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– S. E. R. Mons. Almachius Vincent RWEYONGEZA, Vescovo di Kayanga (TANZANIA)
L’evangelizzazione della famiglia comporta prendere sul serio la famiglia come “chiesa domestica”, in cui l’incontro con Cristo avviene quotidianamente. La famiglia è il veicolo attraverso cui la fede cattolica viene nutrita grazie alla lettura e alla meditazione della Parola di Dio, alla preghiera comunitaria, alla ricezione e alla celebrazione dei sacramenti di vita. L’unità della famiglia è cementata e tutelata dalla condivisione di valori ed esercizi spirituali comuni.
Vorrei presentare alcune ragioni chiave per rivedere la catechesi e la pratica dei matrimoni misti all’interno delle istituzioni della nostra Chiesa in Africa.
Innanzitutto i matrimoni misti hanno fomentato il sorgere di incomprensioni tra i sacerdoti cattolici e i pastori di diverse comunità cristiane. Inoltre, il problema irrisolto della scarsa conoscenza degli obblighi dei sacerdoti cattolici, dispute su dove debbano essere celebrati i sacramenti gettano le prime basi di divisione su come praticare la propria fede.
In secondo luogo, nella maggior parte di questi matrimoni, i genitori sono divisi perché entrambi vorrebbero battezzare e crescere i figli nella propria fede.
In terzo luogo c’è una crescente tendenza da parte dei genitori, in molti matrimoni misti, a ignorare la tradizione comune di trasmettere valori cristiani. La mancanza di unione che queste differenze provocano nella vita di preghiera finisce per ripercuotersi sull’amore, la giustizia, la riconciliazione e la pace all’interno della famiglia.
Mentre cerchiamo i mezzi per costruire la riconciliazione, la giustizia e la pace in Africa, definendo a buon diritto la famiglia come agente completo e primario di giustizia, di riconciliazione, di solidarietà e di pace, è importante non sottovalutare il problema dei matrimoni misti. Se non ci si impegna a riesaminare la celebrazione di matrimoni misti, si corre il rischio di continuare a vivere la tragedia della divisione tra i cristiani perfino in seno alla famiglia.
I diversi punti di vista riguardo ai valori della fede, compreso il significato del matrimonio, possono rappresentare un focolaio di tensioni e creare confusione nell’educazione dei figli. Ciò sta alla base della crescente indifferenza religiosa (CIC, 1634). Il matrimonio misto può facilmente diventare una casa costruita sulla sabbia, in cui diventa difficile produrre frutti di amore, di riconciliazione, di giustizia e di pace. È giunto il momento che la posizione della Chiesa riguardo ai matrimoni misti venga rivista e riesaminata la catechesi sui matrimoni misti. Se questi due passi per tutelare la famiglia non vengono intrapresi, gli sforzi per promuovere la riconciliazione, la giustizia e la pace rimarranno inadeguati.
– S. E. R. Mons. Fridolin AMBONGO BESUNGU, O.F.M. Cap., Vescovo di Bokungu-Ikela (REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO)
Lo sfruttamento delle risorse naturali è uno dei presupposti di una pace duratura nella RDC. Infatti, le guerre a ripetizione che abbiamo appena vissuto hanno rivelato che le risorse naturali che fanno della RDC uno “scandalo geologico” costituiscono allo stesso tempo una fortuna, cioè, dal punto di vista economico, un’importante carta vincente per la ripresa del paese, e una sfortuna, cioè una fonte permanente di cupidigia, di conflitti, di corruzione e addirittura di una mafia internazionale di cui alcuni congolesi sono complici. Le principali cause di queste guerre economiche che rimettono in discussione il principio di sovranità dei popoli sulle proprie risorse sono: l’inesistenza di un quadro giuridico internazionale vincolante per le multinazionali e le industrie estrattive transnazionali, la militarizzazione del settore minerario, l’esplosione della richiesta di alcuni minerali ormai strategici, la subordinazione degli interessi diplomatici agli interessi economici delle grandi potenze, il mancato rispetto della dignità del popolo congolese di cui vengono apprezzate solo le ricchezze, la volontà di balcanizzazione della RDC a vantaggio degli stati piccoli facilmente manipolabili ecc. La CENCO interviene in tre settori prioritari. La CENCO ha creato una Commissione Episcopale ad hoc per le Risorse Naturali incaricata di seguire da vicino la questione dello sfruttamento delle risorse.
Per quanto riguarda l’educazione, la CENCO ha pubblicato un vademecum del cittadino sulla gestione delle risorse naturali. Questo documento mette l’uomo al centro dello sfruttamento delle risorse naturali; aiuta i cittadini a organizzarsi alla base per esigere dalle multinazionali il rispetto delle responsabilità sociali delle imprese; far rispettare i diritti umani e delle comunità. Data la dimensione internazionale della questione dello sfruttamento delle risorse, la CENCO attende che le Chiese sorelle facciano sentire la propria voce, in solidarietà con questo popolo che ha tanto sofferto, affinché la gestione di queste risorse nel rispetto del diritto possa divenire un’occasione di fraternità e di sviluppo.
– S. E. R. Mons. Zacchaeus OKOTH, Arcivescovo di Kisumu (KENYA)
La salvezza e la riconciliazione vengono da Dio, senza il Vangelo non si ottiene nulla. Di solito, come ben sappiamo, la natura umana senza la grazia di Dio è vendicativa ed è strano immaginare che le molte tribù del Kenia si salterebbero nuovamente alla gola in futuro, alla prima occasione di antagonismo, se la salvezza e la riconciliazione non diventano una priorità.
Il nostro paese, il Kenia è stato lacerato, i vicini si sono messi contro i vicini, le figlie contro i padri, i fratelli contro i fratelli, le madri contro i figli, le tribù contro le tribù. In breve le persone hanno combattuto, sono morte, donne e ragazze sono state violentate, i possedimenti si sono persi, i risparmi e gli investimenti sono andati in fumo nel giro di pochi giorni se non di ore. Questo susseguirsi di tragici, intenzionali e sfrenati stermini, voluti e perpetrati da frange di popolazione, sono ancora freschi nella memoria.
La Chiesa in Kenia avverte profondamente la necessità di offrire un chiaro orientamento nel processo di riconciliazione. La Bibbia e il magistero della Chiesa sono i fari del processo di riconciliazione. È la fede che offre ciò che Gesù chiama i nuovi principi, più elevati di quelli passati (cfr Mt 5, 20-48). La riconciliazione deve essere un processo di risanamento dell’intollerabile odio e può essere ottenuta in cinque fasi:
– Riconoscere i peccati, le cattive azioni e gli insulti, pienamente e senza scuse.
– Dolersi e proporsi di non ripeterli in futuro.
– Pentirsi liberamente dal profondo del proprio essere.- Confessarli apertamente e sentire il rimorso.
– Riparare al male fatto e al danno che abbiamo arrecato a noi stessi, alla comunità, all’ambiente e a Dio.
– S. E. R. Mons. Telesphore George MPUNDU, Arcivescovo di Lusaka (ZAMBIA)
Questo intervento fa riferimento all’Instrumentum laboris, ai nn. 20, 32, 59, 114 e 117, che riguardano, tutti, la dignità delle donne, la loro grande inclinazione all’umanità, il loro enorme contributo potenziale alla Chiesa, sebbene il loro carisma non venga adeguatamente riconosciuto, sufficientemente utilizzato e convenientemente celebrato. Non c’è sviluppo significativo se almeno il 50 % della popolazione emarginata, ovvero le donne, è sistematicamente escluso. Senza vera giustizia fra uomini e donne, lo sviluppo rimane solo un sogno irrealizzabile, nient’altro che un pericoloso miraggio.
Nella Genesi 1, 27 ci viene detto chiaramente che Dio creò l’umanità e li creò maschio e femmina, a sua propria immagine e somiglianza. Perciò una piena e uguale partecipazione delle donne in tutte le sfere della vita è essenziale per lo sviluppo sociale ed economico. La negazione dell’uguaglianza alle donne è un affronto alla dignità umana e la negazione di un vero sviluppo dell’umanità.
Purtroppo d
obbiamo ammettere con vergogna che, nello Zambia, le donne sono troppo spesso vittime di abusi, violenze domestiche che talvolta portano alla morte, pratiche culturali e consuetudinarie discriminatorie e leggi scritte palesemente pregiudiziali verso di loro. Noi vescovi dobbiamo parlare in modo più chiaro e insistente in difesa della dignità delle donne alla luce delle Scritture e della Dottrina sociale della Chiesa.
Sì, fu una donna, Maria, a portare per prima Gesù in Africa come profugo [Mt 2, 13-15]. Oggi è la donna che, in molti modi, porta Gesù a noi, nello Zambia. Donne religiose e laiche aiutano la nostra Chiesa a essere al servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace, con particolare sollecitudine per i poveri.
Per promuovere il rispetto delle donne e la loro integrazione nelle strutture ecclesiali di responsabilità, decisionali e progettuali, invitiamo il Sinodo a raccomandare a tutte le diocesi di istituire o consolidare l’apostolato familiare e gli uffici che trattano il problema femminile, rendendoli operativi e pienamente funzionanti.
– S. E. R. Mons. Philip SULUMETI, Vescovo di Kakamega (KENYA)
Questo è il momento di fare una riflessione onesta e di chiederci quali programmi concreti abbiamo messo a punto per far sì che le donne partecipino in modo responsabile, autentico e attivo alla vita della nostra Chiesa. Abbiamo dato tutto per scontato e pian piano abbiamo perso terreno nei confronti di questo prezioso gruppo.
È dalle donne che abbiamo tratto l’immagine della Chiesa come la famiglia di Dio. È qui che i sacramenti sono vivi e attivi, ed è qui che nascono vocazioni e carriere.
Le donne in Kenia sono le prime collaboratrici della missione evangelizzatrice della Chiesa e il dono di questo impegno deve essere incoraggiato per eliminare le sofferenze che affliggono il continente. L’esempio luminoso delle donne ha effetti durevoli sul benessere della famiglia unita su cui la Chiesa si fonda. Le donne offrono l’unica immagine femminile di Dio che deve ancora essere promossa nella Chiesa africana.Le donne in Kenia sono impegnate nell’80% dei lavori agricoli e nel 90% di quelli domestici. Vi ricordo che la maggior parte di loro lo fa senza ricorrere agli utensili moderni, alla formazione e alle attrezzature di oggi, eppure non viene mai dato al loro lavoro un valore monetario. Ciò rappresenta una delle più gravi forme di struttura di “peccato” che opprime la nostra famiglia africana.
Le donne sono in grado di fare qualsiasi cosa, se viene offerta loro l’occasione di provare. Ricordate che, se educate un uomo, educate un individuo, se educate una donna, educate una famiglia, ma se educate le donne, educate una nazione.
Chiedo a questa Assemblea Speciale dei Vescovi per l’Africa che venga offerta alle donne una formazione di qualità offrendo loro gli strumenti per assolvere alle loro responsabilità , e che vengano loro aperte tutte quelle carriere sociali da cui la società tradizionale e moderna tende a escluderle senza motivo. Per realizzare ciò, gli uomini sono chiamati a un cambiamento radicale e a una fondamentale conversione.
– S. E. R. Mons. Marcel MADILA BASANGUKA, Arcivescovo di Kananga (REPUBBLICA DEMOCRATICA DEL CONGO)
Tutte le forme di violenza perpetrate in questi ultimi anni in Africa e in particolare nella RD del Congo, hanno influito negativamente sulla natura, l’esistenza e il funzionamento della famiglia. Potremmo dire che la famiglia in quanto tale è nel mirino di coloro che non vogliono la pace e la riconciliazione in Africa.
In conformità con il punto 20 dell’Instrumentum laboris, quali strategie e quali programmi può elaborare questa augusta Assemblea a favore della famiglia riguardo alle diverse sfide enumerate durante queste assise? Ne suggeriamo 6:
– Formare e sensibilizzare i cristiani eletti che partecipano alla stesura delle leggi sulla famiglia affinché difendano la dignità e la nobiltà di questa istituzione. Gli strumenti giuridici sono fondamentali nei sistemi democratici di oggi;
– Denunciare “le dittature e un certo colonialismo legislativo” di cui l’Africa è spesso vittima per quanto riguarda la famiglia;
– Divulgare la carta dei diritti della famiglia e avere il coraggio di proporla alla comunità politica nel quadro dei dibattiti democratici tra governanti e governati;
– Aiutare l’Africa a non subire le pressioni di alcuni organismi che le impongono la propria visione della famiglia a nome dell’aiuto fornito;
– Favorire l’espansione delle associazioni per la famiglia o crearne di nuove al fine di consolidare la famiglia, far risplendere la dignità e la nobiltà del sacramento del matrimonio;
– Introdurre nei seminari e negli altri istituiti di formazione analisi socio pastorali contestuali per scoprire, criticare e prevenire le minacce e i rischi che pesano sull’istituzione familiare.
– S. E. R. Mons. Youssef Ibrahim SARRAF, Vescovo di Le Caire dei Caldei (EGITTO)
Le Chiese Orientali e le Chiese dell’Africa del Nord e anche dell’Etiopia che hanno vissuto la prima fase dell’Evangelizzazione dell’Africa rendono ancora oggi testimonianza alla vitalità cristiana che attingono dalle loro radici apostoliche, come per esempio in Egitto e in Etiopia e, fino al XVII secolo, in Nubia. Dobbiamo fare una grande “mea maxima culpa” perché, per ragioni antropologiche e storiche, l’Evangelizzazione dell’Africa si è fermata alla Nubia, all’Etiopia e all’Africa del Nord. Queste Chiese dell’Africa del Nord e Orientali oggi non hanno forse un ruolo da svolgere nell’Evangelizzazione e nella missione della Chiesa e anche a servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace in Africa, come gli stati politici? Sarebbe opportuno parlare della presenza e del ruolo delle Chiese Orientali e di quelle dell’Africa del Nord perché si sviluppino nella comunione ecclesiale e non siano ridotte solo a dei “Monumenta Archeologiae Christianae”.
Ogni Chiesa universale – Famiglia di Dio – dovrebbe interessarsi all’Africa e non solo le Chiese che si trovano in Africa. Si tratta infatti del Sinodo dei Vescovi della Chiesa Universale. Mi chiedo: quanti al di fuori del continente africano hanno letto l'”Ecclesia in Africa”?
Si parla spesso di conflitti di civiltà, di culture o di religioni. Perché non parlare piuttosto di incontro di civiltà, di culture e di religioni per una migliore comprensione e collaborazione attraverso il dialogo?
– S. E. R. Mons. Gabriel MBILINGI, C.S.Sp., Arcivescovo Coadiutore di Lubango, Presidente del “Inter-regional Meeting of Bishops of Southern Africa” (I.M.B.I.S.A.) (ANGOLA)
Proponiamo di applicare nella pratica la Dottrina sociale della Chiesa cattolica relativa alla vita imprenditoriale e alle istituzioni impegnate nella promozione della pace sociale, nello sviluppo armonioso, nel benessere sociale e individuale, basati sui principi dell’Etica generale e dell’Etica economica e imprenditoriale, alla luce in particolare del Diritto canonico e della Legislazione civile.
Il motto dell’Associazione Cristiana degli Imprenditori e Dirigenti (ACGD) è “Virtù, Etica e Missione” e si sta divulgando in tutte le diocesi dell’Angola, São Tomé e Príncipe. L’associazione costituisce una sfida lanciata dalla Chiesa in Angola e São Tomé al suo laicato e una sfida che il laicato angolano e saotomense lancia alle diocesi e ai loro pastori nell’opera di evangelizzazione delle nostre terre in una collaborazione che si auspica sempre più feconda.
Speriamo così che i suoi membri partecipino in modo attivo e responsabile alla vita e alla missione della Chiesa locale, mettendosi al servizio della persona umana, della cultura, dell’economia e della politica, mirando a cambiare, a poco a poco, le mentalità, le istituzioni e le strutture sociali, le leggi ingiuste e tutto ciò che offende e opprime la dignità della persona umana: la miseria, lo sfruttamento, il razzismo, il tribalismo, gli abusi di potere, le disuguagli
anze sociali, ecc.
È in tale contesto che si inserisce l’impegno che, in nome del Vangelo, il fedele laico deve mettere al servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace. Questa missione del laico nel mondo esige da lui una buona preparazione scientifica, dottrinale e spirituale. Perciò i laici dell’ACGD possono contare su assistenti ecclesiastici che li seguono nel loro cammino dottrinale e spirituale. Tengono incontri di formazione nei vari settori della loro attività professionale, organizzano ritiri spirituali e convivenze fraterne, fondandosi sulla fede e cercando di vivere la comunione nella diversità.
Facciamo affidamento sull’ACGD come fermento per iniziative di autonomia finanziaria delle diocesi e soprattutto per un buon governo dentro e fuori dalla Chiesa, nei nostri paesi, cosa che rappresenta un sogno per la nostra regione dell’Imbisa e per tutto il continente africano.
Questa categoria di fedeli laici si aspetta certamente da questa Assemblea sinodale una parola di incoraggiamento diretta in modo specifico a loro.
– S. E. R. Mons. Robert Patrick ELLISON, C.S.Sp., Vescovo di Banjul (GAMBIA)
L’istruzione ha rappresentato la maggior componente della missione della Chiesa alla popolazione del Gambia, che per la maggior parte è musulmana (ca. 90%). Ciò influisce sul positivo spirito di tolleranza, comprensione e rispetto che esiste tra le comunità musulmane e cristiane oggi nel paese.
Il Gambia non ha ricchezze naturali o minerali di un qualche interesse. È forse per questo motivo (e non nonostante questo) che gode di un alto livello di pace e stabilità, che rappresentano elementi importanti per la crescita dello sviluppo. Inoltre la stessa popolazione è pacifica per natura.
Quando il compianto Papa Giovanni Paolo II venne in Gambia nel 1992 in visita pastorale, il motto scelto dalla Chiesa cattolica per la visita del papa fu: “Siate il sale della terra; siate la luce del mondo!” Come piccola
e Chiesa e parte di un’ancora più piccola presenza cristiana in un paese a maggioranza musulmana, il tema di questo sinodo rappresenta per noi un’ulteriore sfida a diventare segno e strumento di promozione della giustizia, della pace e del rispetto reciproco tra i vari gruppi tribali, religiosi e sociali che formano il tessuto della società del Gambia. Infatti esistono ancora molte diseguaglianze.
Riteniamo che l’istruzione a tutti i livelli sia il modo in cui possiamo contribuire a raggiungere questo scopo, mettendo in evidenza i valori religiosi e morali comuni tra l’islam e il cristianesimo – nonostante i numerosi ostacoli con cui dobbiamo confrontarci.
– S. E. R. Mons. Lucio Andrice MUANDULA, Vescovo di Xai-Xai, Presidente della Conferenza Episcopale (MOZAMBICO)
Nel corso di questa assemblea sinodale, in diverse occasioni si è detto che, non di rado, i fedeli laici coinvolti attivamente nella vita politica dei nostri paesi finiscono per assumere comportamenti e atteggiamenti dannosi riguardo ai principi fondamentali della fede e della morale cristiane. In effetti, nella vita quotidiana, i fedeli laici si vedono spesso divisi fra fede cristiana e opzione politica, come se la fede cristiana e l’attività politica fossero due realtà incompatibili a priori.
Per ovviare a tale situazione, questa assemblea sinodale dovrebbe esaminare con attenzione le ragioni più profonde di tale dicotomia, per permettere che i fedeli in futuro possano vivere serenamente la loro vocazione cristiana, senza dover necessariamente rinunziare alla partecipazione attiva nella politica.
In realtà, senza trascurare il fatto che il desiderio smodato di potere e grandezza spesso offusca quella luce della fede con cui i fedeli laici dovrebbero illuminare il mondo della politica, trovo che i cristiani cattolici impegnati nell’attività politica in Africa avvertano una grande solitudine e un certo abbandono da parte della gerarchia delle loro Chiese particolari. Non essendo sufficientemente assistiti e incoraggiati dai loro pastori e dovendo operare in un mondo zeppo di intrighi e di ambizioni senza fine, finiscono col perdersi, causando a volte danni irreparabili alla Chiesa di cui sono figli. Nonostante alcuni di loro si siano formati nelle nostre università cattoliche e siano cristiani in prima fila nelle messe domenicali delle nostre cattedrali, non di rado li vediamo coinvolti nell’approvazione di leggi contrarie alla fede cattolica, come nel caso della liberalizzazione dell’aborto. Purtroppo vivono la fede cristiana come qualcosa di avulso dalla vita quotidiana e dall’attività sociale grazie alla quale devono contribuire alla costruzione del bene comune.
– S. E. R. Mons. Gabriel ‘Leke ABEGUNRIN, Vescovo di Osogbo (NIGERIA)
Occorre che la Chiesa si faccia più presente nella proclamazione della Verità nell’Africa di oggi, dove, in molti luoghi, dove il compromesso politico e i negoziati silenziosi non sono stati efficaci (cfr Papa Benedetto XVI, Caritas in Veritate). La voce profetica della Chiesa a favore dei poveri e degli oppressi non deve mai essere compromessa o sacrificata sull’altare di un’amicizia irreligiosa o di un tornaconto materiale.
Una delle maggiori sfide che questo Sinodo dovrebbe affrontare è il destino di un gran numero di immigrati africani presenti in tutti i paesi dell’occidente. Dall’inizio della crisi economica, molti di questi paesi occidentali hanno elaborato leggi e strutture difensive a sostegno delle proprie economie. Purtroppo a questo scopo sono state varate leggi che si avvicinano molto a negare perfino i diritti umani degli immigrati, specialmente degli africani. Soprattutto in Italia l’immigrazione clandestina è diventata un reato e l’assistenza agli immigrati da parte di organizzazioni caritative di volontari è stata ridotta.
Nella stessa Africa il malgoverno dovuto alla corruzione, alle clientele e alla mancanza di rispetto dell’applicazione della legge, sono contro la giustizia e la riconciliazione.
In Africa, dal nord al sud, dall’est all’ovest, i nostri giovani sono la nostra più grande forza e le prime vittime della violenza etnica, del genocidio, del banditismo, della criminalità, del traffico di esseri umani, della corruzione e del malgoverno.
Alla luce di tutto ciò la voce profetica della Chiesa deve essere ascoltata senza ambiguità
– S. E. R. Mons. Joseph Effiong EKUWEM, Vescovo di Uyo (NIGERIA)
L’Instrumentum laboris fa riferimento alla stregoneria al n. 32. Qualcuno può avere una diversa comprensione o definizione della stregoneria. La percezione decisiva che attraversa il continente è che la stregoneria sia una forza del male in grado di nuocere a una persona sia spiritualmente che materialmente. Come ci si può aspettare, i suoi presunti poteri diabolici vengono estremamente esagerati, rendendo la stregoneria potente quasi come Dio. Il nostro popolo crede fermamente nell’esistenza di una tale forza del male e nelle sue azioni maligne.
Sappiamo che Dio esiste. Egli è onnipotente e creatore di tutte le cose esistenti, visibili ed invisibili. Questo crediamo e professiamo nel nostro credo. È onnipotente e il solo Essere supremo in tre persone divine. C’è Satana, il principe delle tenebre. Nella Genesi è chiamato il serpente che ingannò i nostri progenitori (cfr. Gen 3, 13), inducendoli a peccare contro Dio. Il libro dell’Apocalisse lo chiama il serpente antico, riferendosi all’evento del peccato originale nella Genesi. Viene chiamato con altri nomi: il drago rosso, il diavolo, Satana e l’accusatore dei nostri fratelli (cfr Ap 12, 9). Gli angeli, cioè gli angeli caduti, a lui fedeli, formano il suo esercito (Ap 12, 7; 9).
Lungi da una mera interpretazione letterale del testo e da una esegesi o approccio ermeneutico mutilato a uno scritto apocalittico come il libro dell’Apocalisse appena citato, l’intera Bibbia, Antico e Nuovo Testamento, rende testimonianza dell’esistenza del diavolo.
La Chiesa lo ha riconosciuto e ha offerto corsi s
u “de Demonio”. Inoltre non solo ha stabilito il rito dell’esorcismo, ma ha fatto largo agli esorcisti. Ciò sembra essere caduto in disuso negli ultimi decenni.
Permettetemi, perciò, di suggerire che:
1. nelle nostre facoltà teologiche si provveda a un’autentica catechesi profondamente biblica e teologica e che essa, se possibile, sia offerta come corso;
2. a uso dei sacerdoti sia messo a punto un nuovo rito di esorcismo basato sul vecchio;
3. ogni ordinario, secondo il Codice di Diritto Canonico, debba nominare un esorcista per la sua Chiesa particolare.
Abbiamo il dovere verso la nostra gente, in ottemperanza al nostro ufficio magisteriale, di educarla e salvarla dagli artigli di un falso credo e da terribili pratiche occulte come la stregoneria.
– S. E. R. Mons. Matthias SSEKAMANYA, Vescovo di Lugazi, Presidente della Conferenza Episcopale (UGANDA)
Abbiamo motivo di ringraziare Dio per i contributi positivi dei nostri sacerdoti, fedeli religiosi e laici, che danno testimonianza alla missione della Chiesa, di essere sale della terra e luce del mondo. Molti di loro prestano servizio come operatori di riconciliazione, giustizia e pace. Pertanto, un buon numero di scuole ed ospedali fondati dalla Chiesa attrae molta gente, anche non cristiana, per servizi di qualità, basati su giustizia, amore e spirito di riconciliazione cristiana. In ogni diocesi ci sono uomini e donne laici che impegnano la propria vita come animatori e guide di gruppi laici nel consiglio parrocchiale o in associazioni laiche organizzate.
Comunque, nonostante i contributi positivi di così tanti membri del clero, religiosi e laici impegnati, che concorrono all’aumento costante dei cristiani nella Chiesa in Africa, questo non sempre è stato seguito, tra molti dei cristiani africani, da fede e spiritualità più profonde.
Purtroppo le speranze di una maggiore fiducia in sé stessi si sono indebolite a causa della povertà diffusa e della formazione insufficiente dei nostri fedeli, con il risultato di seri problemi economici in molti settori della vita della Chiesa. I giovani si riversano disperatamente nelle metropoli e nelle città alla ricerca di qualsiasi lavoro per sopravvivere. Ma, allo stesso tempo, l’urbanizzazione sta inducendo molti africani a perdere il senso della naturale solidarietà e collaborazione familiare. Questo provoca un declino delle salutari pratiche cristiane. I giovani, quindi, vengono influenzati dalla mentalità individualistica, dalla perdita del naturale senso di appartenenza e dalla perdita del rapporto con i più grandi. Questo tipo di vita vissuta nella solitudine porta molti giovani alla promiscuità sessuale, alla tossicodipendenza e a violenza di ogni tipo.
I Pastori in Africa sono chiamati ad usare modi e mezzi differenti di proclamare la Parola di Dio, in modo che essa possa divenire per molti sale e luce della terra, inducendoli a praticare la riconciliazione, la giustizia e la pace. C’è necessità a tutti i livelli di una formazione seria nella Dottrina Sociale della Chiesa e di una implementazione più profonda dell’inculturazione nella nostra catechesi.
– S. E. R. Mons. Peter William INGHAM, Vescovo di Wollongong, Presidente della “Federation of Catholic Bishops’ Conferences of Oceania” (F.C.B.C.O.) (AUSTRALIA)
La maggior parte delle diocesi in Australia e Nuova Zelanda hanno un Fondo Cattolico per lo Sviluppo (CDF). Ciò produce un sostanzioso flusso di denaro per finanziare e mantenere edifici ecclesiali, scuole e strutture sociali.
Le parrocchie, le scuole, le organizzazioni religiose, come pure il clero, i laici e le congregazioni religiose vi depositano i loro fondi che rendono un interesse. In tal modo il CDF diventa un’Istituzione finanziaria diocesana, in cui i fondi della Chiesa si accumulano e diventano istituti mutualistici che finanziano gli edifici ecclesiali e l’attività apostolica.
Il CDF opera con una grande banca, così depositi e prelievi possono essere effettuati presso le sue filiali. Ogni CDF di una diocesi deve rispondere dei propri requisiti di solvenza a una società fondata dalla Conferenza episcopale australiana.
La diocesi incoraggia i laici a investire nel CDF, piuttosto che in un’istituzione finanziaria commerciale di profitto, quale impegno personale per sostenere l’attività caritativa, religiosa ed educativa della Chiesa cattolica.
Il CDF risponde a un consiglio di amministrazione formato da competenti esperti di finanza che esaminano gli investimenti del Fondo e ne approvano i prestiti. Il Consiglio Finanziario Diocesano lavora in collaborazione con il CDF per far sì che nessuna parrocchia od organismo ecclesiale si carichi di un debito che non è in grado di restituire.
Il modesto profitto del CDF consente al vescovo di pagare giusti salari al personale del suo ufficio e di sostenere l’opera pastorale della diocesi.
98 anni fa, in Austraria, è stata fondata una Compagnia di Assicurazione della Chiesa, detta “Catholic Church Insurance”. Le diocesi e gli ordini religiosi sono i soci di questa cooperativa che offre tutela assicurativa a tutti, ma soprattutto alle diocesi più povere nelle zone più sperdute, che non possono pagare i ratei assicurativi commerciali.
Porto alla vostra attenzione queste iniziative pratiche per offrirvi un incoraggiamento. Sono a disposizione per ulteriori informazioni.
– S. E. R. Mons. Denis KIWANUKA LOTE, Arcivescovo di Tororo (UGANDA)
Nei due anni scorsi varie zone dell’Uganda hanno vissuto disastrose inondazioni seguite da gravi siccità. Entrambi i fenomeni hanno causato la rovina dei raccolti. Ci è stato detto che queste estese inondazioni e siccità sono il risultato di un indiscriminato disboscamento che non è stato seguito dal reimpianto degli alberi.
Ovunque, nel mondo, ci viene detto che il cambiamento climatico è prodotto dal sovrappascolo, dallo smaltimento improprio dei rifiuti e dagli scarti industriali. Conseguenza di tutto ciò sono la desertificazione, il prosciugamento di sorgenti d’acqua, l’inquinamento idrico e le malattie.
Questo deplorevole stato di cose era già stato previsto due secoli fa da un fenomenologista. Egli
avvertì che, se si interferisce con la natura, essa è costretta a contrattaccare. Sembra che la gente abbia ignorato l’avvertimento e da questo deriva la continua rottura dell’ecosistema che stiamo conoscendo oggi. Non si possono ignorare le leggi naturali così come non si possono ignorare le direttive contenute nel manuale delle istruzioni, se si vuole che una macchina funzioni bene. Il mondo fisico ha leggi che devono essere rispettate.
Profeti di sventura e di speranza hanno scritto ampiamente sullo stato di deterioramento di questa terra in quanto habitat dell’uomo e molti di loro hanno dato suggerimenti su come capovolgere la situazione. La salvaguardia ambientale è divenuta una questione che merita l’attenzione di ognuno. Così come la pandemia dell’Hiv/Aids non infetta solo alcune persone, ma riguarda ciascuno, così anche il riscaldamento globale infetta e riguarda ogni persona. Per questo motivo la Chiesa in Africa, mediante questo Sinodo, dovrebbe affrontare seriamente la questione del cambiamento climatico come obbligo morale per tutti. Questo Sinodo dovrebbe trovare vie di riconciliazione fra la terra, in quanto vittima, e l’uomo, in quanto aggressore.
– Rev. P. Aquiléo FIORENTINI, I.M.C., Superiore Generale dell’Istituto Missioni Consolata (UNIONE DEI SUPERIORI GENERALI)
Il ministero della riconciliazione comprende la dimensione orizzontale e verticale, con gli altri e con Dio. Comporta una vera scuola per re-imparare a perdonare e a riconciliarsi, che prevede un metodo e dei contenuti.
Un apporto significativo che le Chiese di 14 paesi del Continente americano possono offrire alla Chiesa d’Africa come metodologia per ottenere perdono e riconc
iliazione è l’esperienza delle ES.PE.RE (Escuelas de Perdón y Reconciliación). Queste sono scuole formate da gruppi di 15-20 persone che decidono di vivere una forte esperienza di cura della memoria non-grata (rabbia, rancore, odio, vendetta), e che desiderano aprirsi al perdono e alla riconciliazione come cammino obbligato verso la ricostruzione personale, familiare e sociale, e il ristabilirsi della pace nel proprio quartiere, nella città e nel Paese.
Le ESPERE, utilizza una metodologia variegata: la ludica, il socio-dramma, esercizi di re-formulazione ed ermeneutica, spazi di ascolto, gioco dei ruoli e altro; lavora su cinque dimensioni dell’essere umano: conoscitiva, emozionale, comportamentale/attitudinale, comunicativa e trascendente; possiede la sua colonna vertebrale nel lavoro dei piccoli gruppi, dove i partecipanti ri-elaborano rabbia, odio e desideri di vendetta; promuove e capacita ciascuno dei partecipanti perché si convertano in Animatori/moltiplicatori; si adatta ad essere utilizzata da bambini, giovani e adulti; è una proposta ecumenica.
È una proposta pedagogica realizzata in 10 passi, ognuno di circa 8 ore. Ogni passo segue una sequenza similare. I primi 5 passi sono dedicati al perdono. Gli altri 5 si riferiscono alla riconciliazione, e toccano concetti fondamentali come: verità, giustizia e patto.
Con questa proposta si cerca di portare il perdono negli scenari della vita quotidiana, per influire così sulla vita pubblica e politica delle città.
Il paradigma del perdono e della riconciliazione è possibile solo per chi si situa in un nuovo spazio cosmico, storico, spirituale, culturale e psicologico: la prospettiva di una nuova creazione (cfr 2Cor 5, 17-18).
– S. Em. R. Card. Théodore-Adrien SARR, Arcivescovo di Dakar, Primo Vice Presidente del Simposio di Conferenze Episcopali di Africa e Madagascar (S.C.E.A.M.) (SENEGAL)
Uno dei tristi fenomeni che alimenta l’immagine negativa dell’Africa attraverso i media è la migrazione clandestina di migliaia di africani verso l’Europa Occidentale, in particolare la perdita di vite umane che si verifica periodicamente tra le sabbie del Sahara, nelle acque dell’Oceano Atlantico e del Mediterraneo, che i media non mancano mai di annunciare. Vorrei sottolineare il carattere rivelatore del fenomeno della migrazione clandestina. L’avventura così rischiosa dei migranti clandestini è un vero grido di disperazione, che proclama di fronte al mondo la gravità delle loro frustrazioni e il loro desiderio ardente di un maggior benessere.
Percepiamo, noi, questo grido di disperazione e lo lasciamo penetrare nel nostro cuore tanto da cercare di capirne bene il senso e la portata? Lasciamoci interpellare da questi drammi fino a ricercare le cause del fenomeno. Mi limito a citarne alcune, indicate ai numeri 12 e 25-28 dell’Instrumentum laboris: sono i fattori che impediscono il realizzarsi di uno sviluppo economico che riduca progressivamente la povertà nei paesi a sud del Sahara. Segnaliamo il saccheggio spesso denunciato delle risorse naturali dell’Africa. Un’altra piaga molte volte denunciata è la corruzione dei dirigenti africani, che concedono, attraverso commissioni segrete, vantaggi e profitti spropositati alle multinazionali, a detrimento del loro paese. Come non citare tutti i conflitti armati interni, fomentati o alimentati dai commercianti d’armi per i loro affari, che gettano tanti uomini, donne, bambini e giovani sulle vie dell’esilio? Ecco, secondo me, alcune delle tristi realtà che devono sollecitare le nostre coscienze ogni volta che i media ci raccontano il dramma della migrazione clandestina. Arricchiamo la conoscenza delle cause di questa migrazione, al fine di impegnarci meglio nella lotta per porre fine a questi drammi. Sappiamo bene, infatti, che non sono le barriere della polizia, per quanto possano essere invalicabili, ad arrestare la migrazione clandestina, bensì la riduzione effettiva della povertà attraverso la promozione di uno sviluppo economico e sociale che si estenda alle masse popolari del nostro paese. Ecco perché, in seno alla CERAO, nutriamo l’ambizione di suscitare in noi stessi e presso gli africani sub-sahariani, un sussulto o rinascita della coscienza africana, che si radica nell’incontro di Cristo e nella comunione con Lui. “Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina” (Gv 5,8), ha detto Cristo al paralitico presso la piscina di Betzaetà. Che tutti noi possiamo incontrarlo, così da sentirlo dire anche a noi “Alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina”, “alzati, prendi in mano il tuo destino e cammina”! Questa seconda Assemblea Speciale è un tempo di grazia che il Signore ci offre perché ci impegniamo a cercarlo per incontrarlo, per farci guarire da Lui, per farci riconciliare con Dio, con noi stessi e con gli altri per mezzo di Lui, per attingere da Lui l’amore e la forza per dedicarci alla promozione della giustizia e dello sviluppo dei popoli, al fine di costruire la pace nel nostro paese. Cogliamo questo tempo di grazia per lanciare appelli per la riconciliazione, per la promozione della giustizia e dello sviluppo al fine di costruire la pace:
– appelli ai governanti dei nostri paesi, affinché si alzino in piedi e prendano in mano il destino del loro popolo, fino a dimenticare i propri interessi personali e resistendo alle pressioni esterne;
– appelli a tutte le forze esterne che hanno gravato e gravano negativamente sul destino dell’Africa nera: coloro che prendono le decisioni riconoscano sinceramente i mali causati all’Africa e s’impegnino a operare per il suo sviluppo autentico, per riparare e per farle giustizia.
Ecco un modo per contribuire alla lotta contro la migrazione clandestina e la fuga di cervelli.
– S. E. R. Mons. Valerian OKEKE, Arcivescovo di Onitsha (NIGERIA)
Poiché fondata sulla paternità di Dio, l’immagine della Chiesa come Famiglia ha messo in rilievo i valori familiari africani di solidarietà, condivisione, rispetto dell’altro, coesione, ecc. (Instrumentum laboris, n. 88). È necessario che a questa unica famiglia di Dio, alla quale tutti apparteniamo in Cristo, venga dato rilievo, specialmente in Africa, dove i vincoli familiari escludono guerra, ingiustizia e tutto ciò che è contrario alla riconciliazione e alla pace.
Data l’importanza della famiglia africana nel servizio della riconciliazione, della giustizia e della pace raccomandiamo che:
– si dedichi più attenzione alla preparazione matrimoniale delle coppie, illustrando loro le sfide, i doveri e gli obblighi della vita familiare, come pure la sua importanza per il benessere della Chiesa e della società;
– una catechesi familiare costante, differenziata secondo le particolare esigenze, faccia parte del lavoro catechetico di ogni Chiesa locale;
– speciali organismi diocesani si concentrino sulle esigenze della famiglia nella società più in generale. Questi organismi devono mantenere un dialogo costante con le autorità civili per assicurare che non vengano trascurati i bisogni fondamentali della famiglia;
– venga dedicata una maggiore attenzione alle sfide delle coppie senza figli in Africa, che dovrebbero essere incoraggiate a considerare la loro situazione più come un’occasione di grazia. Laddove l’adozione rappresenta una opzione, occorre impegnarsi per assicurare che ciò non degeneri in una commercializzazione e in altre pratiche che ledono la dignità umana;
– si creino occasioni speciali nella vita della Chiesa locale, volte ad attirare l’attenzione sull’importanza fondamentale della famiglia;
– vi sia una formazione speciale e permanente dei pastori e degli altri agenti di evangelizzazione riguardo ai bisogni della famiglia, specialmente in Africa.
Al fine di favorire la riconciliazione, la giustizia e la pace in Africa e nel mondo, è imperativo orientare gli sforzi per formare i membri della famiglia di Dio sin dall’inizio e a partire dal loro ambiente più naturale. La famiglia è la cellula basilare della società dalla quale iniziare questo sforzo.
– S. E. R. Mons. Anthony John Valentine OBINNA, Arcivescovo di Owerri (NIGERIA)
Con-filiazione è la nostra partecipazione alla filiazione di Gesù che ci rende figli e figlie di Dio e capaci di accogliere gli altri come figli e figlie di Dio. La con-filiazione è particolarmente importante per ridare dignità, riconciliare e guarire noi africani personalmente, culturalmente, politicamente ed economicamente. Ciò esige che, nel riconciliare gli africani e nell’attuare la giustizia, siano continuamente rispettate e salvaguardate la sacralità e la dignità di ogni persona anche in mezzo alla sofferenza e all’amarezza. Affinché questa riconciliazione sia duratura, è necessaria una rettifica dei nostri rapporti sia con Dio che degli uni con gli altri.
Con la gioia che provo in Cristo, come figlio di Dio, reinvestito della dignità e figlio dell’Africa, ogni giorno raccolgo la sfida di lavorare nel e con lo spirito di con-filiazione per ridare dignità ai miei fratelli africani, riconciliare persone e risolvere problemi. Tra gli Igbo, etnia cui appartengo, ho lavorato con altri figli e figlie di Dio per eliminare l’idolatrica discriminazione di Diala e Osu (nati liberi e nati schiavi) che vieta anche ai cattolici di sposarsi fra di loro. L’opposizione a questa missione continua. Nondimeno, come risultato di questo lavoro di con-filiazione, si sta celebrando un numero maggiore di matrimoni, eliminando questa detestabile divisione.
Lo spirito di con-filiazione viene messo in pratica per dare dignità ad altre aree della cultura africana e per risolvere conflitti familiari e sociali. La Chiesa-Famiglia di Dio dovrebbe adottarlo come dinamica costitutiva della famiglia.
[Testo originale: inglese]
– S. Em. R. Card. Giovanni Battista RE, Prefetto della Congregazione per i Vescovi (CITTÀ DEL VATICANO)
Per il servizio alla riconciliazione, alla giustizia e alla pace, vorrei sottolineare l’importanza di puntare sull’educazione alla riconciliazione, prestando speciale attenzione alla dimensione personale.
La riconciliazione incomincia infatti all’interno dei cuori: parlo del cuore in senso biblico, che è il nucleo più intimo della persona umana nella sua relazione col bene, con gli altri e con Dio.
Annullare del tutto i conflitti e le tensioni fra le Nazioni, le razze, le tribù, le classi sociali va al di là delle possibilità attuali della Chiesa.
Compito della Chiesa, e in particolare di noi Vescovi, è quello di educare le coscienze, di ricordare agli uomini che sono fratelli, di predicare il Vangelo della giustizia e del perdono, di insegnare loro a superare lo spirito di vendetta e ad amarsi vicendevolmente.
Compito della Chiesa è educare a saper perdonare: non vi è vera giustizia senza il perdono. Il perdono non copre le ingiustizie, ma porta ad un livello superiore che risana le ferite e ristabilisce i rapporti umani.
Vorrei pertanto invitare ad avere fiducia nell’educazione alla riconciliazione e al perdono. Certo è impegno difficile, perché il restaurare l’armonia fra offeso e offensore comporta una grande complessità: bisogna creare un cuore nuovo. È difficile, ma non impossibile, perché attraverso l’agire pastorale s’innesta nei cuori l’opera della grazia.
A tal fine, dobbiamo offrire una visione cristiana delle relazioni umane. Soltanto riconoscendo Dio come Padre di tutti, possiamo giungere a riconoscere gli altri come fratelli, perché figli dello stesso padre, anche se appartenenti a tribù e razze diverse.Per attuare una vasta opera di educazione che raggiunga le menti e i cuori, la Chiesa in Africa può contare sulle numerose Scuole Cattoliche, fra le quali anche alcune Università, che possono incidere sulla cultura locale, favorendo la riconciliazione, la giustizia e la pace. La Chiesa può contare anche su molte lodevoli iniziative e programmi educativi promossi dalle Comunità di Vita Consacrata. Importante è anche il ruolo svolto dai numerosissimi ottimi catechisti.
Mi pare però che noi Vescovi dobbiamo fare ogni sforzo per coinvolgere in quest’opera di educazione e di formazione delle coscienze in primo luogo i sacerdoti, che devono sentire come missione propria l’annuncio della riconciliazione.
La Chiesa cammina con i piedi dei sacerdoti, che sono “i piedi del messaggero che annuncia la pace” (cfr Is 52, 7). Ogni Vescovo deve avere particolarmente a cuore la formazione dei futuri sacerdoti e poi la formazione permanente dei sacerdoti stessi, che deve riguardare anche l’approfondimento della dottrina sociale della Chiesa sulla pace e la giustizia.
– Rev. Mons. Obiora Francis IKE, Direttore del “Catholic Institute for Development, Justice and Peace” (CIDJAP), Enugu, Nigeria (NIGERIA)
La Chiesa in Africa deve farsi eco del messaggio di Papa Benedetto XVI, che esorta tutte le nazioni e tutti i popoli ad operare per un nuovo ordine mondiale in ambito economico, che includa, e non che escluda, l’Africa. Se i poveri vengono esclusi dall’economia mondiale, a lungo andare anche i ricchi diventeranno poveri. Dobbiamo predicare che è giunta la fine di un’economia che cerca il profitto per se stesso, di un’economia di mercato che non intende la libertà come una responsabilità, di un’economia che non vede la famiglia umana come il suo fondamento. Pertanto, invito la Chiesa in Africa a compiere un’approfondita analisi per impegnarsi in attività di microfinanza che favoriscano i poveri e li aiutino ad accedere a mezzi per sostenersi e progredire. Anche le nazioni sono chiamate a impegnarsi in consistenti investimenti per lo sviluppo delle infrastrutture in Africa, come con il piano Marshall in Germania al termine della Seconda Guerra Mondiale. La continua esclusione delle economie africane dalle transazioni di cambio rappresenta un’emarginazione. L’inclusione, e non l’esclusione, nel mondo dell’economia, è una nuova opportunità per tutte le nazioni di risvegliarsi dal momento negativo.
A causa della povertà, molti giovani e professionisti del continente che lottano per la sopravvivenza finiscono nei guai. Alcuni di loro sono innocenti, e tuttavia diventano vittima della corruzione nei processi giudiziari del sistema di giustizia penale delle nostre nazioni. Allo stesso tempo, i veri ladri della ricchezza del paese la passano liscia e continuano le loro ruberie in accordo con le cospirazioni locali e internazionali. La Chiesa deve portare la luce di Cristo nel mondo delle prigioni, per esservi luce e sale, combattendo e impegnandosi a favore dei diritti e della libertà dei detenuti, chiedendo la loro liberazione e un trattamento giusto; deve inviare cappellani ad assistere i detenuti nei loro bisogni spirituali, ovunque essi siano, e insistere a livello internazionale affinché i detenuti in Africa vengano trattati con dignità e nel rispetto dei diritti umani, come esigono le norme delle NU. L’abrogazione della pena di morte in tutti i nostri statuti deve diventare una sfida evangelica.
– S. E. R. Mons. Séraphin François ROUAMBA, Arcivescovo di Koupéla, Presidente della Conferenza Episcopale (BURKINA FASO)
Durante il periodo critico che il nostro paese ha attraversato, la Chiesa locale ha dovuto accompagnare, con i membri di altre confessioni religiose, il processo di attuazione di una democrazia pluralista. Ha contribuito alla riconciliazione dei cuori presiedendo strutture ad hoc o partecipandovi. Va inoltre sottolineato l’impegno delle due conferenze episcopali della Costa d’Avorio e del Burkina che hanno promosso un incontro ad Abidjan per manifestare la loro unità e l’aspirazione profonda dei loro popoli alla pace, alla giustizia e alla riconciliazione. Sono state gettate le basi per future azioni concertate.
Proposte a favore di un’azione efficace della Chiesa-Famiglia per la causa della pace:
– pastori che siano costruttori di pace e amino profondamente il loro popolo;
– una dottrina sociale della Chiesa più conosciuta e diffusa a livello di tutta la Chiesa-Famiglia;
– far comprendere che la costruzione della pace è un tema che ri
guarda tutti e insegnare a ciascuno come compiere gesti di pace nella vita quotidiana;
– il rispetto delle minoranze e dei piccoli. Così, la Chiesa sarà strumento efficace nelle mani del Signore.
Quindi, sono intervenuti i seguenti Uditori e Uditrici:
– Prof. Edem KODJO, Segretario Generale emerito dell’Organizzazione dell’Unione Africana (O.U.A.), Primo Ministro emerito, Professore di Patrologia presso l’Istituto St. Paul di Lomé (TOGO)
L’Africa aspira profondamente alla riconciliazione, alla giustizia e alla pace. La Chiesa d’Africa e i suoi cristiani sono interpellati più di altri da questa missione. Come riconciliare gli africani tra di loro?
Il processo non è facile. La riconciliazione è innanzitutto un atteggiamento, una disposizione del cuore, uno sguardo d’amore nei confronti dell’altro, che presuppone la conversione di tutto l’essere, una vera “metanoia”, una trasformazione totale che solo la grazia, scaturita dalla preghiera, può accordare. Sì, noi africani dobbiamo prima di tutto riconciliarci con Dio, attraverso la penitenza e la preghiera.
La riconciliazione con gli altri richiede la forza e il coraggio del perdono.
La riconciliazione umana conferisce un ruolo centrale alla confessione che conduce alla verità, l’indispensabile verità, e alla giustizia. Riconciliazione, giustizia e verità sono legate da una sorta di relazione di tipo trinitario.
I cristiani sono formati per svolgere questo ruolo? Non è certo! Ancor meno i politici cristiani. Il cuore dell’uomo, in quanto oscuro per natura, e la politica, in quanto compromesso per eccellenza, sono più esposti degli altri al tradimento della loro fede. Denunciarli, disprezzarli non è abbastanza. Occorre cambiare i cuori. Del resto non sono tutti condannabili. Julius Nyerere non dovrebbe essere beatificato? Occorre pregare per loro. Occorre formarli. Ora, la formazione post-catechetica della nostra Chiesa deve essere ancora inventata. Cosa si conosce davvero della dottrina sociale della Chiesa nei circoli del potere?La Chiesa cristiana, quanto a essa, deve essere ricristianizzata, il laicato valorizzato, organizzato meglio, in quanto svolge un ruolo centrale.
Occorrono ovunque, nelle nostre diocesi, cappellani per gli uomini politici.
In ogni caso, i popoli dell’Africa attendono da questo Sinodo un messaggio forte per fermare le deviazioni politiche e le manipolazioni di ogni tipo, il desiderio di rimanere al potere ingannando, l’accaparramento delle ricchezze da parte di alcuni, l’alienazione delle nostre risorse minerarie, la vendita delle nostre terre, le aziende transnazionali capitaliste, la distruzione del nostro ambiente.
I popoli sanno che la voce della Chiesa è forte, che la voce del Santo Padre risuona forte. I popoli conoscono il valore morale e spirituale di alta portata della nostra Chiesa. Essi aspettano, non li deludiamo!
– Sig.ra Geneviève Amalia Mathilde SANZE, Responsabile dell’Opera di Maria – Movimento dei Focolari, Abidjan (COSTA D’AVORIO)
Il Movimento dei Focolari è presente nell’Africa subsahariana dal 1963. Da allora, la sua presenza si è estesa a tutte le nazioni africane anche se con modalità diverse. Oggi più di 170.000 persone cercano di vivere la sua spiritualità.
Come contribuisce alla riconciliazione, alla giustizia e alla pace in Africa? Dato che la sua spiritualità si basa sulla comunione, gli adepti vogliono testimoniare Cristo mettendo in pratica il Vangelo. Il Movimento lavora così per la formazione di “uomini nuovi” che, rinnovati dal Vangelo in tutti gli aspetti della loro vita, sono in grado di trasformare la società.
Per fare un esempio, possiamo parlare della “Nuova Evangelizzazione” di Fontem, una popolazione del Camerun. Nel 2000, Chiara Lubich, forte dell’esperienza fraterna vissuta insieme, si rivolse alla popolazione proponendo: “…è come un giuramento in cui noi ci impegniamo a essere sempre pienamente in pace tra noi e a rifare la pace nel caso in cui essa sia minacciata… Voi tutti siete liberi di seguire la fede dei vostri padri, se la vostra coscienza ve lo suggerisce, ma non siete liberi di non amare”. La popolazione ha aderito a questa proposta con entusiasmo. Successivamente, insieme al re, sono stati elaborati programmi concreti e sono stati avviati incontri regolari nei 10 villaggi. I frutti sono numerosi: richieste di perdono e di riconciliazione tra parenti e tra vicini, il rispetto dei valori morali, la riscoperta dei sacramenti, l’esperienza della pace interiore che la famiglia dà e crea sia in casa che nella comunità locale ecc. Oggi, 16 capi tradizionali e i loro popoli partecipano alla “Nuova Evangelizzazione” che cresce ogni anno. I re (Fon) hanno affermato a più riprese di non avere più problemi di riconciliazione, perché si sono risolti tutti con la carità fraterna.
Nel 1992, a Nairobi (Kenya), Chiara Lubich fonda una scuola per l’Inculturazione, il cui obiettivo è quello di approfondire il radicamento del Vangelo nelle culture africane alla luce del carisma dell’unità. Ogni seminario tratta un argomento specifico che è affrontato secondo le tradizioni africane, la sacra Scrittura e il Magistero della Chiesa, nonché secondo il carisma dell’unità. È un’esperienza molto interessante quella della scoperta e dell’espressione dei valori e dei limiti delle nostre stesse culture. Un ambito del tutto nuovo, anche per noi africani. Si tratta di una vera donazione reciproca che ci fa crescere nell’amore e nella vita; essa ci dà una consapevolezza nuova delle nostre radici e ci apre a orizzonti nuovi dandoci la possibilità di scoprire il patrimonio comune. Essa ci aiuta anche a far udire la voce dell’Africa al resto del mondo, in un rapporto di dignità reciproca in vista della fraternità universale e per uno sviluppo armonioso della vita socio-culturale e ecclesiale.
[Testo originale: francese]
– Rev.da Suora Jacqueline MANYI ATABONG, Assistente della Superiora Generale delle Suore di Santa Teresa del Bambin Gesù della Diocesi di Buea; Coordinatrice per l’Africa dell’International Catholic Commission for Prison Pastoral Care (I.C.C.P.P.C.), Douala (CAMERUN)
Il nostro mondo è sempre più caratterizzato dalla paura a causa del crescente tasso di criminalità. Il sistema di giustizia retributiva che viene attuato oggi non è riuscito a ridurre i reati. Il carcere non sembra essere una minaccia sufficiente per i criminali e le reiterazioni di reato sono in aumento, le vittime continuano a soffrire, i delinquenti a rimanere in carcere e la società a vivere nella paura.
Dobbiamo interrogarci e rivedere i nostri metodi! Il metodo antico con cui noi, come Chiesa, ci occupiamo dei reati e dei criminali è ancora efficace o abbiamo bisogno di nuove strategie? Sappiamo che molte nostre carceri sono delle celle sovraffollate di persone povere e svantaggiate. Sono strutturalmente inadeguate e vi si verificano pratiche disumanizzanti, violente e repressive, che talvolta causano la morte. I diritti dei detenuti non vengono rispettati e il reinserimento degli ex detenuti è un’impresa difficile. Sappiamo che in molte diocesi l’apostolato delle carceri o non esiste affatto, oppure è organizzato male, con personale scarsamente o per nulla preparato, e che riceve poco o nessun sostegno dalle autorità ecclesiastiche e dallo stato.
Per poter adempiere meglio al suo ministero di riconciliazione, la Chiesa deve essere più che mai una comunità riconciliata, un luogo in cui la riconciliazione non venga solo proclamata, ma anche vissuta. Essa deve cogliere ogni occasione per assicurare che l’apostolato di quanti sono toccati dal crimine non venga trascurato. Cristo condanna ogni legge o pratica che non salva la vita. Molti nostri istituti di detenzione non promuovono la vita. Se noi, come Chiesa, possiamo fare qualcosa a riguardo e non lo facciamo, saremo responsabili dinanzi a nostro Signore.
Quali alternative abbiamo, dunque? Occorre una migliore organizzazione della cappellania delle carceri a livello nazionale, diocesano e
parrocchiale, coinvolgendo le piccole comunità cristiane, personale adeguatamente formato e un team che possa offrire un’assistenza completa.
Giustizia ristorativa! La giustizia ristorativa è il processo in cui tutte le persone colpite da un atto illecito si incontrano per affrontare le conseguenze. Esprimono i loro sentimenti, rispondono, affrontano, si assumono la responsabilità e riconoscono il dolore costante, le ferite e i bisogni della persona che ha subito il danno, della persona che ha causato il danno e della comunità colpita da questo danno in modo tale che la comunità possa trovare la guarigione.
– Dott. Pierre TITI NWEL, Coordinatore emerito del Servizio Nazionale Giustizia e Pace della Conferenza Episcopale Nazionale del Camerun (C.E.N.C.), Yaoundé (CAMERUN)
Nel mondo attuale, i dirigenti che hanno a cuore il benessere dei loro compatrioti e l’onore del loro paese sono coloro che sono eletti liberamente e controllati regolarmente nelle loro azioni
dal popolo. Nella maggior parte dei nostri paesi, l’accesso degli individui al potere sfugge al controllo del popolo. Così i nostri dirigenti fanno quello che vogliono e come vogliono. Per ciò soffriamo tanto. La convinzione che vorrei condividere con voi è che la Chiesa, prima di convertire o quando cerca di convertire i cuori dei nostri dirigenti, deve fare propria questa semplice verità: tutti i cittadini di un paese hanno il diritto e il dovere di scegliere liberamente i propri dirigenti e di destituirli dalle loro funzioni al momento opportuno. Tale verità, la conosciamo a livello intellettuale, ma dobbiamo organizzarci per realizzarla in concreto, lottando, di concerto con la società civile e alcune forze politiche, contro l’espropriazione del potere mediante leggi inique.
Negli ultimi anni la Chiesa si è impegnata in diversi luoghi a monitorare le elezioni. Adesso deve andare oltre, aprendo gli occhi dei suoi fedeli, delle donne e degli uomini di buona volontà sulle realtà politiche e sul loro impatto sulla vita di tutti e di ciascuno. È la missione di accompagnare il popolo lungo la via della democrazia che l’Ecclesia in Africa ha assegnato alla Chiesa. Facendo ciò, i sacerdoti non abbiano rimorsi: essi sono per la maggior parte cittadini del paese in cui lavorano ed educano il popolo alla cittadinanza.