Milano si prepara alla beatificazione di don Carlo Gnocchi

Il sacerdote soccorse centinaia di vittime della Seconda Guerra Mondiale

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di Carmen Elena Villa

MILANO, mercoledì, 21 ottobre 2009 (ZENIT.org).- La piazza del Duomo di Milano sarà lo scenario della beatificazione di don Carlo Gnocchi (1902-1956), ispiratore della Fondazione che porta il suo nome e che presta il proprio servizio in 28 centri in Italia a uomini e donne con handicap, anziani, malati di cancro e persone in stato vegetativo.

La cerimonia si celebrerà alle 10.00 del 25 ottobre e sarà presieduta dall’Arcivescovo di Milano, il Cardinale Dionigi Tettamanzi, contando sulla presenza di monsignor Angelo Amato, prefetto della Congregazione per le Cause dei Santi e inviato di Papa Benedetto XVI alla cerimonia.

Durante la Seconda Guerra Mondiale, don Gnocchi si offrì come cappellano volontario degli alpini che combattevano.

E’ anche ricordato come un eroe della solidarietà nei confronti delle vittime della guerra. Lo chiamavano “padre dei mutilatini” e degli orfani dei combattenti, visto che il centro da lui creato provvedeva alla riabilitazione di quanti soffrivano a livello fisico le conseguenze del conflitto.

Le sue parole sono ancora di enorme attualità nel XXI secolo: “Prima che la crisi politica o economica, c’è una crisi morale, anzi, una crisi metafisica. Come tale investe più o meno attualmente tutti i popoli, perché tocca l’uomo e il suo problema esistenziale”, scriveva nel 1946.

ZENIT ha parlato con il postulatore della causa di beatificazione di don Gnocchi, padre Rodolfo Cosimo Meoli F.S.C, che ha spiegato come la sua vita continui ad avere grande eco nel mondo odierno.

Come visse la sua infanzia don Carlo?

P. Rodolfo Cosimo Meloli: Fu un’infanzia attraversata da grandi lutti: suo padre morì di silicosi nel 1907, quando Carlo aveva soltanto 5 anni. Due anni dopo morì suo fratello Mario per meningite. L’altro fratello Andrea, il primogenito, sarà portato via dalla tubercolosi nel 1915. Carlo resta solo con la madre Clementina Pasta. Lei è donna coraggiosa e, nonostante sia costretta a vivere in condizioni difficilissime, non solo non perde la fiducia in Dio, ma arriva a pregare così: “Due miei figli li hai già presi, Signore; il terzo te l’offro io, perché tu lo benedica e lo conservi sempre al tuo servizio”.

In queste circostanze, come si rese conto della sua chiamata al sacerdozio?

P. Rodolfo Cosimo Meloli: La madre giocò senz’altro un ruolo fondamentale; la grazia di Dio e la frequenza alle attività parrocchiali fecero il resto. Ci fu poi la corrispondenza alle ispirazioni della grazia, fatto tutto personale questo, di cui Don Carlo ha dato ampie prove per tutto il corso della sua vita”.

Quali sono state le sue virtù principali?

P. Rodolfo Cosimo Meloli: Più che “delle virtù” parlerei “della virtù”: la carità, che tutte le racchiude e le nobilita. Carità fatta attenzione, tenerezza, compassione, accoglienza, disponibilità…

Come decise di creare la fondazione “Pro Iuventute”?

P. Rodolfo Cosimo Meloli: Era andato in guerra come cappellano volontario. “Un prete non può non stare dove si muore!”, diceva. Poi la tragica esperienza della ritirata di Russia fece maturare in lui il disegno concreto di provvedere all’assistenza degli orfani dei suoi alpini e delle tante altre piccole vittime innocenti di ordigni bellici. “Desidero e prego dal Signore una sola cosa: servire per tutta la vita i suoi poveri. E’ questa la mia ‘carriera’”, scriveva a un suo cugino. La prima istituzione da lui creata era denominata “Pro Infanzia Mutilata” (1947), divenuta “Fondazione Pro Iuventute” nel 1952.

Qual è lo scopo di questa fondazione?

P. Rodolfo Cosimo Meloli: L’opera sorse con lo scopo di soccorrere i “mutilatini di guerra”. Poi, nel corso degli anni e soprattutto con la graduale scomparsa dei mutilatini, l’opera di don Carlo ha progressivamente ampliato le attività assistenziali. Oggi nei Centri della Fondazione sono accolti pazienti con ogni forma di disabilità, pazienti che hanno bisogno di interventi e cure riabilitative, anziani non autosufficienti e malati oncologici in fase terminale.

In che modo la sua testimonianza può illuminare i sacerdoti in questo Anno Sacerdotale?

P. Rodolfo Cosimo Meloli: Don Carlo è il volto moderno della santità. Ha saputo interpretare in modo superlativo la sua vocazione: quella di essere luce, sostegno, conforto e speranza per tutti quelli che incontrava. La sua vita si è consumata per il bene degli altri. E’ stato l”alter Christus” che ieri, oggi, sempre è chiamato ad essere ogni sacerdote. Consiglierei a tutti la lettura meditata dei suoi scritti e delle sue lettere”.

Perché è importante la sua testimonianza per il XXI secolo e per la difesa della dignità umana?

P. Rodolfo Cosimo Meloli: Penso perché ha messo al centro della sua azione l’uomo, gli uomini, tutti gli uomini, la forza vitale dell’amore, il sogno della fraternità e della solidarietà universale, senza pregiudizi e senza preclusioni.

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ZENIT Staff

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