Credere Dio oggi

Incontri quaresimali alla Cattedra di San Giusto a Trieste

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di Antonio Gaspari

ROMA, lunedì, 15 marzo 2010 (ZENIT.org).- Il mondo moderno ha guardato a Dio come ad un intralcio mentre l’umano non può stare senza Dio e rinnova la sua incessante ricerca.

Lo ha spiegato monsignor Giampaolo Crepaldi, Arcivescovo di Trieste nel corso di una riflessione svolta il 3 marzo scorso presso la Basilica Cattedrale per l’avvio della Cattedra di San Giusto che propone una serie di incontri sul tema “Credere Deum”, “Credere Dio”.

Partendo dalla citazione n.78 dell’Enciclica Caritas in veritate in cui si afferma che “senza Dio l’uomo non sa dove andare e non riesce nemmeno a comprendere chi egli sia”, monsignor Crepaldi ha ricordato che “veniamo da un lungo e tormentato periodo storico e culturale che ha preteso di emancipare e promuovere l’uomo e il suo sviluppo etsi Deus non daretur, come se Dio non ci fosse”.

“Dio – ha rilevato – è stato visto non come un’opportunità di promozione umana, ma come un intralcio ad essa. Quasi tutta la stagione storico-culturale della modernità occidentale poggia su questo postulato: la vita dell’uomo si afferma dove e quando Dio muore”.

“Eppure – ha aggiunto l’Arcivescovo – non è necessario un grande sforzo di memoria per ricordare gli assetti politici che presero forma nel secolo cosiddetto breve dietro l’incalzare di ideologie nelle quali la negazione di Dio era un postulato essenziale e fondamentale della loro proposta”.

Facendo menzione degli orrori dei lager e dei gulag, monsignor Crepaldi ha quindi detto: “Come credente nel Dio della vita sento di dirvi che quel disastro fu provocato perché dall’orizzonte della storia era stato fatto sparire Dio. Senza Dio o contro Dio, l’uomo finisce per costruire contro se stesso”.

Secondo l’Arcivescovo di Trieste anche il “pensiero debole” e la secolarizzazione fanno di tutto per “togliere voce e presenza a Dio”.

Ma per monsignor Crepaldi “lontano da Dio, l’uomo è inquieto e malato” e l’alienazione sociale e psicologica e le tante nevrosi che caratterizzano le società opulente rimandano anche a cause di ordine spirituale.

Viviamo infatti “una società del benessere, materialmente sviluppata, ma opprimente per l’anima, che non è di per sé orientata all’autentico sviluppo” e le tante forme di disperazioni in cui cadono tante persone “trovano una spiegazione non solo sociologica e psicologica, ma essenzialmente spirituale”. </p>

Per rispondere alla domanda “Dio, oggi. Dio come risposta alle nostre domande, laceranti e inquietanti, circa il senso del vivere” monsignor Crepaldi ha raccontato tre esperienze di vita che lo hanno segnato.

La prima è relativa all’incontro con il Cardinale Francesco Xavier Van Thuan, che fu Presidente del Pontificio Consiglio per la Giustizia e la Pace, Vescovo di Saigon e martire vietnamita. Venne imprigionato per tredici anni dalla polizia comunista. Nove di quegli anni li passò in isolamento.

Van Thuan non aveva commesso nessun reato, non aveva nessuna colpa, l’unico motivo della sua detenzione era il suo essere un Vescovo cattolico.

Un giorno – ha raccontato monsignor Crepaldi – eravamo in macchina insieme e gli chiesi: “Eminenza, dove aveva trovato la forza per farcela?”. Mi rispose: “In Dio, perché Dio è tutto e perché è amore”.

Poi aggiunse: “Monsignore, spendersi per Dio che è amore è spendersi per la causa della civiltà dell’amore, quella della giustizia e della pace, quella che purifica tutti gli orrori del passato”.

Quella fu una grande e mirabile lezione di teologia – ha commentato l’Arcivescovo di Trieste – perchè “dalla riva della sua beata e sicura eternità Dio non si è accontentato di insegnare all’uomo la via della salvezza. Dio si è immerso nelle nostre acque travolgenti, ha condiviso la nostra condizione di disperati e votati alla morte, ha stretto a sé l’uomo, e lo ha trasportato sulla riva della sua eterna beatitudine”.

La seconda storia che monsignor Crepaldi ha raccontato è la storia di suo fratello Dante che era Down e morì a 50 anni senza dire mai una parola.

“Quando avevo 20 anni ed ero studente di teologia – ha ricordato l’Arcivescovo – ebbi una grande crisi di fede. Perché Dio non rispondeva alla mia domanda: ‘Perché, Signore, la sventura di questo mio fratello?”.

“Un giorno – ha continuato – eravamo in casa io e lui. Mia madre era fuori e sul tavolo c’era un Crocifisso e quasi per un’intuizione miracolosa vidi riflesso in quel Crocifisso il volto di mio fratello e quel Crocifisso lo vidi riflesso nel volto di Dante”.

“Quel giorno mio fratello mi regalò la bellezza di Dio, quando caddi piangendo in ginocchio di fronte al Crocifisso. E dopo mi sono domandato, come fa Sant’Anselmo, ‘Cur Deus homo?’, ‘Perché Dio ti sei fatto uomo e crocifisso?’”.

L’Arcivescovo ha spiegato che “nell’uomo dei dolori, che si consegna alla morte nella sua atroce bruttezza sulla croce, è la bellezza della santità, la bellezza del dono di sé sino alla fine che risplende”.

“Capii – ha sostenuto l’Arcivescovo – che il Crocifisso è la bellezza che salva. Il suo volto sfigurato che perdona è per eccellenza la via della santità e allo stesso tempo la via della bellezza”.

L’ultima storia riguarda il figlio di un cugino di monsignor Crepaldi, un ragazzo ammalato a cui trapiantarono i reni.

Ogni mese doveva andare in ospedale per fare le analisi perché c’era il pericolo del rigetto. Lì incontrò una ragazza. Era rimasto piccolo; lei ancora più piccola e a 22 – 23 anni si innamorarono e poi si sposarono.

“Io non ho mai visto e non vedrò più un innamoramento così stupefacente”, ha esclamato monsignor Crepaldi. “Li ho preparati e ho celebrato il loro matrimonio, la fede che avevano: due occhi limpidi”.

“Finito il matrimonio sono venuti vicini e chiesi a loro – la mia era una domanda curiosa e legittima -: ‘Siete felici?’. E lei andando via si girò e mi diede una risposta che io avvertii come una specie di rimprovero e mi disse: ‘Dio è felicità!’”.

“Io rimasi senza parole”, ha spiegato, perchè secondo un’idea diffusa, “la felicità non avrebbe nulla a che vedere con il cristianesimo, accusato di essere triste e di tendere tutt’al più ad un ideale di gravitas monastica, disprezzando i piaceri del corpo e le gioie della vita”.

A questo proposito monsignor Crepaldi ha precisato che “il modello delle beatitudini evangeliche è proprio un invito alla felicità, anche se ‘paradossale’, perché essa non è mai disgiunta dall’amore e dalla giustizia”.

“La felicità è, dunque, legata all’attesa, di un Altro e di un Altrove, di cieli nuovi e di terre nuove, in cui il male sarà vinto e la morte sconfitta. Ma di essa ci è offerto già qui, su questa terra, un anticipo e ci è data una prefigurazione. È una felicità promessa e, nello stesso tempo, esperienza già data”.

Per finire l’Arcivescovo di Trieste ha risposto che Dio oggi è presente “perché gli uomini e le donne del nostro tempo hanno un bisogno incommensurabile di amore, di bellezza e di felicità”.

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ZENIT Staff

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