di padre John Flynn, LC
ROMA, domenica, 21 marzo 2010 (ZENIT.org).- È in atto, nel mondo, un progressivo allontanamento dalla pena di morte, secondo i partecipanti ad un recente congresso. Gli attivisti contrari alla pena di morte si sono incontrati, dal 24 al 26 febbraio, a Ginevra, in Svizzera, nell’ambito del Congresso mondiale contro la pena di morte.
“È in atto una nuova tendenza contro la pena di morte, che è una novità per il mondo”, ha detto Mario Marazziti, portavoce della comunità di Sant’Egidio, alla Reuters, secondo un servizio pubblicato il primo giorno dell’assise.
Dai dati esposti da Marazziti e riportati dalla Reuters, 26 Paesi continuano a eseguire condanne a morte, mentre 141 non ne fanno più ricorso, 93 dei quali l’hanno abolita del tutto.
La Comunità di Sant’Egidio ha un sito Internet dedicato a promuovere l’abolizione della pena di morte, su cui sono pubblicati alcuni commenti di Marazziti al congresso.
Il 25 febbraio sono stati resi noti alcuni dettagli sul congresso e sull’uso della pena di morte.
Più di mille tra attivisti ed esperti hanno partecipato all’incontro e hanno ascoltato i dati illustrati da Amnesty International, secondo cui, nel 2008 sono state eseguite 2.390 condanne a morte.
I Paesi con le maggiori esecuzioni, nel 2008, sono Cina (1.718), Iran (346), Arabia saudita (102), Stati Uniti (37), Pakistan (36), Iraq (34), Vietnam (19), Afghanistan (17), e Corea del Nord e Giappone (15 ciascuno).
Possono sembrare cifre elevate, ha notato Marazziti, ma si tratta di un notevole progresso nella riduzione del numero dei Paesi che fanno ancora uso della pena capitale. Infatti, negli anni ’70, solo 23 Paesi avevano già abolito la pena di morte, abrogandola dai propri ordinamenti o cessando di ricorrervi, ha osservato.
Oggi invece sono circa 140 i Paesi senza pena di morte, ha sottolineato. Il numero esatto è un po’ incerto, poiché talune organizzazioni sospettano che in uno o due Paesi vi siano state sporadiche esecuzioni effettuate in segreto.
Riconciliazione
Tra le recenti conquiste contro la pena di morte, Marazziti ha sottolineato i casi di Cambogia, Ruanda e Burundi: “tre Paesi che hanno veramente sofferto degli ultimi tre grandi genocidi della storia contemporanea e che sentono che solo eliminando la pena di morte è possibile avviare un processo di riconciliazione nelle loro società. Diversamente, la vendetta e la sete di vendetta non finirà mai”.
L’abolizione della pena capitale in questi Paesi “ha un significato altamente simbolico, che può rappresentare una risposta a quei Paesi che dicono: 'abbiamo un alto livello di violenza e per questo abbiamo bisogno della pena di morte'”, ha osservato Marazziti.
Durante il congresso è stata proposta un’iniziativa diretta ad ottenere una moratoria di fatto sull’uso della pena di morte per il 2015. Questo è stato proposto come un passo verso l’abolizione totale.
L’anno 2015 coincide con la scadenza fissata nel 2000 dai Paesi dell’ONU nell’ambito degli Obiettivi di sviluppo del millennio, che stabiliscono degli obiettivi per la riduzione della fame, della povertà e della malattia e per migliorare l’istruzione e la salute.
Il 26 Marazziti ha pubblicato una sintesi del suo intervento di Ginevra. La pena di morte non è un deterrente efficace contro il crimine, ha sostenuto, perché si basa sulla legittimazione della cultura della morte. Egli ha anche affermato che è spesso accompagnata da discriminazione sociale, razziale ed etnica, e che gli errori giudiziari creano nuove vittime.
Errori giudiziari
Marazziti ha osservato che la pena di morte non incide in modo soddisfacente per le famiglie che hanno subito i crimini. La giustizia che ne risulta è distorta dal senso di vendetta e di ritorsione. Egli ha descritto la pena di morte come “uno strumento di giustizia proprio di uno stato infantile e primitivo di umanità, basato più sull’istinto”.
Marazziti ha osservato che molti dei partecipanti al congresso hanno riferito della necessità di generare un cambiamento nell’opinione pubblica in quei Paesi in cui la pena di morte è ancora praticata. Per fare questo occorre trovare più alleati e anche nuovi modi di comunicare il messaggio degli abolizionisti.
Spesso, nei Paesi in cui la pena di morte è in uso, vi è uno scarso dibattito sulla questione, ha sostenuto Marazziti. Inoltre, vi è un certo grado di ignoranza sulle questioni relative ai reati e all’uso della pena capitale.
Buona parte dell’attenzione dei media è dedicata alla pratica della pena di morte negli Stati Uniti. Anche lì essa è in declino, secondo un rapporto pubblicato alla fine del 2009 dall’organizzazione Death Penalty Information Center.
Il rapporto osserva che le sentenze di condanna a morte hanno continuato a diminuire nel 2009. Infatti, lo scorso hanno ha visto il numero più basso di condanne a morte sin dalla reintroduzione della pena capitale nel 1976.
Il culmine del ricorso alla pena di morte è stato toccato nel 1994, con un totale di 328. Nel 2009 il numero era sceso a 106, dopo sette anni di continua riduzione. Il maggior calo si è registrato nel Texas e nella Virginia, due Stati capofila nell’uso della pena di morte, osserva il rapporto.
Calo negli USA
Durante gli anni ’90 il Texas ha avuto in media 34 condanne a morte l’anno, mentre la Virginia 6. Nel 2009 il Texas era sceso a 9 sentenze, mentre la Virginia a 1.
Nell’insieme, nel 2009, in 11 Stati sono state prese in esame proposte legislative per l’abolizione della pena di morte. Il New Mexico è diventato il 15° Stato ad aver posto fine alla pena di morte, con la firma, da parte del governatore Bill Richardson, della legge a marzo. L’assemblea legislativa del Connecticut ha votato per l’abolizione della pena capitale, ma il governatore ha posto il veto al disegno di legge. Nel Colorado e nel Montana, le rispettive proposte di legge dirette ad abrogare la pena di morte sono state approvate da una Camera, mentre nel Maryland hanno sfiorato l’approvazione, secondo il rapporto.
Tra i fattori che vanno contro la pena di morte vi è quello dei costi, a cui gli Stati sono piuttosto sensibili. “Le elevate spese, con nessun beneficio misurabile sono state spesso citate nei dibattiti parlamentari sulla pena di morte”, osserva il rapporto.
Mentre il numero delle sentenze è diminuito, la quantità delle esecuzioni è aumentata nel 2009 rispetto all’anno precedente. Secondo il rapporto, questo è dovuto in parte a causa della moratoria de facto delle esecuzioni per quattro mesi nel 2008, mentre la Corte suprema analizzava la questione della legalità delle iniezioni letali.
Di conseguenza, nel 2009 vi sono state 53 esecuzioni. Questo numero risulta inferiore del 47% rispetto al decennio precedente. Solo 11 dei 35 Stati in cui vige la pena di morte hanno portato a termine un’esecuzione nel 2009. L'87% delle esecuzioni sono state effettuate nel Sud, mentre più della metà di queste si sono svolte nel Texas.
Il rapporto osserva inoltre che nove uomini che erano stati condannati a morte sono stati esonerati e liberati nel 2009, il secondo numero più alto di esonerati sin dalla reintroduzione della pena di morte.
Giustizia e perdono
Poco prima del congresso di Ginevra sono giunte buone notizie dal più grande esecutore di penda di morte: la Cina. L’alta corte cinese, la Corte suprema popolare, ha istruito i tribunali ad usare una politica di “giustizia contemperata dal perdono”, secondo l’Associated Press del 10 febbraio.
Le nuove linee guida richiedono alle corti di limitare l’uso della pena di morte a un numero assai esiguo di casi estremamente gravi.
Ciò nonostante, la battaglia continua, come dimostrano alcune notizie pervenute dalla Corea del Sud. Secondo un servizio del 25 febbraio di UCA News, la Corte costit
uzionale del Paese ha decretato che la pena di morte è giuridicamente legittima.
Cinque dei nove giudici della Corte costituzionale hanno sostenuto la pena di morte, mentre gli altri quattro sostenevano che fosse incostituzionale.
Il Vescovo Boniface Choi Ki-san, presidente della Commissione per la giustizia e la pace della Conferenza episcopale, ha detto a UCA News di sperare che il governo non utilizzi la decisione per tornare a usare la pena di morte. Non ve n’è stata una in tutto il Paese negli ultimi 12 anni.
“Attualmente la Corea del Sud è considerata di fatto tra i Paesi abolizionisti”, ha affermato il Vescovo. “Il governo non dovrebbe riprendere le esecuzioni dopo la decisione della corte”. Mentre la campagna contro la pena di morte ha riscosso notevole successo, la battaglia è ben lungi dall’essere conclusa.