ROMA, lunedì, 15 marzo 2010 (ZENIT.org).- La televisione è uno strumento neutro? Proprio no! E’ bene uscire dal dubbio: non si tratta di un giudizio religioso o filosofico, ma di difendere il diritto alla privacy. Sembra un assurdo: la privacy è in pericolo quando qualcuno ti spia, come avveniva nel famoso 1984 di G Orwell o in Fahreneit 451 di R Bradbury, e la TV non ci spia di certo, tant’è che “Il grande fratello” oggi è un format inoffensivo, e non l’occhio che penetra nelle case a frugare i pensieri dei cittadini.
Ma è proprio così? In realtà la televisione ha un unico difetto: c’è. Sta lì. E’ una parte dell’arredamento del salotto e di tante altre stanze. E’ indispensabile. Non è indispensabile come strumento di informazione o di svago. E’ indispensabile come oggetto. Ognuno sa dov’è in casa propria, spesso con maggior certezza che dove si trova un certo tavolo o un certo quadro. E’ il centro dell’attività della casa, perché spesso ne è il sottofondo sonoro, è quello che i bambini guardano appena si svegliano e hanno gli occhi ancora semichiusi, o quello con cui tanti adulti si addormentano.E’ una compagnia per tante persone sole, e una baby-sitter perfetta. Ma è ipnotica; dà crisi d’astinenza, influenza l’attività elettrica del cervello. Ha una capacità di attrazione tale da non far sentire il dolore di una puntura, cosa che abbiamo noi stessi dimostrato scientificamente pochi anni or sono. E soprattutto: c’è. E’ lì. E’ una certezza. Telefilm grossolani e violenza gratuita non sono nulla in confronto a questo starci, a questo campeggiare come un trofeo o un’urna di un santo.
“E allora?”, qualcuno dirà “Ma qual è il problema?” Risposta: semplicemente che c’è lei e non c’è altro. La TV sarebbe neutra in un mondo ideale, dove i genitori fanno i genitori, sono presenti; dove quando i bambini si svegliano possono guardare il sole che sorge o la nebbia o fare quattro chiacchiere; dove quando si torna a casa c’è un tavolo intorno cui fare una partita a tressette o un bar dove parlare di caccia, pesca e figli. Ma tutto questo non c’è. E la televisione campeggia col flusso di parole di cui non possiamo far a meno pur non ascoltandole e non scegliendole.
Ascoltiamo e vediamo tutto: la prima cosa che capita pur di “rilassarci”. E anche le trasmissioni “intelligenti” e “utili” crollano d’intelligenza e perdono d’utilità proprio perché sfruttano la nostra resa. E’ forte la TV, altro che dire: “Tanto comando io perché ho il telecomando!”. Non è vero: la TV lo strappa di mano, con i colori forti e le musiche caotiche, con i TG strillati e la sensualità ostentata. Noi non scegliamo niente: è la TV che sceglie, anzi “scioglie” noi.
Se è sera, provate a fare il conto di quante trasmissioni o tratti di trasmissioni avete visto senza che aveste programmato di vederle: tante. E nemmeno ci ricordiamo quante e quali fossero, perché passano via come l’acqua del torrente sui ciottoli della nostra stanchezza; ma come l’acqua non passano senza lasciare traccia: smussano e arrotondano i nostri riflessi e le nostre forze. Distruggendo anche le dighe forti: i linguaggi dialettali, le idee politiche, la diffidenza verso il mondo dei consumi.
La TV ci fa sembrare indispensabile quello che ieri nemmeno sapevamo che esisteva, ci fa vedere e rivedere i volti dei politici, i gol dei calciatori o le scatole di cioccolatini e ce ne droga. Ma è anche paritaria: la censura sull’apparire di disabili in TV ci fa pensare proprio di no! In Inghilterra ci hanno provato con una giornalista senza un braccio e le “brave e pie mamme” si sono ribellate perché “poteva spaventare i bambini”.
La TV è politicamente corretta: annienta il nemico, appiattisce tutto. E sta lì. Al centro. Non ci guarda, come pensava Orwell, ma noi ci sentiamo osservati e frugati. E facciamo, mangiamo, compriamo, amiamo quello che vuole lei. Quanti di noi conoscono più le note delle pubblicità televisive che le parole del proprio inno nazionale? Quanti bambini restano affascinati a sentire pubblicità impossibili di famiglie che passano il loro tempo a parlare di quanti cereali ci sono nei loro biscotti o di quanta tenerezza c’è nella loro carta igienica o nei loro assorbenti intimi? Ma, lo ripeto, non si tratta di quello che trasmette, ma del fatto che c’è, che è un must. Insomma, non possiamo non dirci teleutenti.
Nota bene: questo che sembra un discorso di colore, ha una sua morale: attenti a fare le guerre sui problemi di frontiera (clonazione, chimere, testamenti…) e pensare che la vera guerra sia lì, quando il nemico ha già conquistato tutto il nostro mondo (mentale). La vera guerra è nel nostro cervello: tra usarlo e vivere di routine. L’esempio della TV è uno su mille, ma può essere un’efficace sveglia.
————
* Il dottor Carlo Bellieni è Dirigente del Dipartimento Terapia Intensiva Neonatale del Policlinico Universitario “Le Scotte” di Siena e membro della Pontificia Accademia Pro Vita.