di Carl Anderson*
NEW HAVEN (Connecticut), mercoledì, 21 aprile 2010 (ZENIT.org).- Agli inizi di aprile, la rivista tedesca Der Spiegel ha rincarato la dose, nella recente ondata di attacchi alla Chiesa, con il seguente titolo: “La fallita missione di Joseph Ratzinger”.
Missione fallita? Al contrario.
Persino secondo i parametri del mondo, questo papato risulta straordinario. Papa Benedetto XVI ha guidato la Chiesa avvicinandola, con amore, alla cultura in cui siamo immersi. Le sue due encicliche sulla carità, quella sulla speranza e la sua lettera sull’Eucarestia – Cristo al centro della nostra fede – ci hanno riportato al messaggio più fondamentale e profondo del Cristianesimo: fede, speranza e carità. Il Cristianesimo di Benedetto è il Cristianesimo delle Beatitudini.
Il motivo per cui alcuni vedono questo pontificato come un “fallimento” è perché lo vorrebbero vedere così. Sono molti in Europa che vorrebbero vedere fallire questo papato – come ogni altro papato – perché la posizione della Chiesa contrasta con i loro programmi laicisti.
Ciò che alcuni non possono tollerare è quella visione profonda, presente nell’ultima enciclica di Benedetto XVI, “Caritas in veritate”, in cui il Papa ci ricorda che: “Senza Dio l’uomo non sa dove andare e non riesce nemmeno a comprendere chi egli sia” (n. 78).
Domenica scorsa abbiamo ascoltato il Vangelo in cui Cristo chiede a Pietro: “Mi ami tu?”. E Pietro risponde di amarlo. Ma egli è in grado di rispondere così solo perché Cristo lo ha amato per primo. Il laicista, invece, volta le spalle all’amore di Dio e respinge l’invito di Cristo di contraccambiare il suo amore.
Non dobbiamo dimenticare che i due grandi comandamenti di Cristo sono di amare Dio con tutto il cuore e il nostro fratello come noi stessi. Ma è il primo che conduce al secondo. Eliminando il primo comandamento, il secondo non sarà più in grado di realizzare ciò che promette.
Il sogno di una società secolarizzata non è altro che un’utopia.
Nella “Caritas in veritate”, Papa Benedetto XVI ribadisce quanto già affermato nella “Deus caritas est”, ovvero che nessuno Stato potrà mai essere così perfetto da non avere bisogno della carità. “Quando la carità lo anima, l’impegno per il bene comune ha una valenza superiore a quella dell’impegno soltanto secolare e politico”, scrive il Papa (n. 7).
L’idea che le soluzioni ai problemi di questo mondo si trovino nel Vangelo e non nel secolarismo è un tema che questo Papa propone da lungo tempo. Egli sottolinea costantemente che la Chiesa si differenzia dalla società secolare in quanto non cerca un messia politico, ma chiama incessantemente le persone alla conversione.
Una società che non lascia spazio a Dio – anche nelle sue forme di comunicazione sociale – non riserva alcuno spazio neanche al suo messaggio, e alcuni tentano di eliminare il suo messaggero, attaccandosi a tutto pur di screditarlo.
Il Papa, che ci chiama alla carità nella verità, che ci mette in guardia dal collasso economico causato dall’esclusione dei valori religiosi dal mercato, che si impegna al massimo per affrontare e rimediare alle azioni di quei preti che hanno causato scandalo, questo uomo è bersagliato, perché crede che noi possiamo amare autenticamente il nostro prossimo solo se prima abbiamo permesso a Dio di amarci.
Questa idea, a prescindere da quante volte possa essere comprovata dai fatti, è un qualcosa che la mente laicista proprio non riesce a tollerare. Si tende quindi subito a dare un giudizio preconcetto e a tentare di screditare il Papa.
Il campione della carità nella verità non ha ricevuto né carità, né verità, da molte persone che lavorano nei media.
Esiste oggi una cultura del sospetto contro la Chiesa cattolica, in cui ad ogni accusa mossa dai detrattori della Chiesa viene data credibilità, mentre ogni spiegazione in difesa della Chiesa sembra essere insufficiente.
Come si può spiegare altrimenti la frenesia attuale dei media contro l’uomo che ha fatto più di chiunque altro per gestire efficacemente coloro che hanno commesso abusi sui minori?
Lo Spirito Santo continuerà a guidare Papa Benedetto XVI nel suo grande impegno che lo contraddistingue, a testimonianza dell’amore di Cristo.
Spetta a noi seguire la testimonianza del nostro Papa. Dobbiamo schierarci con Papa Benedetto e dire sì all’amore di Cristo, e poi portare quell’amore al nostro prossimo, alla nostra società. Dobbiamo evangelizzare attraverso la nostra testimonianza.
Il cattivo esempio di alcuni – i loro abusi e le loro manipolazioni – è stato ulteriormente strumentalizzato da parte di altri, nel tentativo di screditare l’autentico messaggio cristiano. È per questo che gli scandali sono così dannosi, ma è anche per questo che la nostra testimonianza è così importante.
Nel 2000, l’allora cardinale Ratzinger ebbe a dire che l’arte di vivere “la può comunicare solo chi ha la vita – colui che è il Vangelo in persona”.
Noi dobbiamo essere il Vangelo in persona e dire sì all’amore di Cristo, sì ad amare Cristo. Dobbiamo poi estendere l’autentica carità nella verità al nostro prossimo. Allora il mondo vedrà che siamo cristiani perché ci amiamo l’un l’altro e che il modo in cui ci amiamo riflette il modo in cui siamo stati per primi amati da Dio.
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*Carl Anderson è il Cavaliere supremo dei Cavalieri di Colombo e autore di bestseller secondo la classifica del New York Times.