Omelia nel Giovedì Santo del Patriarca latino di Gerusalemme

Per la Messa della Cena del Signore nel Santo Sepolcro

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GERUSALEMME, giovedì, 1° aprile 2010 (ZENIT.org).- Pubblichiamo l’omelia pronunciata questo Giovedì Santo, nel Santo Sepolcro, da Sua Beatitudine Fouad Twal, Patriarca latino di Gerusalemme, nel presiedere la Messa della Cena del Signore, alla presenza di circa duecento sacerdoti e di una folla di pellegrini.

* * *

Questo è il mio Corpo … Fate questo in memoria di Me” (Lc 22:19)
Cari Fratelli nel Sacerdozio, … Fate questo in memoria di Me”
 (Lc 22:19)

Cari Fratelli nel Sacerdozio,
Care sorelle, cari fratelli,
In questa Città Santa, nel Cenacolo, il Signore Gesù prese del pane e del vino. Cambiando la preghiera rituale, Egli proclamò che il suo Corpo, significato dal pane, sarebbe stato offerto per noi e che il suo Sangue, significato dal vino sarebbe stato sparso per noi e per la remissione dei peccati.

In qualità di Eterno Sommo Sacerdote, “secondo l’ordine di Melchisedek”, Egli offrì non un sacrificio animale, ma uno spirituale. La sua totale obbedienza al Padre, manifestata attraverso l’accettazione della morte in croce, sarebbe stata l’unico sacrificio della Nuova Alleanza. Nei racconti dei Vangeli e negli altri scritti del Nuovo Testamento il Sacerdozio di Gesù, annunciato nell’Ultima Cena, troverà il suo compimento sul Calvario, a pochi da questa tomba vuota, davanti alla quale ora ci troviamo.

Più che mai in quest’anno, proclamato il 19 giugno 2009 da Sua Santità il Papa Benedetto XVI “Anno Sacerdotale”, siamo sollecitati a riflettere sul Sacerdozio di Cristo, alla luce delle parole di Eb 5,1ss, e sul nostro sacerdozio. Nell’Antica Alleanza i sacerdoti, presi da una sola tribù, immolavano vittime nel Tempio. Il nostro Sommo Sacerdote “non ha chiesto sacrifici né olocausti”, ma ha offerto la sua stessa vita per noi. Gesù, come afferma S. Agostino, fu ed è “nello stesso tempo Sacerdote, Vittima e altare”. Allo stesso modo, a noi è donato e chiesto di ripetere il Suo gesto, offrendo, come Melchisedek, pane e vino. A noi è inoltre chiesto di proclamare in prima persona e a far sì che i nostri fedeli proclamino con noi “la Sua morte finchè Egli venga ogni volta che noi mangiamo questo pane e beviamo questo calice” (1 Cor 11,26).

Nella Lettera di indizione dell’Anno dei Sacerdoti il Santo Padre cita le parole di san Giovanni Maria Vianney: “Il sacerdozio è l’amore del Cuore di Gesù”, sottolineando che si tratta in primo luogo del Cuore trafitto sulla Croce. I sacerdoti della Nuova Alleanza, “vasi di creta”, consapevoli della loro debolezza, sanno di essere amici di Cristo e non suoi schiavi. Essi sono ministri di una Nuova Alleanza (2 Cor 3,6), che hanno ricevuto misericordia (2 Cor 4,1) e così possono servire Dio e il suo gregge con amore e non nella paura (1 Cor 4,1).

Il sacerdozio di Cristo, nonostante i nostri limiti umani, ci costituisce nella dignità di offrire noi stessi “in sacrificio vivente, santo e gradito a Dio”, espressione del nostro culto spirituale, cioè razionale (cfr Rm 12,1-2). Senza il sacerdozio, quindi, “non potremmo avere il Signore con noi”, secondo le parole del santo curato d’Ars! E il Papa drammaticamente aggiunge che “senza sacerdozio la passione e la morte di Cristo rimarrebbero per noi inaccessibili”, quasi un semplice ricordo di un passato lontano, senza alcuna attualità ed efficacia nelle nostre esistenze. Ecco invece che attraverso le parole della consacrazione trova compimento la profezia di Malachia (1,11): “Dall’oriente all’occidente il Nome del Signore è grande fra le genti e dovunque un sacrificio e un’oblazione pura è offerto al mio Nome”. Si, senza sacerdozio l’opera della Redenzione non continua e non ha alcuna efficacia.

In quest’anno, inoltre, la Chiesa deplora le debolezze, le deviazioni e gli abusi dei sacerdoti per i quali anche noi chiediamo perdono. Tali fatti spiacevoli provano che “noi abbiamo questo tesoro in vasi di argilla e che quest’autorità straordinaria viene da Dio e non da noi” (2 Cor 4,7). L’ammissione delle nostre debolezze, imperfezioni e limiti – come afferma il Santo Padre – costituisce il primo e più importante passo. La nostra confessione e umiltà offrono un buon esempio. Il perdono del Signore e la comprensione del gregge ci aiutano e ci incoraggiano ad essere “una cosa sola con Cristo”, ad essere “altri Cristi”.

Cari fratelli e sorelle, è in questa città di Gerusalemme che il Signore Gesù ha istituito il sacerdozio in vita del ministero della Nuova Alleanza, secondo lo Spirito e non secondo la lettera, insieme al sacerdozio regale di ogni battezzato, uomo e donna, secondo le parole della 1 Pt 2,9. Grazie al battesimo, infatti, noi tutti siamo sacerdoti, profeti e re, rigenerati nell’acqua e nello SpiritoSanto, come figli spirituali di questa nuova Gerusalemme, aperta a tutti i popoli (cfr Is 2,2-3;Sal 87[86],5). Questo sacerdozio regale abilita ogni fedele ad offrire al Signore il sacrificio di lode, la propria vita, le sofferenze e i meriti quali oblazione spirituale gradita a Dio.

Spiritualmente uniti a tutti i sacerdoti e religiosi del mondo, in comunione con i nostri sacerdoti, religiosi e religiose e con tutti i fedeli che non hanno potuto essere qui con noi oggi, ringraziamo il Signore per il dono del nostro sacerdozio e per il dono dell’Eucaristia. Ringraziamo anche per il privilegio di vivere in questi luoghi santi.

Rinnoviamo insieme la nostra alleanza con il Signore e il nostro amore per Lui. Questo rinnovamento esprime la nostra ferma volontà di rimanerGli fedele ogni giorno e per sempre e significa anche la continua protezione del Signore, perché è Lui il nostro Dio e noi siamo i suoi ministri e rappresentanti. In verità, noi lavoriamo per Lui, agiamo in Nome suo e per il bene del Suo popolo, riscattato dal suo sangue prezioso. Diciamo ancora “si”, ripetendo le promesse della nostra ordinazione sacerdotale e della nostra consacrazione.

Cari Sacerdoti e Religiosi, oggi è il vostro giorno. E’ la vostra festa. Gioiamo insieme nel Signore. “Haec est dies quam fecit Dominus: Exultemus et laetemur in ea”. Amen!

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ZENIT Staff

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