“Beati coloro che senza aver visto crederanno”

di padre Piero Gheddo*

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ROMA, lunedì, 12 aprile 2010 (ZENIT.org).- La Liturgia e le letture alle Messe del tempo dopo Pasqua sono centrate sulle apparizioni di Gesù risorto che confermano la sua Risurrezione e gli Atti degli Apostoli che raccontano la nascita della Chiesa fondata da Cristo e i suoi primi passi nel mondo e nella storia. I due aspetti della fede cristiana, la Risurrezione di Cristo e la Chiesa che nasce dal Risorto, e quindi la via per la salvezza per coloro che credono e vivono la fede, sono strettamente uniti, uno non sta senza l’altro.

I dubbi di Tommaso sono anche i nostri dubbi, quelli del mondo moderno. Tommaso chiede al Signore prove concrete della sua Risurrezione e Gesù glie le dà, ma dice: “Beati coloro che senza aver visto crederanno”.

Noi crediamo fermamente che Gesù è risorto, ma nella cultura del nostro tempo la fede non è facile. Siamo abituati al discorso della scienza: si crede solo in quello che si vede e si tocca con mano, si sperimenta. Non è un atteggiamento del tutto negativo, l’uomo moderno ha bisogno di concretezza. Quante volte, parlando con persone serie che non hanno il dono della fede mi dicono: “La fede è illogica. Dio mi ha dato la capacità di ragionar e poi pretende da me che io non ragioni più ma creda ciecamente a quello che mi dice la Chiesa, anche senza capire”.

Il motivo che spiega questa falsa illogicità è semplice. Dio ci dà la capacità di ragionare delle cose umane che con la ragione e l’esperienza noi possiamo capire,  dominare e cambiare, ma nel rapporto con Lui, Padre e Creatore di tutto e di tutti, conserva il mistero, ci nega per il momento la visione beatifica, per rendere meritoria la nostra fede. Se capissimo tutto non ci sarebbe più la fede. Noi siamo circondati dal mistero di Dio e dell’uomo stesso. Questo è il limite dell’intelligenza umana, arriva fino ad un certo punto, non di più.   

Alexis Carrel, Premio Nobel per la medicina negli anni Trenta del Novecento, scrisse un libro meraviglioso: “L’uomo, questo sconosciuto”, nel quale dimostra che, nonostante gli enormi progressi di tutte le scienze e specialmente di quella medica, l’uomo rimane un mistero e rimanda direttamente al Creatore, cioè a Dio. In quel libro Carrel dimostra concretamente che l’uomo è così complesso e difficile da spiegare, che inevitabilmente chi lo studia ad un certo punto si trova di fronte a molti misteri inspiegabili con la logica e la scienza umana. Più si va avanti a scoprire chi è l‘uomo e più aumentano i misteri che non riusciamo a capire e spiegare. L’esistenza di Dio Creatore è dimostrabile anche attraverso il mistero dell’uomo. Le teorie evoluzioniste possono studiare e dimostrare tutto quel che vogliono, ma la scintilla della vita divina nell’uomo, che è l’intelligenza, la coscienza dell’io, è indiscutibile che non viene, non può venire da un’evoluzione della materia. Richiede l’intervento di Dio Creatore e Padre degli uomini. Infatti non esiste negli animali. Oggi chiediamo a Dio di rafforzare la nostra fede nella Risurrezione di Cristo e che questa fede diventi il motore e la gioia della nostra vita.

1) Il Servo di Dio dottor Marcello Candia ripeteva spesso questa giaculatoria: “Signore, aumenta la mia fede”. Di fede ne aveva tanta, ma diceva: “La fede non basta mai”. L’assenso dell’intelligenza umana al mistero di Gesù che muore e risorge per liberare gli uomini dal peccato e dalla morte può essere superficiale e vacillante come una fiammella di candela, che un soffio spegne facilmente, e può diventare un sole sfolgorante che illumina e riscalda la vita. Se io, con l’aiuto di Dio (poiché la fede è un dono), credo fermamente, che Gesù è Dio, Figlio di Dio, il Messia e Salvatore di tutta l’umanità, che “non c’è al mondo altro nome in cui possiamo essere salvati”, come dice San Pietro” (Atti, 4, 12), allora la mia vita deve cambiare, non può più essere quella di prima.

2) La fede nel Signore Risorto può e deve diventare il principio primo ed ultimo del nostro vivere, il motore della nostra esistenza. Chi crede davvero nella Pasqua di Cristo, acquista le dimensioni esatte della fede, relativizzando tutto quel che mi capita. Ecco perché il credente in Cristo è capace di perdonare, di dimenticare, di essere generoso con gli altri, di superare prove e sofferenze anche gravi. Un esempio del Servo di Dio Giorgio La Pira che nel 1930, a 26 anni, diventa incaricato di diritto romano all’Università di Firenze. Poi partecipa ad un concorso per la cattedra universitaria, i risultati del quale, affissi nella bacheca dell’Università, lo dichiarano vincitore con i voti più alti di quelli degli altri partecipanti. Ma la cattedra non è affidata a lui, perché non aveva preso la tessera del Partito Fascista. I suoi amici gli dicono di protestare e si dichiarano disposti a firmare con lui la lettera di protesta. La Pira risponde: “Vi ringrazio, ma è inutile. So che sono vittima di un’ingiustizia, ma cosa volete che sia questo quando so che Cristo è risorto?”. Quando la fede nella Risurrezione diventa la luce e il motore della vita, tutte le mie vicende, le ingiustizie e le sofferenze ne sono relativizzate. Soffriamo certo, ma la fede in Gesù risorto, che è il modello e l’anticipo della mia risurrezione, mi impedisce di cadere in depressione, in disperazione. Offro tutto affinchè il Regno di Dio di giustizia e di pace venga fra gli uomini e sani tutte le ferite del peccato.

3) Terza riflessione sulla Liturgia di domenica. Gli Atti degli Apostoli congiungono strettamente la Risurrezione di Cristo con la nascita e i primi passi della Chiesa. La fede in Cristo non sta senza la fede nella Chiesa da Lui fondata. Quante volte si sente dire: “Io credo in Cristo, ma non nella Chiesa”. Un’espressione profondamente errata, che porta fuori strada. Il Cristo in cui crediamo è quello che ha fondato la Chiesa e che oggi ci viene riproposto dalla Chiesa, comunità divino-umana, nella quale gli errori e i peccati dei credenti non possono e non debbono diminuire la nostra fede.

La fede è assenso dell’intelletto, ma anche esperienza del cuore, da cui viene l’entusiasmo della fede che troviamo negli Apostoli e in tanti credenti anche oggi. E’ un dono di Dio e un’esperienza personale, che ci fa diventare spontaneamente missionari, come in genere sono i nuovi cristiani del mondo missionario. La Chiesa è la comunità in cui io vivo e mi formo a questa fede che cambia e dà gioia alla vita.

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*Padre Piero Gheddo (www.gheddopiero.it), già direttore di Mondo e Missione e di Italia Missionaria, è stato tra i fondatori della Emi (1955), di Mani Tese (1973) e Asia News (1986). Da Missionario ha viaggiato nelle missioni di ogni continente scrivendo oltre 80 libri. Ha diretto a Roma l’Ufficio storico del Pime e postulatore di cause di canonizzazione. Oggi risiede a Milano.

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ZENIT Staff

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