KINGSTON (Giamaica), lunedì, 8 marzo 2010 (ZENIT.org).- Il fondatore di un nuovo ordine monastico internazionale, dedito al servizio dei più poveri dei poveri, afferma che la sua vocazione è fonte di gioia per molte persone.

Creato nel 1981 da padre Richard Ho Lung, l’ordine dei Missionari dei poveri ora conta su 550 fratelli e sacerdoti che lavorano in Giamaica (dove è stato fondato e dove ha sede), in India, nelle Filippine, a Haiti, in Uganda, nel Kenya e negli Stati Uniti.

Padre Ho Lung, originariamente formato e ordinato nell’ordine dei Gesuiti, ha ricevuto una nuova chiamata mentre si avventurava tra i tuguri della zona di cui era parroco, in Giamaica. Ha deciso, a quel punto, di dedicarsi esclusivamente alla costruzione delle famiglie e della comunità, tra i poveri e bisognosi, attraverso un nuovo ordine religioso.

In questa intervista rilasciata al programma televisivo “Where God Weeps” (“Dove Dio piange”) del Catholic Radio and Television Network (CRTN), in collaborazione con Aiuto alla Chiesa che soffre, il sacerdote parla della sua chiamata al servizio dei poveri, della gioia che si sperimenta nell’ordine, e delle sue speranze per il futuro.

Come ha ricevuto questa vocazione? Non deve essere stata una decisione facile.

Padre Ho Lung: Era la realtà dei senzatetto, dei poveri e degli emarginati in Giamaica. E poi vi fu un terribile incidente, in cui 155 donne rimasero vittime di un incendio in un edificio espropriato dallo Stato in Giamaica.

La mia coscienza ne fu scossa. Fu una terribile tragedia.

Dopo questi eventi, mentre insegnavo all’Università delle Indie occidentali, in Giamaica, trascorsi un periodo di intensa preghiera, in cui la figura di Cristo che lavorava con i più poveri e dimenticati mi assillava la coscienza.

Mi iniziai a porre delle domande, era il Signore che mi faceva queste domande: “Allora, vuoi essere un cristiano autentico o no? Vuoi essere un vero sacerdote o no?”.

Deve essere stato un processo terribile.

Padre Ho Lung: Sì, ero come Giacobbe mentre lotta con l’angelo. E naturalmente il Signore ha avuto la meglio.

È stato un periodo molto faticoso, spiritualmente, ma allo stesso tempo bellissimo.

Talvolta discutevo con il Signore dicendogli: “Come puoi essere così contraddittorio?”. Anzitutto per avermi fatto seguire tutti questi studi, per poi apparentemente tornare indietro e chiamarmi a lavorare con i più poveri, nelle condizioni più difficili, cosa che allora mi sembrava non avesse nulla a che fare con me. Ma poi ho visto che nell’affrontare i problemi dei più poveri ho messo a frutto ogni piccolo insegnamento che ho ricevuto e che quindi il periodo con i Gesuiti è stato in realtà una preparazione per la mia vocazione come fondatore dei Missionari dei poveri.

Il suo cuore ha sempre battuto peri i poveri? È un pensiero che ha sempre avuto? Quando è stato il momento in cui ha detto: “Questo è ciò che sento di essere chiamato a fare”?

Padre Ho Lung: Mio padre, cinese e proveniente dall’Estremo Oriente, una volta sposato con mia madre, ci ha instillato le grandi esigenze e i bisogni dei poveri.

Ci ha sempre ripetuto: “Ricordatevi che siete poveri. Ricordatevi che io sono povero e ricordatevi dei più poveri”. Ci ha sempre ricordato che la gente della Giamaica, anche se povera, è la gente migliore, e che senza i poveri che venivano a casa nostra e al nostro piccolo negozio di alimentari, noi ora non saremmo vivi.

Per questo diceva: “Ringraziate sempre e qualsiasi cosa facciate nella vita non dimenticate i poveri, ovunque voi siate”.

Questo fu l’inizio, prima ancora di diventare cattolico.

Padre Richard, lei ha scelto il motto: “Gioioso servizio con Cristo sulla Croce”. Perché ha scelto questo motto per i Missionari dei poveri?

Padre Ho Lung: Quando la comunità iniziò l’attività, notai un fenomeno molto strano.

I fratelli lavoravano ogni giorno con i più poveri, facendo i lavori più semplici, come lavare le persone, cucinare per loro, fargli la barba, i capelli, e non solo questo ma anche sistemare tutto il disordine che alla fine della giornata si era accumulato. E sebbene incontrassero persone in fin di vita e devastate dall’AIDS, persone malate di mente o lebbrosi, tornavano a casa ogni giorno colmi di gioia.

Tutto ciò mi sembrava molto misterioso perché avevamo chiarito bene che il lavoro con i poveri avrebbe significato portare la croce di Cristo.

Ma alla fine di ogni giornata eravamo così felici, che decidemmo di adottare il motto: Gioioso servizio con Cristo sulla Croce.

Padre, cos’è che vi dà così tanta gioia in questo lavoro?

Padre Ho Lung: Semplicemente il sapere che siamo uniti a Cristo, nella mente e nel cuore, e anche il sapere che stiamo vivendo i sacramenti e la Parola di Dio.

È quel senso di vicinanza e intimità con Dio che è determinante.

Poi, quando guardo a queste meravigliose giovani vocazioni e vedo la grande gioia e l’entusiasmo e l’apertura e la felicità, anche fino alla morte – loro sono pronti anche a dare la vita – niente mi può soddisfare di più.

Qual è la sua più grande sofferenza in questo lavoro?

Padre Ho Lung: La nostra più grande sofferenza è stata quando due dei nostri fratelli sono stati uccisi.

Sì, sono stati uccisi a Kingston, nel cuore del ghetto e, misteriosamente, di notte.

L’intera zona taceva e con uno sparo due dei nostri fratelli sono stati uccisi. È stata una grande tristezza per me e per tutta la comunità.

Ha dato un senso a questi omicidi?

Padre Ho Lung: Innanzitutto, la morte di questi fratelli dimostra il grande impegno dei nostri giovani.

Nessuno ha abbandonato e, anzi, la nostra comunità è cresciuta, e anche di molto, dopo la morte dei nostri fratelli.

Il reale significato della croce di Cristo e del bere dal calice della sofferenza si è reso profondamente vivo nei cuori e nella mente degli altri fratelli.

Hanno dovuto compiere un grande discernimento e comprendere profondamente che si stava facendo sul serio. Cioè che è in gioco anche la loro stessa vita, ma che si deve andare avanti con la gente.

La fuga nell’isola – che non è un’isola cattolica – è stata tremenda, da ogni angolo dell’isola. Vi è stato un senso profondo della tragedia che è la vita moderna nel ghetto in Giamaica.

Padre, quali sono le vostre necessità ora? I vostri programmi? Le vostre speranze?

Padre Ho Lung: È in atto una forte spinta per la legalizzazione dell’aborto in Giamaica, che è una grande offesa al Signore.

Un giorno, mentre percorrevamo i ghetti, alcuni fratelli hanno scorto due buste di plastica, in cui dentro hanno trovato dei bambini che erano stati uccisi.

I fratelli si sono quindi rivolti a me e mi hanno detto: “Padre, tu ci hai sempre parlato del problema dell’aborto come il più crudele e odioso dei crimini. Dobbiamo costituire una casa per madri non sposate, donne che avrebbero abortito, e un’altra per accogliere i bambini, come alternativa da offrire alle donne che sarebbero pronte ad ucciderli”.

E dopo la preghiera abbiamo deciso, come comunità, di aprire una casa.

Molte di loro non sono sposate e ogni giorno possono lasciare i loro bambini da noi. Possono andare a lavorare, riuscendo così a non perdere il lavoro, e a tornare poi a riprendersi i bambini a fine giornata.

Ma vorremmo anche poter avere la Messa, un’evangelizzazione nello stesso luogo, il sabato e la domenica, per riuscire a portare la gente a Cristo e alla Chiesa.

Vorremmo anche avere una clinica prenatale così che le donne che stanno pensando all’aborto possono venire da noi per vedere, attraverso un’ecografia, il proprio bambino e convincersi di conseguenza. Gli verrebbe offerta la possibilità di usufruire del nostro asilo diurno o di lasciare i loro bambini a n oi per essere adottati; in questo modo potremmo offrire loro una soluzione.


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Questa intervista è stata condotta da Mark Riedemann per "Where God Weeps", un programma televisivo e radiofonico settimanale, prodotto da Catholic Radio and Television Network in collaborazione con l'organizzazione internazionale Aiuto alla Chiesa che soffre.



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