Educare gli uomini retti alla speranza

di mons. Angelo Casile*

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ROMA, giovedì, 11 marzo 2010 (ZENIT.org).- La creazione di una scuola della dottrina sociale rientra pienamente nell’impegno educativo che ogni Chiesa ha nei confronti del proprio territorio, o meglio degli uomini ad essa affidati.

La scuola deve quindi sviluppare l’ottica di servizio e di attenzione alle persone privilegiando quella grammatica dell’essere in primo luogo quegli “uomini retti” di cui parla l’enciclica (cfr CV 71), e in secondo luogo, impegnarsi ad educare, formare e accompagnare quegli “uomini retti” di cui ha urgente bisogno il bene di “noi-tutti” (cfr CV 7) ovvero le nostre città, la nostra società.

In questo compito educativo vivo sono sempre più necessari proposte di nuovi stili di vita caratterizzati dalla sobrietà, dalla solidarietà, dalla fraternità, dalla gratuità, dal dono, ricordandoci che solo uomini nuovi sono capaci di nuovi stili di vita. È dalla rettitudine del cuore che scaturiscono autentiche opere rette.

Educhiamo ed educhiamoci presentando le figure più rappresentative di cristiani autentici che hanno vissuto nel nostro territorio, pensiamo ad esempio, a livello nazionale, alla figura di san Francesco, che sceglie Cristo al di sopra di tutto, e a causa di questa scelta si mette “nudo” (ma vero) di fronte a Dio, di fronte ai fratelli, di fronte alla società, di fronte al creato. San Francesco si spoglia delle sue vesti, ma si aggrappa nella fede a Gesù.

Poi, crea la comunità nella fraternità, vive nella sobrietà di un dare e ricevere che è scambio di doni, opera per una politica di pace nel dialogo con tutti e con il sultano, loda il Signore per le opere del creato. Nella vita di san Francesco, caratterizzata da scelte essenziali e opere precise, possiamo cogliere un valido modello per il nostro impegno sociale:

Non smettiamo di educarci al lavoro, valorizzando alcune prospettive ricordandoci che: lavoriamo “per qualcuno” con professionalità e competenza per noi stessi, la famiglia, la società, la Chiesa, il nostro Dio; lavoriamo “con qualcuno”, stiamo accanto a ogni persona, agli operai, ai disabili, agli immigrati condividendo i problemi ma soprattutto le soluzioni e le risorse, donando noi stessi agli altri nella fede dell’unico Padre che ci rende figli; lavoriamo “con gratuità e amore”, vivendo il nostro lavoro come dono di noi stessi mettendo a frutto i nostri talenti nella fiducia e nella gratuità, nella fedeltà alle persone, alle città, alla Chiesa, a Dio.

Impegniamoci «in favore del lavoro decente… un lavoro che, in ogni società, sia l’espressione della dignità essenziale di ogni uomo e di ogni donna… permetta ai lavoratori di essere rispettati al di fuori di ogni discriminazione… consenta di soddisfare le necessità delle famiglie e di scolarizzare i figli… lasci uno spazio sufficiente per ritrovare le proprie radici a livello personale, familiare e spirituale… assicuri ai lavoratori giunti alla pensione una condizione dignitosa» (CV 63).

Mi piace qui ricordare l’impegno sostenuto assieme a Mons. Mario Operti, negli anni 1999-2000, per organizzare quel Giubileo dei Lavoratori che il Papa ricorda nella sua enciclica e che ha visto le nostre Associazioni tutte riunite a celebrare l’Eucaristia, ad ascoltare le parole del Papa e a gioire nella festa.

Viviamo con forza l’unione tra etica della vita ed etica sociale, nella consapevolezza che non può «avere solide basi una società – che mentre afferma valori quali la dignità della persona, la giustizia e la pace – si contraddice radicalmente accettando e tollerando le più diverse forme di disistima e violazione della vita umana, soprattutto se debole ed emarginata» (Giovanni Paolo II, Evangelium vitae, 101: CV 15). Come cattolici non possiamo essere divisi tra difensori dell’etica della vita della persona e difensori dei diritti sociali delle persone.

Il vero sviluppo non può separare il rispetto per la vita dalla giustizia sociale, «se si perde la sensibilità personale e sociale verso l’accoglienza di una nuova vita, anche altre forme di accoglienza utili alla vita sociale si inaridiscono» (CV 28).

Concludo richiamando la vostra attenzione su un’ultima affermazione di Benedetto XVI: «solo se pensiamo di essere chiamati in quanto singoli e in quanto comunità a far parte della famiglia di Dio come suoi figli, saremo anche capaci di produrre un nuovo pensiero e di esprimere nuove energie a servizio di un vero umanesimo integrale» (CV 78).

Siamo chiamati a promuovere un nuovo umanesimo, a vivere la fraternità, ad assumere la virtù della speranza come compito quotidiano secondo quanto auspicato dai nostri vescovi:

«Consapevoli dei segni di speranza presenti nel nostro tempo, rafforziamo il senso di responsabilità e la volontà di operare per lo sviluppo di tutti gli uomini e di tutto l’uomo, per le generazioni future, senza trascurare nessuna delle energie che possono contribuire a farci crescere insieme. La speranza cristiana comporta il dovere di abbattere muri, sciogliere catene, aprire strade nuove, anche mediante la promozione e la tutela dei diritti fondamentali di ogni persona, incluso lo straniero…

È parimenti necessario evidenziare la centralità della persona nelle scelte economiche e il senso di responsabilità nei confronti del lavoro, far sì che si dispieghi fattivamente il ruolo sociale della famiglia, contrastare il dilagare dell’illegalità, farsi carico delle future generazioni con una doverosa cura del creato, superare i divari interni al Paese, aiutandolo ad aprirsi agli orizzonti della pace e dello sviluppo mondiale, sfruttando le opportunità positive della globalizzazione e promuovendo un ordine più giusto tra gli Stati…

Questo è il nostro programma: vivere fino in fondo la Pasqua di Gesù. Da essa deriva una forza profetica dalla quale noi per primi dobbiamo continuamente lasciarci plasmare. Il nostro unico interesse è infatti metterci a servizio dell’uomo perché l’amore di Dio possa manifestarsi in tutto il suo splendore».[1]

Impegniamoci a far rifiorire la speranza nei nostri cuori, puntando sull’educazione e sulla formazione dell’uomo a partire dalla conoscenza della dottrina sociale della Chiesa, che non è un’appendice del magistero della Chiesa, ma un prezioso patrimonio per una nuova evangelizzazione alla luce della teologia di Gesù Cristo, redentore di ogni l’uomo.

Viviamo il nostro impegno quotidiano seguendo lo stile del nostro Maestro, che ci invita a imparare da lui, «mite e umile di cuore» (Mt 11,29), e ci manda nel mondo «come pecore in mezzo a lupi» (Mt 10,16) nella consapevolezza che «finché saremo agnelli, vinceremo e, anche se saremo circondati da numerosi lupi, riusciremo a superarli. Ma se diventeremo lupi, saremo sconfitti, perché saremo privi dell’aiuto del pastore. Egli non pasce lupi, ma agnelli.

Per questo se ne andrà e ti lascerà solo, perché gli impedisci di manifestare la sua potenza» (San Giovanni Crisostomo Omelie sul vangelo di Matteo, 33,1.2). Il Signore Gesù aiuti tutti noi, insieme, a realizzare la Sua opera: vivere bene la nostra fede ogni giorno perché i tempi siano migliori e donare Dio al mondo nella carità e nella verità.

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*Mons. Angelo Casile è Direttore dell’Ufficio Nazionale per la Pastorale Sociale e del Lavoro della Conferenza Episcopale Italiana.

1) CEI, Rigenerati per una speranza viva, 19.

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ZENIT Staff

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