Il monachesimo: una via per unire i popoli dell'Europa?

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di Paolo Tanduo

MILANO, lunedì, 19 aprile 2010 (ZENIT.org).- Il 18 marzo scorso si è svolto a Milano l’incontro con il vicedirettore del TG5 Andrea Pamparana organizzato dal centro Culturale cattolico san benedetto (www.cccsanbenedetto.it) insieme al Comitato Soci Coop Baggio. A partire dalla sua trilogia (Benedetto – Bernardo – Abelardo) sul monachesimo abbiamo discusso del tema “Il monachesimo: una via per unire i popoli dell’Europa?”.

Mai come oggi l’Occidente ha bisogno di monaci, di veri benedettini, di veri cistercensi e perché no di veri certosini anche se ci paiono anacronistici perché non si occupano di sociale, ha iniziato cosi il suo intervento Andrea Pamaparana. San Benedetto ha giocato un ruolo fondamentale nella storia dell’Occidente, dell’Europa. Non fu solo un gigante della Fede, il fondatore del monachesimo occidentale, ma anche l’iniziatore di un colossale progetto culturale.

Sotto la sua Regola, migliaia di monaci sparsi per l’Europa salvarono l’economia e i libri, il sapere degli antichi, la filosofia di Platone e Aristotele. Essi preservarono gli elementi fondamentali della civiltà greco-romana. Da uomini colti seppero poi trasfondere nel fiume della cultura antica anche le forze nuove di una comprensione biblico-cristiana dell’essenza umana. I monaci raccolgono quella eredità, la arricchiscono e la diffondono. Questa fusione tra Gerusalemme, Atene e Roma è l’atto culturale costitutivo di ciò che noi chiamiamo Europa.

Oggi c’è una rinnovata sete di Dio e di autenticità. Io chiedo ai miei amici della Chiesa, ha detto Pamparana, di parlarmi di Dio perché Dio è un mistero. C’è tanta gente che si interroga sulla morte, sulla vita, sulla scienza e su Dio. Pamparana ha raccontato alcuni episodi della sua vita legati a Giovanni Paolo II e di come abbia rappresentato, con la sua testimonianza in particolare nel momento della sofferenza dovuta alla malattia, qualcosa di straordinario che rimarrà nella storia non solo dei cristiani.

Come Giovanni Paolo II anche Benedetto, Bernardo, Abelardo rappresentano qualcosa che vale non solo per i cristiani o per chi crede in un Dio ma per l’uomo, per la persona, per la collettività, sono patrimonio di tutti. L’articolo 1 della costituzione della regola benedettina è “Ascolta o figlio le parole del Maestro”. Questa regola è fondamentale in una società come la nostra dove la parola ascoltare è desueta. L’atteggiamento di san Benedetto è qualcosa di profondamente legato alla concezione che aveva della sua missione. Benedetto non pensava: “adesso salvo il mondo occidentale in un periodo di ferocia inaudita”.

I monaci benedettini hanno fatto la riforma di tutto il sistema agrario, la bonifica dei campi, rilanciato l’economia europea, il loro contributo spaziò in tutti i campi. Basti ricordare che fu un monaco a inventare la notazione della musica col pentagramma nel monastero di Pomposa. Questa loro attività non era finalizzata però a salvare l’umanità.

Benedetto voleva solo cercare e servire Dio come ricordato da Benedetto XVI nel suo discorso al collegio dei bernardini a Parigi nel 2008: “a causa della ricerca di Dio, diventano importanti le scienze profane che ci indicano le vie verso la lingua. Poiché la ricerca di Dio esigeva la cultura della parola, fa parte del monastero la biblioteca che indica le vie verso la parola. Da questa esigenza intrinseca del parlare con Dio e del cantarLo con le parole donate da Lui stesso è nata la grande musica occidentale”.

Benedetto spiega ai suoi monaci che è con Gesù che la storia cambia. Il concetto che abbiamo di democrazia nasce da Atene ma non era per tutti, non era di massa, era solo per pochi perché nel mondo antico c’erano gli uomini, che non lavoravano, e c’erano gli schiavi. Gesù è la novità a partire dalla quale gli uomini sono tutti uguali.

Sarà Benedetto a portare a compimento ciò. Benedetto ci dimostra oggi che l’uomo per stare in piedi e rimanervi ha bisogno di due dimensioni: l’ora et labora, l’azione e la contemplazione. E’ dalla Regola che si espande quel sentimento e quel desiderio di servire Dio che diventa il legame fondamentale con la cultura occidentale e con la riscoperta della cultura greca così che oggi “Non possiamo non dirci cristiani”, perché riconosciamo in Atene e Gerusalemme e Roma quella triangolazione che fa parte della nostra cultura e di quelli che pensano che non sia così.

Benedetto, scrive Pamparana nel suo libro, indicava ai suoi discepoli le due strade del monachesimo: la prima strada che guarda verso l’interno dell’uomo, essere monaco ovvero raccogliere in sè tutte le facoltà in un’attenzione e un’obbedienza esclusiva a Dio; l’altra, essere monaco verso il prossimo.

Bernardo avrebbe voluto fare il monaco chiuso nel chiostro a pregare ma poche persone hanno percorso tanti chilometri come lui. I Papi avevano sempre bisogno di Bernardo per risolvere problemi anche di natura politica, le sue lettere sono capolavori di strategia politica. Quando Bernardo venne a Roma, Papa Innocenzo, che era un monaco, si alzò per andargli incontro, quasi a volersi lui inchinare, i cardinali nella sala rimasero turbati, come era possibile: il Papa va verso Bernardo e non il contrario.

Viene alla mente l’immagine di Giovanni Paolo II che diventato Papa riceve i cardinali per il saluto e quando arriva il momento del cardinale Wyszyński gli impedisce di inginocchiarsi, perché lo considerava come un padre a cui lui avrebbe dovuto rendere omaggio. Lo stesso accadde tra Papa Innocenzo e Bernardo. Bernardo era un gigante, avrebbe potuto essere Papa, re, imperatore, ha detto Pamparana. Era talmente stimato che il re di Francia lo chiamò per amministrare le sue terre.

Bernardo viene a Milano reduce da un viaggio in Germania dove era andato per sedare e rimproverare duramente un monaco che aveva accusato gli ebrei di deicidio scatenando un vero e proprio pogrom. Bernardo considerava gli ebrei come fratelli maggiori e per questo viene da loro stimato. A Milano arriva forte di questa popolarità conquistata anche in Germania e i milanesi gli chiedono di diventare cardinale-arcivescovo. Ma a Bernardo non interessava, lui aveva solo fretta di tornare al suo monastero e accudire i suoi monaci, perchè per la maggior parte del suo tempo predicava ai monaci.

I suoi sermoni importantissimi, in particolare i commenti al Cantico dei cantici, vennero raccolti dai suoi monaci, come le sue numerose epistole il cui metodo di catalogazione viene ancora oggi studiato dai sistemisti. I milanesi regalarono a Bernardo un candelabro, capolavoro orafo ancora oggi conservato nel Duomo di Milano, per convincerlo, ma lui rifiutò.

Sì, il chiostro e la strada, mai titolo fu più adatto per narrare la storia di Bernardo. Una storia dove, appunto, il mistero della vita nel chiostro non conduce all’oblio circa gli affanni dell’esistenza, le contraddizioni della storia, ma al contrario ti ci tuffa dentro.

In occasione della morte di Gerardo, il suo fratello più caro, gli altri monaci lo vedono piangere e si chiedono: ma come ci hai sempre insegnato che la morte è la liberazione che ci consente di andare a Dio ed ora piangi? Rimangono sconvolti. Bernardo risponde in modo geniale, Bernardo è un uomo e soffre per la morte del suo amico, ma come fa a risolvere il problema educativo nei confronti dei monaci, “io piango di gioia, di invidia, beato te che finalmente sei col Padre nostro”. Bernardo nasconde una cosa che è meravigliosa la debolezza degli uomini.

Da un siffatto chiostro sei inesorabilmente trascinato sulle strade. Il silenzio del Monastero si popola delle grida di angoscia, della domanda di senso dell’uomo della strada. E capisci, non con dotte argomentazioni, bensì mediante la testimonianza della vita di Bernardo e dei suoi compa
gni, che l’Europa ha queste radici. Ha radici nutrite alla linfa di grandi valori, grandi ideali, che affondano nel terreno fecondo della rivelazione ebraico-cristiana.

In Bernardo emerge la vivacità intelligente ed operosa della cultura religiosa medioevale. Una cultura dove fede e vita s’intrecciano, dove il santo era uomo più capace di umanità, più acuto nel guardare al mondo e ai problemi della società.

Il movimento benedettino cresce e diventa importantissimo anche sul piano economico e politico come mostra il monastero di Cluny. I benedettini diventano potenti. Questa ricchezza infastidisce e provoca sconcerto nei giovani che cercavano l’essenzialità della regola benedettina. Nasce la riforma Cistercense. Bernardo si unisce a loro, viene fatta la carta della carità, primo esempio di carta costituzionale di unità europea.

Si costituisce una rete tra i monasteri, i monaci non erano francesi, tedeschi, spagnoli, ma solo monaci. Ma come facevano a comunicare? Semplice avevano il latino. Bernardo insieme ai suoi confratelli comincia a costruire monasteri in tutta Europa. Anche i cistercensi cominciano ad accumulare grandi ricchezze. Col rischio di perdere di vista il vero messaggio cristiano che ha al centro la persona.

In questo periodo il movimento benedettino e quello cistercense incontrano il movimento francescano che richiama alla povertà e alla vicinanza ai poveri. Nascono nel movimento del monachesimo i Banchi di santo spirito e i Monti di pietà, cioè la possibilità di aiutare il bisognoso, di dare al piccolo imprenditore ciò di cui ha bisogno: nasce l’economia moderna.

Oggi la nostra cultura vuole negare le sue origini, con conseguenze devastanti. L’altro è profondamente convinto delle sue origini e disprezza che io non apprezzi le mie. La nostra cultura ha radici profonde di uguaglianza tra tutti gli uomini, uguaglianza tra donne e uomini, di lavoro che nobilita l’uomo, di libertà. Pamaprana ha spiegato tutto ciò citando un episodio evangelico: Un giorno un gruppo di uomini condanna a morte una donna fedigrafa, se fosse stato il contrario l’uomo fedigrafo non sarebbe stato condannato. Ma arriva Gesù e dice “scagli la prima pietra chi è senza peccato”. Gesù ristabilisce l’uguaglianza tra tutti gli uomini e tra l’uomo e la donna. Ci insegna ad amare il nostro prossimo. Questi elementi non ci sono in altre culture. Sono presenti nella nostra.

Il carisma di Bernardo era tale che si racconta che le mogli per evitare che i loro mariti lo seguissero li chiudevano in casa quando passava.

La nostra cultura ha sicuramente tra i suoi protagonisti anche Abelardo che dice ai suoi giovani: “per credere, devi capire, devi conoscere, devi sapere”. Con Abelardo cambia la storia dell’educazione, cambia la storia dello studio, nasce l’università secondo la moderna concezione. L’influenza di Abelardo fu immensa.

La fine del XII secolo – incautamente definito come un’epoca oscura ma che rifulse invece di formidabile luce – gli deve il gusto del rigore tecnico e della straordinaria capacità di spiegare e farsi capire. Migliaia di giovani lasciavano le proprie case e da tutta Europa si riversavano, dopo lunghi e perigliosi viaggi, nelle scuole di Parigi e di Francia in cui il grande maestro insegnava. Come scrisse il grande filosofo francese Etienne Gilson: “Abelardo ha imposto uno standard intellettuale al di sotto del quale, ormai, non si accetterà più di ridiscendere”.

Spirito lucido e cuore generoso, uomo e maestro dominato dalla passione. Amò e fu riamato da una donna, Eloisa, la cui vicenda personale di intellettuale e poi di abbadessa si è intrecciata fino alla morte col suo antico maestro, poi sposo e quindi fratello nella Chiesa. Abelardo divenne monaco dopo l’incontro e la storia di passione con Eloisa.

L’incontro con l’altro grande uomo del suo tempo, Bernardo di Chiaravalle, alimentò secoli di leggende e maldicenze. Erano due giganti, si confrontarono e Bernardo sconfisse il maestro Palatino, ma rappresentarono le due facce di una stessa medaglia rilucente di luce, saggezza e santità. Bernardo aveva ragione come uomo di Chiesa ma Abelardo aveva ragione che per credere bisogna prima capire. Abelardo e Bernardo hanno consentito alla cultura europea di fare un salto enorme.

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ZENIT Staff

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