di padre Angelo del Favero*
ROMA, venerdì, 30 ottobre 2009 (ZENIT.org).-“Vedendo le folle, Gesù salì sul monte: si pose a sedere e si avvicinarono a lui i suoi discepoli. Si mise a parlare e insegnava loro dicendo:’Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli. (…). Beati voi quando vi insulteranno, vi perseguiteranno e, mentendo, diranno ogni sorta di male contro di voi per causa mia. Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli. Così infatti perseguitarono i profeti che furono prima di voi’” (Mt 5,1-12).
“Dopo queste cose vidi: ecco, una moltitudine immensa che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua. (…) Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione…” (Ap. 7,9.14).
“Carissimi, vedete quale grande amore ci ha dato il Padre per essere chiamati figli di Dio, e lo siamo realmente! Per questo il mondo non ci conosce: perché non ha conosciuto lui. Carissimi, noi fin d’ora siamo figli di Dio, ma ciò che saremo non è stato ancora rivelato. Sappiamo però che quando Egli si sarà manifestato, noi saremo simili a lui, perché lo vedremo così come egli è. Chiunque ha questa speranza in lui, purifica se stesso, come egli è puro” (1 Gv 3,1-3).
Alcuni giorni fa mi trovavo a Torino, in quell’oasi di beatitudine che è la “Piccola Casa della Divina Provvidenza” (il “Cottolengo”), per partecipare ad un Convegno sui temi della libertà e della coscienza umana. Il Convegno ha celebrato l’uomo nella sua infinita verità: essere persona che “fa immaginare” Dio, essendo da Dio creata a sua “immagine e somiglianza”, due parole simili che significano “ritratto vivo”. La persona umana è il vivente ritratto delle Tre Persone divine, riconoscibile nel “significato sponsale” di quel corpo che l’uomo è: significato che consiste nella capacità di esprimere e ricevere fecondamente l’amore. Ritratto veramente essenziale che non è deturpato da nulla di ciò che può accadere esteriormente al corpo, dal concepimento in poi: solamente il peccato ne compromette la divina bellezza.
Entrando nel Cottolengo sono passato sotto un albero imponente, dalla cui chioma dorata, solo un poco sfoltita dall’autunno, mi giungeva un “assordante” concerto di uccellini, come se ogni foglia fosse uno di essi. Fermatomi a guardare in su, non sono riuscito a vederne nemmeno uno ed ho pensato: non credo siano passeri in convegno al Convegno,..forse è uno stormo di migratori in sosta fra i rami più alti. Ma alla sera lo stormo era ancora là a dar lode a Dio con il medesimo giubilo canoro del mattino.
Allora ho pensato a queste parole del libro dell’Apocalisse: “In mezzo alla piazza della città, e da una parte e dall’altra del fiume, si trova un albero di vita che da’ frutti dodici volte all’anno, portando frutto ogni mese; le foglie dell’albero servono a guarire le nazioni”(Ap 22,2). Il simbolo dell’“albero di vita” in perenne stagione di frutti e con le foglie sempre verdi e salutari, intende qui rappresentare il Paradiso, regno eterno della felicità, della giustizia e della comunione con Dio. Tale indicibile beatitudine è la partecipazione perfetta di tutti i giusti alla Vita divina, la cui caparra terrena è già tale da far giubilare qualunque esistenza mortale. Allora, l’albero sotto cui stavo, così sonoramente brulicante di vita, mi è sembrato un messaggio meraviglioso per il nostro convegno terreno da parte del Convegno celeste di tutti i Santi, la cui gioia piena nella divina Presenza è la meta e il compimento del sentiero della vita di ogni uomo concepito.
Ma ora ci chiediamo: chi sono questi giusti nella gloria? La risposta è notissima: sono quelli descritti nel Vangelo di oggi: “Beati…Beati…Beati…perchè grande è la vostra ricompensa nei cieli”. Sì…beati loro, verrebbe da dire: beatitudine per noi rimandata perchè intanto l’identikit paradossale di Matteo ci trasferisce concretamente nei luoghi orridi della fame e della violenza, della sopraffazione omicida, della miseria materiale e morale, della malattia, della schiavitù di ogni genere…Vengono in mente Madre Teresa, l’Africa che muore di fame, i kamikaze, la Clinica della “buona morte”, i terremoti e gli uragani, gli uccisi nel grembo, gli emarginati delle nostre città…una moltitudine di vittime che oggi siamo perfettamente in grado di contare e quantificare. Li vediamo in televisione, li vediamo per strada, stanno accanto a noi, anche in casa nostra. Eppure anche di tutti costoro Gesù afferma: “Beati…Beati…Beati…”.
L’apostolo Giovanni sembra avere contato il loro numero: “centoquarantaquattromila segnati, provenienti da ogni tribù dei figli d’Israele” (Ap 7,4). Pochi, in verità, ma il numero è simbolico ed indica una platea incalcolabile; tuttavia esso sembra una valutazione in qualche modo precisa, se confrontata con “una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, tribù popolo e lingua..avvolti in vesti candide e tenevano rami di palma nelle loro mani” (v. 9). Da dove viene questa moltitudine? Giovanni risponde: “Sono quelli che vengono dalla grande tribolazione e che hanno lavato le loro vesti rendendole candide nel sangue dell’Agnello” (Ap 7,14). Linguaggio indefinito: cos’è questa grande tribolazione?
“E’ il momento della netta divisione tra bene e male che vede il dibattersi ultimo e violento del male, prima del suo annientamento. E’ il tempo in cui si scevera, attraverso la purificazione, ciò che è giusto e ciò che è perverso. E’ quindi la sofferenza che salva, ma anche il giudizio che distrugge” (G. Ravasi, “Apocalisse”, p. 75). La grande tribolazione di questa immensa moltitudine è dunque il momento della verità, una verità che anzitutto riguarda l’identificazione di questa folla sterminata.
Di essa parla anche Giovanni Paolo II: “Ad essere calpestata nel diritto fondamentale alla vita è oggi una grande moltitudine di esseri umani deboli e indifesi, come sono, in particolare, i bambini non ancora nati” (Enciclica “Evangelium vitae”, n° 5). E’ qui sottinteso che “non ancora nati” significa i nove mesi di vita nel grembo, e che i bambini più numerosi sono soprattutto quelli che hanno meno di tre mesi di vita, moltissimi solo poche ore: “noi fin d’ora siamo figli di Dio” (1Gv 3,2), gridano al mondo e ad ognuno di noi.
Questo momento decisivo della storia, descritto dall’Apocalisse come “grande tribolazione”, vede il coinvolgimento materno di Colei che nel libro sacro appare quale “segno grandioso” della vittoria della Vita sulla morte (Ap 12,1s), e nello stesso tempo segno drammatico della continua minaccia satanica sulla vita (Ap 12,1-4). La grande tribolazione, poi, è proprio “la congiura contro la vita” (Evangelium vitae, n°12), tribolazione di inaudita gravità, poiché: “chi attenta alla vita dell’uomo, in qualche modo attenta a Dio stesso” (n° 9).
Scrive infatti Giovanni Paoli II: “Maria aiuta così la Chiesa a prendere coscienza che la vita è sempre al centro di una grande lotta tra il bene e il male, tra la luce e le tenebre. Il drago vuol divorare “il bambino appena nato, figura di Cristo…figura di ogni uomo, di ogni bambino, specie di ogni creatura debole e minacciata, poiché – come ricorda il Concilio – “con la sua incarnazione il Figlio di Dio si è unito in certo modo a ogni modo”.
Dicendo “con la sua incarnazione” si intende certamente “dal primo istante della sua incarnazione”, e con la precisazione “specie di ogni creatura debole e minacciata”, implicitamente si indica il medesimo momento: l’uomo appena concepito, che più di ogni altro (e più che in ogni altro momento) si trova oggi in condizioni di debolezza e di minacciata sopravvivenza. E’ dunque anzitutto contro la vita dell’uomo nel grembo, specialmente la vita nel suo inizio nascosto, che la società di oggi congiura apertamente per mezzo delle sue legali strutture di omicidio e di peccato.
La “grande tribolazione” è dunque l’offensiva mondiale, culturale e materiale, contro l’uomo non ancora nato e, in particolare, contro l’uomo appena concepito, quando non è ancora avvolto nella protezione della “culla” materna, l’endometrio. I nomi strategici di tale offensiva, in Italia sono: Legge 194, Legge 40, diritto di aborto, salute riproduttiva, diritti delle donne, fecondazione assistita, pillola “del giorno dopo”, RU-486, spirale, farmaci e mezzi vari “intercettivi” e “contragestativi”, ecc.
Le cifre delle vittime di questa guerra non sono quantificabili, poiché si tratta per lo più di omicidi clandestini, ma il loro numero è “una moltitudine immensa, che nessuno può contare, di ogni nazione, tribù, popolo e lingua” (Ap 7,9).
Allora l’albero cinguettante del Cottolengo, con la nascosta miriade degli uccellini in festa, ben rappresenta questa moltitudine sterminata di bimbi, tutti radunati a Convegno eterno in Paradiso, santi tra i santi, foglie vive lassù dell’immenso Albero della Vita, precocemente staccate quaggiù dalla mano dell’uomo, e che Dio ha predestinato, nelle vie misteriose della sua misericordia, “a guarire le nazioni”, a far crollare “i muri di inganni e di menzogne che nascondono agli occhi di tanti nostri fratelli e sorelle la natura perversa di comportamenti e leggi ostili alla vita” (Evangelium vitae, n°100).
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* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E’ diventato carmelitano nel 1987. E’ stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.