di Mariaelena Finessi


ROMA, mercoledì, 21 aprile 2010 (ZENIT.org).- «Nell'accogliere gli stranieri è evidente l'assenza di una risposta progettuale: il sistema è saturo e si basa solo sull'emergenza». La denuncia di padre Giovanni La Manna, direttore del Centro Astalli - il servizio dei gesuiti che fornisce assistenza ai rifugiati - arriva nel corso della presentazione a Roma, oggi, del secondo rapporto Italia dell’European Migration Network su “Minori non accompagnati, ritorni assistiti, protezione internazionale”.

Inoltre, spiega padre La Manna, il pacchetto sicurezza ha messo in luce il fallimento di certe politiche sui respingimenti, specie dopo dopo gli accordi con la Libia per il presidio delle coste meridionali: «È giusto – dice - non avere alcuna pietà per chi specula sui disgraziati ma, sia chiaro, se questi poveretti non arrivano più sulle nostre coste non è detto che abbiamo colpito i trafficanti. Loro, i trafficanti, hanno solo cambiato rotta».

I dati raccontano una realtà complessa e, purtroppo, difficile. Soprattutto per i minori che fuggono dai Paesi in guerra o in cui vige la tortura. Nella maggioranza dei casi (76,8%) hanno tra i 16 e i 17 anni e arrivano in Italia da soli, soprattutto dal Nord Africa, dal Medio Oriente e sempre più dall'Afghanistan. Sono giovani vite a cui spesso non si riesce a dare una identità: il rapporto European Migration Network - condotto dal centro studi Idos, per conto dell’Unione Europea e del ministero dell’Interno - ne registra 6.587 al terzo trimestre del 2009 mentre alla fine dell'anno precedente erano circa 8 mila.

Dunque, sembrerebbe esserci stato un calo di presenze, eppure il fenomeno si chiarisce con «le pratiche adottate dal Governo italiano in materia di contrasto all'immigrazione clandestina - è scritto nel dossier - e con gli accordi stipulati con le autorità libiche», che hanno ridotto drasticamente il numero degli sbarchi sulle coste meridionali. Ma c'è di più: «Nel calcolo - spiega Antonio Ricci, del centro studi Idos – non vanno considerati quei diciassettenni che nel corso dell’anno sono diventati maggiorenni, quindi irregolari e, da qui, espulsi per reato di clandestinità».

Infatti, una delle questioni sollevate dal rapporto ha a che fare proprio con le modifiche normative introdotte nel 2009 dal pacchetto sicurezza, che prevede il rilascio del permesso di soggiorno al compimento della maggiore età, ponendo condizioni più rigide rispetto al passato. Ad ogni modo, come chiarisce lo studio, il dato delle presenze «non è esaustivo rispetto alla reale consistenza del fenomeno, in quanto non sono compresi i richiedenti asilo, le vittime di tratta, oltre a quelli che non sono mai entrati in contatto con il sistema nazionale di accoglienza e i minori provenienti da Paesi di recente ingresso nella comunità Europea, come i rumeni ad esempio, che quindi non figurano più come stranieri».

La speranza, per tutti questi ragazzi, è di arrivare in uno Stato – ed è il caso dell'Italia - di cui le tv mostrano un aspetto edulcorato. Il miraggio è quello di un lavoro stabile, di una ricchezza facile e di uno stile di vita fatto di agi e benessere. La realtà, tuttavia, è quasi sempre più amara. «In questo tempo di crisi e di precarietà - spiega monsignor Giancarlo Perego, direttore generale della Fondazione Migrantes -, che colpisce soprattutto le famiglie e i lavoratori stranieri, se non si desidera assistere all'aumento del lavoro nero e dello sfruttamento, occorre fortemente investire sul piano sociale in misure di tutela, che comprendano anche il ritorno in patria assistito».

«Guardando i numeri - sottolinea il direttore della Migrantes - vediamo che l’Italia mediamente ogni anno vede la richiesta di protezione di 16 mila persone. Non è un numero impossibile da gestire, se il carico sociale è distribuito sugli 8 mila Comuni d’Italia, dentro un quadro di federalismo solidale». Ciò significa forse «riconoscere al Nord, per i minori, e al Sud, per i richiedenti asilo, una vocazione sociale da sostenere con politiche adeguate e risorse significative e non marginali».

E la protezione e l’accompagnamento, «più che i respingimenti – conclude monsignor Perego - sono il segno intelligente di una politica europea che legge il fenomeno globale della mobilità». Un fenomeno che non ha solo basi finanziarie o politiche ma che, anzi, deve mirare alla costituzione di un'Europa «sociale», fondata, in primis, sul «diritto di cittadinanza, così come ci hanno insegnato i maestri La Pira e Moro».

Una cittadinanza che «almeno nella visione della Chiesa - spiega padre Federico Lombardi, portavoce vaticano - non ha confini o frontiere perché quel che conta è essere persone umane in cammino». Un'espressione, quella del gesuita, che non è una mera dichiarazione di principi: in materia di immigrazione la Chiesa «è anzi coinvolta in attività concrete».

Tanto più che quello dell'accoglienza dei migranti è da sempre all'attenzione del Papa, il quale ne ha parlato durante il suo recente viaggio a Malta e anche all’odierna udienza generale, chiedendo ai Paesi «che hanno i valori cristiani nelle radici delle loro Carte Costituzionali e delle loro culture» di fare ogni sforzo per affrontare il problema con spirito umanitario, «concertando gli interventi a livello internazionale».