ROMA, mercoledì, 17 marzo 2010 (ZENIT.org).- Una ragazza cristiana pakistana è stata bruciata viva per impedirle di denunciare uno stupro subito dal figlio dell'uomo musulmano presso il quale lavorava come domestica.
La giovane, Kiran George, ha riportato ustioni sull'80% del corpo ed è morta giovedì scorso dopo due giorni di atroce agonia, ricorda l'agenzia AsiaNews. Dopo aver subito la violenza, aveva minacciato di querelare il suo aggressore, che l'ha uccisa.
Il fatto è avvenuto a Sheikhupura, una cittadina del Punjab, e ricorda la tragica vicenda di Shazia Bashir, la ragazzina cristiana di 12 anni violentata e uccisa da un potente avvocato di Lahore, che a tutt'oggi non è stato condannato (cfr. ZENIT, 25 gennaio 2010).
In un primo momento, Kiran si era confidata solo con le amiche temendo di perdere l'impiego di domestica presso la famiglia del suo assalitore, Mohammad Ahmda Raza. Quando poi ha minacciato il giovane di riferire l'accaduto alla polizia, Raza l'ha cosparsa di benzina con l'aiuto della sorella e le ha dato fuoco.
Il padre del ragazzo, anziché portare Kiran in ospedale, ha chiamato i suoi genitori dicendo loro che i vestiti si erano incendiati mentre puliva la cucina. Prima di morire, la giovane ha tuttavia raccontato la vicenda alla polizia, che ha aperto un'indagine.
La folla contro i cristiani
Sempre nel Punjab, il 10 marzo scorso una folla di musulmani ha svaligiato e dato alle fiamme la casa di una famiglia cristiana.
Sembra che la scintilla che ha scatenato la rabbia degli estremisti sia stato il presunto coinvolgimento di un cristiano nell'assassinio del figlio di un latifondista della zona.
L'indagato, Yasir Abid, è "sottoposto al regime di custodia cautelare", ha dichiarato ad AsiaNews Peter Jacob, segretario esecutivo di Giustizia e Pace della Chiesa cattolica pakistana (Ncjp).
Le famiglie cristiane hanno denunciato anche "l'incendio deliberato" di alcune copie della Bibbia custodite all'interno della casa.
La polizia ha avviato le indagini e valuterà se aprire un'inchiesta anche per il reato di blasfemia. In questo caso, ha spiegato Jacob, la magistratura "non agirà in base alla sezione 295-B del Codice Penale pakistano", che prevede pene fino all'ergastolo per chi dissacra il Corano ma non contempla i libri sacri di altre confessioni religiose.
"Siamo contro le leggi sulla blasfemia - ha dichiarato Peter Jacob -, e questo vale a prescindere dal testo sacro o da chi si è reso colpevole del crimine". Ad ogni modo, auspica "indagini approfondite" e la punizione di chi "ha incendiato la casa della famiglia cristiana".