Vescovi del Ciad: Africa, depredata dalle multinazionali

La denuncia a margine del Sinodo dei Vescovi in corso in Vaticano

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di Mariaelena Finessi

ROMA, martedì, 6 ottobre 2009 (ZENIT.org).- «Nonostante le sue vaste risorse naturali e le sue potenzialità, l’Africa rimane ancora oggi il continente in cui il degrado, la guerra e la malattia sono situazioni comuni e dove continua a registrarsi la percentuale più alta di vittime della povertà». Monsignor Michele Russo, vescovo di Doba e monsignor Edmond Djitangar, vescovo di Sarh e segretario speciale al Sinodo dei Vescovi sull’Africa, presentano il conto all’incontro episcopale che si sta svolgendo in questi giorni in Vaticano (4-25 ottobre): un memorandum che farà da supporto alla proposta ufficiale che sarà sottoposta al vaglio dei vescovi.

A tutto questo, aggiungono i due ecclesiastici, occorre aggiungere alcuni problemi che sembrano essere diventati «partita esclusiva dell’Africa», quali «il malgoverno, la mancanza di uno stato di diritto, i conflitti e la violenza in tutte le sue forme», conseguenza quasi ovvia dei «bassi tassi di scolarizzazione, in particolare nella scuola elementare», e poi ci sono la mortalità infantile e le malattie endemiche, tra cui la malaria e l’aids, e la dilapidazione delle risorse minerali.

Ed è proprio sulla questione dello sfruttamento selvaggio delle risorse dell’Africa che i monsignori Djtangar e Russo intendono porre maggiormente l’attenzione: «L’Africa e i suoi beni suscitano l’invidia e la rivalità delle potenze mondiali, tra queste la Francia, gli Stati Uniti d’America e, più recentemente, la Cina. «Paesi che si scontrano spesso attraverso le loro industrie o le multinazionali». Eccolo allora il paradosso, racchiuso tra «l’immensa ricchezza di questo continente e la povertà in cui langue il suo popolo».

I due vescovi raccontano l’esempio del Ciad, la terra in cui vivono, «annoverato fra i 10 paesi più poveri del pianeta, con un Indice di sviluppo umano (HDI, Human Development Index) che lo colloca al 165 ° posto sui 175 totali». Taluni indicatori illustrano chiaramente la situazione: «Il 54% della popolazione del Ciad vive sotto la soglia di povertà fissata a 2 dollari; appena l’1% ha accesso all’elettricità e il 29% all’acqua potabile mentre 6 persone su 10 hanno un significativo ritardo di sviluppo in termini di longevità, salute, istruzione e welfare».

«Per sfruttare il petrolio del Ciad – ricordano i vescovi – il Governo ha convinto tutti, anche la Banca mondiale, dicendo che si trattava di un “progetto modello” che rispettava l’ambiente, i diritti umani, che l’informazione sarebbe stata trasparente e che le risorse avrebbero contribuito a ridurre la povertà». Bene, «la Banca mondiale ha detto “si” e la gente ha creduto in questo progetto: dal 10 Ottobre 2003, il Ciad è entrato nella cerchia dei paesi produttori di oro nero». Ma cosa sta accadendo in realtà?

«Ad oggi, nessuno – lamentano – né a livello governativo né a livello locale sembra conoscere quanti barili vengono estratti ogni giorno dal sottosuolo di Kome». Si dice 220 mila barili ma forse anche 300 mila al giorno. «Il progetto iniziale, quello sottoscritto, parlava di 300 pozzi perforati, ma ad oggi voci raccontano che si è arrivati a 1000-1500 pozzi». Di fatto, «si continua a trivellare l’area e nessuno controlla, mentre sarebbe sufficiente un semplice calcolo per capire che siamo di fronte ad un enorme saccheggio».

Per dare un’idea: «L’azienda arriva ad estrarre 220 mila barili al giorno (Rendiconto ufficiale 2007) e offre al Ciad 38 dollari al barile. Ovvero ogni giorno fuoriescono dal nostro sottosuolo 8.550.000 dollari, di cui l’86% (7.353.000 dollari) è destinato alle compagnie petrolifere e solo il 14% al Ciad (1.197.000 dollari). E per noi il prezzo è fermo sempre a 38 dollari il barile, anche quando sul mercato si superano i 70 dollari». «Se la popolazione della zona petrolifera prima viveva nella povertà, oggi versa nella miseria! Ci chiediamo che peccato essa stia espiando».

Dinanzi a una tale deriva, «abbiamo il diritto di porci allora questa domanda, “A chi appartengono le risorse naturali dell’Africa?”». «Se le risorse appartengono solo ai dirigenti e alle società minerarie, la Chiesa deve tacere! Ma se le risorse naturali appartengono a tutta la popolazione, un intervento della Chiesa s’impone, «attraverso i nostri Vescovi di Africa, o attraverso il Santo Padre in persona». L’invito è a lanciare «un appello urgente».

Innanzitutto alle compagnie estere, affinché sfruttino le risorse naturali «in modo trasparente, nel rispetto dei diritti umani e dell’ambiente; perché agevolino l’accesso alle informazioni e versino un risarcimento equo alle popolazioni, tali da ripagare effettivamente le perdite e i danni da queste subiti». Guidati infine dall’etica, che facciano «dello sfruttamento delle risorse naturali un modello per lo sviluppo dell’uomo e non viceversa».

Quanto «alle vecchie potenze colonizzatrici dei paesi africani», così come le chiamano i due ecclesiastici, «lascino scegliere liberamente all’Africa il suo percorso di sviluppo; evitino di saccheggiarla; aiutino i paesi africani a promuovere la democrazia di base e il buon governo». Il suggerimento più accorato è per la popolazione del Ciad: «Siate vigili e sviluppate una coscienza civica al fine di chiedere ai manager e ai dirigenti responsabili della gestione delle vostre risorse di rendervene conto in caso di invio delle stesse all’estero».

Infine una domanda che contiene in se la soluzione a tutto questo: «Perché – si chiedono – continuare ad offrire gli aiuti all’Africa quando i suoi terreni e i suoi redditi devono poi essere sistematicamente depredati?». Chiara la risposta: «Occorre cambiare il sistema economico mondiale, sviluppato anche da noi cristiani e che è completamente alla deriva, perché interessi egoistici o statali hanno prevalso sugli interessi di un intero popolo. Con energia profetica, dobbiamo dunque trovare, per poi proporla ai grandi della terra, la strada dell’uomo, la strada di una economia per l’uomo, che rispetti cioè la sua dignità, la sua libertà, la sua autodeterminazione. E liberare infine l’Africa, dandole la possibilità di giocare su scala mondiale il ruolo che le spetta».

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ZENIT Staff

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