La vita lapidata dalla legge

V Domenica di Quaresima, 21 marzo 2010

Share this Entry

di padre Angelo del Favero*

ROMA, venerdì, 19 marzo 2010 (ZENIT.org).- Gesù si avviò verso il monte degli Ulivi. Ma al mattino si recò di nuovo nel tempio e tutto il popolo andava da lui. Ed egli sedette e si mise a insegnare loro. Allora gli scribi e i farisei gli condussero una donna sorpresa in adulterio, la posero in mezzo e gli dissero: “Maestro, questa donna è stata sorpresa in flagrante adulterio. Ora Mosè, nella Legge, ci ha comandato di lapidare donne come questa. Tu che ne dici?”. Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo. Ma Gesù si chinò e si mise a scrivere col dito per terra. Tuttavia, poiché insistevano nell’interrogarlo, si alzò e disse loro: “Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei”. E, chinatosi di nuovo, scriveva per terra. Quelli, udito ciò, se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani. Lo lasciarono solo e la donna era là in mezzo. Allora Gesù si alzò e le disse: “Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?”. Ed ella rispose: “Nessuno, Signore”. E Gesù disse: “Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più” (Gv 8,1-11).

A proposito del gesto di scrivere per terra da parte di Gesù, trovo questo commento: “Gv usa in questo caso – unica volta in tutto il NT – il verbo katagraphò, che significa ‘tracciare segni, disegnare’, ma anche ‘mettere per iscritto un’accusa’. Probabilmente si tratta di un puro e semplice diversivo, che serve a Gesù per disinteressarsi del problema e di quelli che lo pongono…” (nota al v. 8,6 in “Vangeli e Atti degli apostoli”, Nuova versione ufficiale della CEI).

Un disinteresse sicuramente apparente, infatti: “Gesù, immerso nel tranello, rimane silenzioso, sembra persino disinteressarsi della donna posta là in mezzo. Poi, senza dire niente, ‘si china giù’ e si mette a scrivere ‘per terra col dito’. Questo gesto è sicuramente significativo perché, dopo aver risposto ai suoi interlocutori, lo compie di nuovo (v.8). Un gesto ripetuto, carico quindi di importanza, che trasmette più delle parole; un gesto misteriosamente evasivo” (M. Brunini, in “Maestro, dove abiti?”, Collana “Bibbia e spiritualità”, n. 21, p. 97).

Il Vangelo non precisa se la donna adultera, posta “in mezzo”, se ne stesse in piedi o fosse accasciata a terra dinnanzi a Gesù, ma se non lo era fisicamente, è verosimile che lo fosse moralmente, come fa intendere ancora l’autore citato: “Il ‘chinarsi’ richiama, anzitutto, l’attenzione. Il chinarsi fino a terra forse rivela la condivisione di colui che viene dall’alto, con coloro che giacciono nella polvere della terra, ossia nel peccato. Gesù, di fronte ad avversari sicuri delle proprie certezze e della propria legge, si pone ‘come colui che si confonde con la terra, che lascia le sue impronte sulla terra, che si fa peccato con coloro che vivono nel fango della morte’. Il chinarsi e l’alzarsi sono i gesti propri della compassione, della condivisione e della misericordia. Lo ‘scrivere per terra con il dito’ rinvia alla promessa della legge nuova scritta nei cuori (Ger 31,33-34). La misericordia divina, che trabocca dall’alleanza nuova donata agli uomini in Gesù, non è più scritta nella ‘pietra’ che uccide, ma ‘tracciata’ dallo Spirito nella ‘terra del cuore’” (id., p. 98).

All’interno di questo primo senso morale (la “terra del cuore” è la coscienza), la parola “terra”, viene a significarne un altro, gravido di valore ontologico, quello evocato dalla Bibbia quando canta con stupore il prodigio della vita umana, plasmata dalla “terra come prototipo originale (Gen 2,7) e poi ri-formata ogni volta nella “terra” del grembo: “Non ti erano nascoste le mia ossa quando venivo formato nel segreto, ricamato nelle profondità della terra. Ancora informe mi hanno visto i tuoi occhi; erano tutti scritti nel tuo libro i giorni che furono fissati quando ancora non ne esisteva uno” (Salmo 139/138, v. 15-16). La “terra” è dunque anche il grembo femminile, perfettamente progettato da Dio per accogliere, custodire e far crescere il piccolissimo essere che è già un uomo: già come persona; non ancora come ossa, muscoli e articolazioni.

L’incontro del Signore con la donna adultera richiama un altro famoso peccato di adulterio: quello del re Davide con Betsabea, moglie di Uria l’Ittita (2Sam 11-12). Anche sullo sfondo di tale secondo racconto appaiono le pietre che Gesù fa’ cadere oggi dalle mani dei farisei, dal momento che, dai tempi di Mosè, l’adulterio comportava per entrambi i colpevoli la pena di morte per lapidazione, come stabilito da quella Legge (Dt 22, 22-24) cui si appellano gli interlocutori di Gesù. Nel caso di Davide e Betsabea, però, ci sarebbe stata una terza vittima, innocente: il loro bambino, nascosto nella “terra” del grembo di Betsabea, la quale aveva fatto sapere al re: “Sono incinta” (2 Sam, 11,5).

Ma gli adultèri narrati da Samuele e da Giovanni non si somigliano solo per questi aspetti, bensì anche per l’ipocrisia e la malizia omicida che fa da sfondo oscuro ad entrambi. Infatti, all’insidia perversa che scribi e farisei tendono a Gesù corrisponde la premeditazione del re Davide, che non esita ad organizzare subdolamente l’omicidio del marito di Betsabea, dando alla sua morte procurata l’apparenza di una eroica caduta in guerra. E come Giovanni mette in scena un vero e proprio tribunale radunato in giudizio nei confronti della donna adultera, così anche Samuele conclude il suo racconto con il giudizio del re Davide, inesorabilmente smascherato dal profeta Natan.

Il messaggio di conversione che raggiunge noi da questi due racconti di miseria e di misericordia, è di assoluta attualità, dato che violenza e sopruso, ipocrisia e falsità, inganno e premeditazione omicida, costituiscono la trama quotidiana di una mentalità diffusa e perversa che certe nostre leggi contribuiscono a far acquisire sempre più, ammantate come sono di plausibilità, in forza di buone ragioni cliniche, educative e perfino umanitarie. Sappiamo, a drammatico esempio, che in Europa, ogni 11 secondi, una persona è “lapidata” nel grembo dalla legge, mentre nel mondo si aggira su 50 milioni il numero annuo di tali esecuzioni capitali.

Ha detto bene Giovanni Paoli II: “Tutta l’esistenza umana è, in un certo senso, un grande tribunale. La gente ascolta, sente, ma la verità qualche volta li raggiunge, e qualche volta no. Soprattutto nella nostra società moderna in cui si sono sviluppati tanto i modi del parlare, i metodi del parlare, tutti i cosiddetti metodi per comunicare il pensiero. La parola dell’uomo è diventata molto più potente; e questa parola più potente o testimonia la verità o il contrario” (G.P.II, in “Non temiamo la verità”, p. 188).

Parole chiare, parole che giudicano ed interpellano la nostra società, i nostri legislatori e governanti, i medici, gli operatori dei media, le famiglie, gli insegnanti, i sacerdoti, ecc., insomma: ogni persona di buona volontà, chiamata, in forza della sacralità della vita stessa che ha ricevuta in dono, a difenderne e promuoverne il rispetto incondizionato e il valore assoluto fin dal suo inizio, nel concepimento, e fino al suo termine, nella morte naturale.

Le ipocrite e legali pietre di oggi, sono i macigni della legge 194 e della legge 40; sono la vendita approvata delle varie pillole “dei giorni dopo” e dei vari
farmaci/mezzi contragestativi (spirale, RU 486); sono le pietre che eventualmente piomberanno sulla vita per lo smottamento/emendamento recentemente approvato dalla Camera in materia di idratazione e alimentazione di pazienti in coma. Emendamento studiato a tavolino per includere nella licenza di uccidere gli ammalati che non si trovano affatto lungo il piano irreversibilmente inclinato della morte naturale per causa patologica terminale, perché vivono su quel piano orizzontale di naturale sopravvivenza che si chiama “stato vegetativo persistente”.

Il dito del Signore, chinatosi a scrivere per terra di fronte all’adultera e ai suoi accusatori spietati, è quello che ha scritto sulle Tavole della Legge la Verità della vita (Es 31,18). E gli occhi di questa donna risuscitata dalla Misericordia, sono forse gli unici ad aver fissato con attenzione, e compreso, quei segni che per sempre le ricorderanno l’incontro più puro della sua vita, quello che l’ha purificata da tutti gli altri e l’ha restituita alla sua verità, dignità e libertà.

Una grazia offerta non solo a lei, ma anche a tutti quelli che “se ne andarono uno per uno, cominciando dai più anziani” (Gv 8,9). Infatti, smascherando con autorità e dolcezza la loro ipocrisia, il Signore ha purificato lo sguardo della loro coscienza, offrendo anche a loro, e ad ognuno di noi che lo abbiamo ascoltato oggi, la grazia della conversione da quel peccato che Gesù considera impedimento maggiore dell’adulterio per poter entrare nel regno dei cieli (Mt 21,31).

———-

* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E’ diventato carmelitano nel 1987. E’ stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.

Share this Entry

ZENIT Staff

Sostieni ZENIT

Se questo articolo ti è piaciuto puoi aiutare ZENIT a crescere con una donazione