali mi fa dire “andiamo alla ricerca dell’anima”».

Un affresco eloquente su una politica caratterizzata da scarso respiro internazionale e che ha smesso di inventare il futuro. E tuttavia «il problema non è solo nella politica». «Ci meritiamo la classe dirigente che abbiamo – lamenta il vescovo –, ci lamentiamo ma poi torniamo a votarli». Come a dire che «tutti ne siamo coinvolti e tutti dobbiamo reagire, dalla politica certamente – spesso occupata a discutere di riforme elettorali piuttosto che spiegare a vantaggio di chi farle – fino alla Chiesa, anch’essa chiamata ad interrogarsi su ciò che accade». Monsignor Paglia non nasconde che vorrebbe una Chiesa più viva e coinvolta, tanto dalle preoccupazioni per una migliore qualità di vita di questo Paese quanto da una ancora più urgente rinascita, sia spirituale che culturale».

Innamorato dell’Italia, monsignor Paglia ha temuto una divisione nazionale «quando un gruppo», e il riferimento, qui, è alla Lega Nord, «andò al Po con le ampolle. In quell’occasione – ricorda – ci fu un solo uomo che inventò la preghiera per l’Italia: Giovanni Paolo II che chiamò i vescovi alla tomba di Pietro, in Vaticano, invitandoli a pregare per l’unità d’Italia e la sua salvezza». Quanto al rapporto buono che oggi la Chiesa sembra avere con i leghisti, il vescovo è netto: «Il rischio è la strumentalizzazione della religione per il proprio bisogno». D’altronde, «se pongono in secondo piano l’accoglienza, ho i miei dubbi quando dal druidismo si passa a brandire il crocifisso», anche perché «un vero cambiamento richiede innanzitutto cambiamento del cuore e di mentalità».

Ecco perché, dinanzi all’attuale clima culturale «e al rischio che anche la Chiesa si ripieghi su se stessa», occorre fare uno sforzo maggiore: «O siamo straordinari – spiega il vescovo – o non siamo affatto anche perché non si può rispondere al tumore con un’aspirina». Occorre ritrovare una forza creativa evangelica e rischiare la storia: il catechismo non può bastare. D’altra parte «conoscere il catechismo alla lettera non vuol dire essere bravi cristiani. Il bravo cristiano ha una forza interiore che cambia se stesso e gli altri e le battaglie sulla frontiera ideale valgono solo se si sta su quella reale». «A che serve parlare di testamento biologico se non si affronta il nodo dell’anzianità, della malattia e della solitudine?».

Nel caso di Eluana Englaro, che ha lacerato la coscienza degli italiani, laici e cattolici, «la Chiesa ha dato testimonianza di poca grandezza perché si è presentata solo con i “no”, senza mostrare lo straordinario “si” di cui è capace nelle tante lotte per la vita e per i diseredati, ovunque nel mondo». E il pensiero va alle suore che per anni hanno accudito la ragazza, morta nel 2009 alla fine di una controversa battaglia giudiziaria conclusasi con la sentenza che autorizzava l’interruzione della nutrizione artificiale. E parlando dell’assenza delle donne nella struttura gerarchica della Chiesa, il vescovo sintetizza: «Madre Teresa vale almeno 50 cardinali».

Assistente spirituale della Comunità di Sant’Egidio, monsignor Paglia ricorda il tempo in cui quel progetto – nato dagli incontri con i baraccati sul greto del Tevere – non sembrò un’utopia: «Negli anni settanta, in certi quartieri di Roma come Primavalle o Garbatella, c’eravamo solo noi e le Brigate Rosse. E noi, che sognavamo un mondo nuovo da costruire, iniziammo a percorrere le periferie della città. A Trastevere trovammo questo convento, rimasto senza monache, e lo “occupammo” come si faceva allora. Era il 1973 e volevano mandarci via per farne diciassette appartamenti. Intervenendo personalmente, Aldo Moro permise di farci restare».

Una riflessione sull’argomento, spinoso, della pedofilia nel clero: «La chiesa l’ha sottovalutata affrontandola in passato con non poca leggerezza. L’unico ad aver voluto che questo peccato e delitto emergesse è Benedetto XVI che oggi, per ironia della storia, paga le colpe di altri». Quindi monsignor Paglia richiama l’attenzione dei sacerdoti e delle suore su un punto che ritiene nevralgico: «Qualora si inficiasse l’autorevolezza educativa della Chiesa, colpiremmo uno dei pilastri fondamentali della formazione dei nostri ragazzi». Infine un appello: «Sulla pedofilia chiedo a tutti i responsabili istituzionali, a livello locale, italiano, europeo e mondiale, lo stesso livello di attenzione del Papa».

Un uomo, Ratzinger, che il vescovo giudica «straordinario perché riporta al centro la prospettiva evangelica della Chiesa e non l’organizzazione». Attaccato da certi media, specie stranieri, Benedetto XVI è attaccato anche dall’interno per mezzo del «tradimento». «Lasciare Gesù in pasto a chi vuole ucciderlo – spiega – è di fatto un attacco». Di più, «la Chiesa si può attaccare anche indebolendo la propria fede, la propria testimonianza come quando a minare il corpo è anche solo il mignolo che si ammala».

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ZENIT Staff

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