di Chiara Santomiero
ROMA, domenica, 25 aprile 2010 (ZENIT.org).- “Siamo diventati o siamo tornati contemporanei dei primi cristiani: in un contesto di vivace pluralismo culturale e religioso, la fede cristiana torna ad essere una questione di adesione personale”.
E’ la premessa dalla quale è partito Guido Gili, sociologo della comunicazione presso la Luiss, nel suo intervento nel corso della tavola rotonda “La fede nella Rete delle relazioni: comunione e connessione”, proposta dal convegno “Testimoni digitali. Volti e linguaggi nell’era cross mediale”, conclusosi questo sabato a Roma.
“La nostra situazione – ha proseguito Gili – è simile a quella di Paolo, quando predicava nell’agorà di Atene, dove una moltitudine di dèi convivevano e competevano tra loro”. Anche il sistema dei media “si configura come un Nuovo Areopago e quindi chiede un atteggiamento che si ponga in una continuità ideale con quello di Paolo”.
Un’agorà particolare
Bisogna stare attenti, però, a capire bene la metafora proposta per non correre il rischio di semplificazioni fuorvianti: quella mediatica, infatti, è una “piazza particolare in cui coloro che vi ‘camminano’ hanno una visione focalizzata, vedono solo ciò che è oggetto della loro attenzione selettiva”.
Questo ha un aspetto positivo e uno negativo perché, da un lato, “è il fruitore a decidere, attraverso le sue scelte di navigazione, il percorso da compiere ed è quindi sempre il co-autore della comunicazione”, ma dall’altro c’è “la predeterminazione di ogni incontro che si farà sulla piazza, perché l’esposizione e l’attenzione selettiva di coloro che vi si affacciano si dirige prevalentemente su ciò verso cui nutrono già un interesse”.
Diventa, quindi, fondamentale “l’aspetto della credibilità dell’emittente, cioè l’aspetto dell’apertura di fiducia che il ricevente è disposto ad attribuirgli prima ancora di impegnarsi in una relazione con lui”. Perché se non c’è questa “credibilità anticipata, questa aspettativa positiva, che apre alla relazione, in realtà la possibilità di un ‘incontro’ nel senso forte del termine non avviene”.
Lo spazio della cacofonia
L’ambiente mediale è anche “lo spazio della cacofonia, proprio perché aperto, sempre più caotico e frammentato, soggetto alla più grande confusione” dove il relativismo dei valori e degli stili di vita “non è un fatto filosofico o teoretico, ma eminentemente pratico, pragmatico: tutti i contenuti e tutti i programmi e generi hanno lo stesso valore potenziale e a tutti è riconosciuto lo stesso valore purché si ‘facciano vedere’, siano in grado di suscitare l’interesse di qualcuno, assicurino audience e introiti pubblicitari”.
In questo contesto, diventa essenziale “saper riconoscere, valutare le voci sulla base del criterio del rispetto della dignità delle persone perché non è mai indifferente il modo in cui si parla dell’uomo e della sua vita”.
Occorre inoltre che “la Chiesa sappia parlare con una pluralità di voci, che corrispondono alla pluralità delle esperienze e delle sensibilità ecclesiali, personali e di gruppo, ma esprimendo una sostanziale unità” con una “competenza comunicativa che al tempo dei social network non può riguardare solo gli specialisti e i professionisti, ma anche tutti coloro che si uniscono al coro”.
I media sono diventati, inoltre, “un gigantesco campo di battaglia per conquistare consumatori, per la propaganda politica, per l’affermazione di ideologie” e nel quale il potere è distribuito in maniera fortemente diseguale.
Nel caso dei media, secondo Gili, “la giustizia distributiva è anche una giustizia relazionale” e questo “è un campo privilegiato di una azione per la giustizia, e anche di una critica sociale, di cui i cristiani devono farsi protagonisti”.
Vivere bene al tempo della Rete
“La sfida posta dalle nuove tecnologie digitali – ha dichiarato padre Antonio Spadaro, redattore de “La Civiltà Cattolica”, intervenendo alla tavola rotonda – non è usare bene la rete ma vivere bene al tempo della rete”, il che significa “imparare ad essere connessi in materia fluida, naturale, etica e anche spirituale. Vivere la Rete come ambiente di vita. Internet non è un martello, uno strumento, ma un ambiente da vivere”.
Piuttosto, bisogna interrogarsi su come cambia il modo di comprendere il cristianesimo da parte dei credenti. “Navigare – ha affermato padre Spadaro – è il luogo delle risposte che raramente sono univoche”.
Se si digitano sui motori di ricerca le parole “God, religion, spirituality, si ottengono centinaia di milioni di risposte. C’è una ricerca di religiosità a cui la religione tradizionale non sa rispondere bene”.
E se c’è un “rischio di religione a portata di mouse”, occorre però considerare “il possibile cambiamento radicale nella percezione stessa della domanda religiosa”.
Bussola, radar o decoder?
“Una volta l’uomo era chiamato ad orientarsi con la bussola verso una fonte di senso precisa che era la religione tradizionale”, ha proseguito padre Spadaro. In seguito, più o meno dagli anni Settanta del XX secolo, “si è trasformato in un radar aperto a 360 gradi alla ricerca di un messaggio”. Oggi “diventa un decoder, un sistema di decodificazione delle domande in base alle molteplici risposte che lo raggiungono”.
“Siamo sovrastati dall’informazione – ha aggiunto -, ma il problema è decodificarla in base alle molteplici risposte possibili”. “Testimonianza digitale” diventa allora “rendere ragione della speranza laddove le risposte si confrontano velocemente e selvaggiamente”.
E’ quindi “la teologia spirituale che ha le risposte per la Rete perché la chiave fondamentale è il discernimento”. Oggi, secondo padre Spadaro, “la risposta è il luogo di emersione della domanda”. La sfida è “formare educatori spiritualmente capaci di discernere le domande vere all’interno del parco a disposizione”.
La “googlizzazione” della fede
Secondo padre Spadaro, “è il caso di educare le persone al fatto che ci sono realtà che sfuggono sempre e comunque alla logica del ‘motore di ricerca’ e che la googlizzazione della fede è impossibile perché falsa”.
Se digito sul motore di ricerca Google la domanda “Esiste Dio?”, “mi vengono fornite migliaia di risposte indirette” mentre “un motore di ricerca semantica come Wolfram/Alpha afferma ‘non sono in grado di dare una risposta semplice a questa domanda’”. Questo perché “un motore ‘sintattico’ quale è Google si preoccupa unicamente di ‘censire’ le parole che ci sono all’interno di un testo senza tentare di determinare il contesto in cui queste parole vengono utilizzate, mentre la ricerca semantica tende ad interpretare la domanda nel suo contesto”.
“Il modo in cui si pone la domanda – ha sottolineato padre Spadaro – può influenzare l’efficacia della risposta, e dunque deve essere ben posta”, e “la ricerca di Dio è sempre semantica e il suo significato nasce e dipende sempre da un contesto”.
“Il Vangelo – ha proseguito il sacerdote richiamando il discorso dell’allora Cardinale Ratzinger al convegno “Parabole mediatiche” – non è un’informazione tra le altre e la fede non è una merce da vendere in maniera seduttiva, ma atto dell’intelligenza dell’uomo che dà liberamente il suo consenso a Dio”.
Il rapporto Chiesa-Rete
“Il punto critico del rapporto Chiesa-Rete è il concetto di dono”, ha affermato il religioso. La Rete “è il luogo del dono – e i social network sono l’esempio dell’abbattimento del profitto –, ma più che di dono, si tratta di scambio, in una prospettiva di reciprocità”. E’ la logica del “peer-to-p
eer, nodo a nodo: condivido ciò che ho nel momento in cui lo ricevo, in un processo di scambio”. La logica del dono in rete, ancora, “è quella dei freebies, i prodotti gratuiti creati dagli utenti del web che vengono presi liberamente”.
Tutto ciò sta formando un modo di comprendere la realtà problematico a livello teologico: “la Grazia non si prende, ma si riceve. Non è free, ma, citando Bonhoeffer, “a caro prezzo”. La logica della Grazia crea “legami ‘face to face’, mai nodi di una rete, ma persone”.
“Da luogo di connessione di nodi – ha affermato richiamando ancora l’intervento del Cardinale Ratzinger – , per vocazione la rete è diventare luogo di comunione e la sfida è diventare intagliatori di sicomori”.
“La cultura digitale – ha concluso padre Spadaro – è abbondante di frutti da intagliare per aiutarne la maturazione e il cristiano è chiamato a compiere quest’opera di mediazione tra il Logos e la cultura digitale”.
Evangelizzare attraverso i media
Ci sono dei segreti per evangelizzare attraverso i media? Almeno sette, secondo il padre gesuita olandese Roderick Vonhögen che ha creato Star quest production network (Sqpw), cioè “Rete di produzione alla ricerca della stella”, un sito che offre contenuti dei generi più diversi, trattandoli con un’ottica cristiana, e raggiunge ogni giorno 250.000 mila persone.
Per prima cosa “non aspettare che la gente si unisca a te, ma cercala nel campo dei suoi interessi, come Dio che fa apparire la stella cometa nel cielo che i magi stanno già scrutando”. Il lavoro di Sqpw è guidato, infatti, “dalla storia dei Re Magi portati dalla stella alla capanna di Betlemme: come fa Dio a raggiungere le persone che non credono?”.
I Re Magi, incuriositi dalla stella, iniziano a porre domande: “bisogna stimolare l’audience ad esplorare, alimentando la relazione con altri incontri, cioè iniziando un viaggio come i Magi”.
L’obiettivo è quello di “far crescere la relazione, non soltanto generare milioni di visite. E’ importante la qualità del rapporto”.
E’ necessario, inoltre, “dare alla gente compagni di viaggio, far incontrare la comunità ecclesiale, stimolare la partecipazione del pubblico coinvolgendolo nella produzione dei programmi”. E per finire, “prendersi cura dei propri fans. I Magi tornano cambiati; non sono più solo dei seguaci ma piccole stelle che attirano a loro volta verso Gesù”.
“La testimonianza personale – ha affermato padre Vonhögen – è fondamentale nel ‘marketing’, ma anche nell’evangelizzazione”. Perché, infatti, “fidarsi di un’ istituzione anonima, impersonale?”.
“Questa – ha concluso il sacerdote – è oggi l’immagine della Chiesa nei media, ma è molto più naturale fidarsi di un amico”.