Perseguitato in Ucraina il pronipote del cardinale Slipyj

Lo rivela una interrogazione firmata da senatori italiani

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ROMA, venerdì, 5 marzo 2010 (ZENIT.org).- Il ventottenne Anatoliy Slipyj, pronipote di quel cardinale Josef Slipyj (1892-1984) che fu prigioniero per diciotto anni nei gulag sovietici, si trova attualmente rifugiato in Italia, dopo essere stato incarcerato, torturato e picchiato.

È questa l’accusa che lancia il Senato della Repubblica d’Italia, attraverso un’interrogazione presentata ai ministri degli Esteri e della Giustizia, Franco Frattini e Angelino Alfano, e firmata dai senatori Stefano De Lillo, Paolo Barelli, Raffaele Calabrò, Riccardo Conti, Ulisse Di Giacomo, Vincenzo Galioto, Piergiorgio Massidda, Paolo Tancredi e Achille Totaro.

I parlamentari interroganti assicurano che il signor Slipyj è “vittima di una persecuzione di carattere giudiziario nel suo Paese di provenienza, l’Ucraina”.

Le drammatiche vicende personali e della sua famiglia “parrebbero potersi ascrivere a notevoli pressioni politiche esercitate dal Governo allora in carica nei confronti del signor Slipyj per il grado di parentela che lo lega al cardinale Josyf Slipyj”, affermano i senatori.

“Come è noto il cardinale Slipyj è stato un coraggioso testimone di libertà e di fede per il mondo cattolico, mentre per il regime comunista ucraino, e non solo, egli è stato invece considerato la personificazione simbolica dell’opposizione al sistema di governo e figura di spicco della resistenza ucraina”, spiegano nel’interrogazione.

“L’11 aprile 1945, egli veniva arrestato insieme con altri quattro vescovi e condannato a otto anni di reclusione e di lavori forzati in durissimi campi di prigionia, insieme con altri detenuti comuni e altri perseguitati politici. Trascorsi gli otto anni, viene nuovamente condannato all’esilio in Siberia, dove è costretto a rimanere, fino al 1962”, spiega la nota.

“Nel 1963, papa Giovanni XXIII riesce ad ottenere la sua scarcerazione, e il 9 febbraio dello stesso anno Josyf Slipyj arriva a Roma, accolto con grande affetto”, ricordano i senatori. In questo contesto, spiegano che “la vicenda della famiglia del cardinale Slipyj è caratterizzata non solo dalla lunghissima detenzione del porporato, ma anche dalla deportazione dei suoi familiari, nonché dall’internamento nei manicomi per alcuni di essi”.

“Anatoly Slipyj è l’unico discendente maschio del cardinale, acceso ed irriducibile avversario del regime ex sovietico”, spiegano.

“È in atto una procedura giurisdizionale qui in Italia attivata su richiesta del Governo ucraino, il quale chiede l’estradizione di Anatoly Slipyj per l’esistenza di un procedimento penale a suo carico”, informano. “Per quanto risulta, la domanda estradizionale sembra fondarsi su elementi oltremodo fumosi e generici sospetti, in relazione ai quali non vengono allegati i dovuti elementi di prove a carico”.

“In data 9 aprile 2002, Anatoly Slipyj – all’epoca ancora ventenne – veniva tratto in arresto con l’accusa, a dir poco sinistra, di ‘indocilità all’autorità'”.

“Dopo otto giorni di detenzione veniva fatto oggetto, insieme alla madre, di un vero e proprio tentativo di estorsione, concretizzatosi nella minaccia di un nuovo arresto sempre per “indocilità all’autorità”.

“Lo Slipyj e la madre denunciavano il gravissimo episodio al dipartimento del Ministero dell’interno ucraino della regione di Ternopil, il quale riscontrava la veridicità della denuncia e censurava l’operato dei responsabili”, indicano.

“Dopo pochi mesi Slipyj veniva tratto in arresto per i fatti, diversi, rispetto ai quali è stata avanzata la pretesa estradizionale del Governo ucraino”, si ricorda.

“Durante questo secondo periodo di arresto egli è stato sottoposto ad un durissimo regime di detenzione, evidentemente finalizzato ad ottenere una confessione”.

“Lo stesso Pubblico ministero del procedimento ucraino (Procura di Ternopil) in cui il signor Slipyj era imputato, con decreto del 12 novembre 2003, rendeva atto non solo dell’inconsistenza delle accuse, almeno con riguardo ad uno dei capi di accusa contestati, ma che, addirittura, anche la persona offesa, il signor Kovaljshjn, che ora sta scontando in carcere la pena per aver calunniato lo Slipyj, ‘aveva testimoniato sotto la pressione psicologica degli agenti di Polizia che lo avevano indotto a calunniare lo Slipyj'”.

“Il successivo 22 dicembre 2003 il Tribunale provinciale, deliberando in relazione alla residuale imputazione, rilevava che le prove contro l’imputato erano state ottenute con ‘gravi violazioni delle norme del diritto processuale penale e del diritto di difesa’, prendendo atto che la persona offesa aveva ammesso di aver calunniato lo Slipyj”.

“Rilevato che, in uno Stato di diritto, siffatte conclusioni avrebbero avuto come conseguenza l’immediata liberazione dell’imputato, mentre invece in Ucraina hanno semplicemente prodotto la restituzione degli atti al Pubblico Ministero per un supplemento di indagine, senza alcun mutamento della situazione dell’imputato”.

I senatori affermano che il procedimento del Governo ucraino “si fonda sulle affermazioni di un teste calunniatore” e che “sul piano politico, nonostante un recente tentativo di modernizzare il Paese, in Ucraina rimangono forti le spinte autoritarie”.

In Italia Anatoliy ha trovato lavoro, si è sposato e dal matrimonio è nato un bambino. Su di lui pende un mandato di cattura internazionale e la richiesta di estradizione da parte del governo ucraino. Inoltre, non riesce ad ottenere il permesso di soggiorno e il riconoscimento di rifugiato politico.

“Esiste il rischio obiettivo che lo Slipyj, se estradato, possa essere fatto oggetto di persecuzioni dovute a motivi politico/religiosi”, denuncia l’interrogazione.

Per questo motivo, i senatori chiedono di sapere “quali iniziative urgenti di competenza i Ministri in indirizzo intendano assumere per impedire che sia dato corso all’estradizione del signor Anatoly Slipyj”.

E chiedono anche “se non prevedano, per l’immediato, di attivarsi presso le competenti autorità centrali ucraine, affinché recedano dalle azioni intraprese”.

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ZENIT Staff

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