Le virtù sociali della famiglia (parte II)

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ROMA, domenica, 4 ottobre 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito la seconda parte della Lectio doctoralis svolta dal prof. Pierpaolo Donati al Pontificio Istituto Giovanni Paolo II, in occasione del conferimento del dottorato Honoris causa, il 13 maggio scorso.

La prima parte è stata pubblicata il 23 luglio scorso.

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3. Quali sono le virtù sociali che dipendono dalla famiglia? Se proviamo ad esplicitare quante e quali siano le virtù sociali che provengono da una autentica vita famigliare, la risposta non appare per nulla semplice. Dobbiamo qui fare una premessa. La difficoltà di enumerare (elencare) le virtù non sta nell’osservatore. Sta nel fatto che la natura stessa della relazione famigliare non permette di ridurre le virtù sociali che essa genera ad un numero discreto, limitato, per così dire, ‘specializzato’, di virtù. Chi ci ha provato è stato sempre smentito, prima o poi.

Le virtù che nascono dalla relazione famigliare non si lasciano inquadrare in un elenco (non c’è nessuna lista che possa esaurirle) perché essa abbraccia la totalità di vita della persona. La sociologia esprime questa realtà dicendo che la famiglia è l’unico luogo della società dove la persona viene considerata nella sua interezza o totalità. Non c’è altro luogo che sia deputato, e legittimato, ad essere questo. Bisogna, allora, cogliere il senso profondo che, nella famiglia e solamente in essa, accomuna tutte le virtù. Questo senso, che vieta di attribuire alla famiglia un numero discreto e limitato di virtù (o funzioni), rimanda al carattere sovra-funzionale della famiglia, la cui natura è quella di essere un fatto sociale totale che coinvolge tutti i livelli dell’esistenza umana. La famiglia, infatti, è e rimane il solo luogo della società in cui la persona è considerata nella sua interezza. E pertanto, siccome la famiglia abbraccia tutte le dimensioni della vita umana, essa è il luogo dove si formano, oppure non si formano oppure ancora vengono deviate, tutte le virtù, quelle personali e quelle sociali insieme, quelle private e quelle pubbliche.

Io traduco questo dato empirico nell’affermazione secondo cui la famiglia è la relazione più sovrafuzionale che esista nella società. È precisamente questo fatto che la contraddistingue da tutte le altre forme di relazioni, anche da quelle primarie di amicizia e mutualità in cui la persona è indubbiamente considerata e apprezzata come persona, e non solo per un aspetto o ruolo funzionale, ma mai completamente per tutti gli aspetti della sua vita. La mera convivenza si distingue dalla famiglia proprio perché i semplici conviventi mantengono delle ‘riserve’ reciproche, e non si vedono impegnati sul futuro con la totalità della loro persona. In queste forme parafamiliari, o comunque decisamente non familiari, di vita in comune manca proprio la sovrafunzionalità delle relazioni interpersonali, le quali vengono limitate alla sfera delle gratificazioni individuali, senza una vera e propria responsabilità sociale.

In breve, la famiglia genera virtù sociali perché il carattere sovrafunzionale della famiglia implica tutto il coro delle virtù, personali e sociali. Questo ‘coro’ non è configurato secondo il caso,ma è articolato e ordinato: esso si regge su una virtù dalla quale dipendono tutte le altre, e questa virtù è quella dell’amore (il primato del dono) perché questa è la virtù secondo la categoria relazionale della totalità. Se noi guardiamo al coro delle virtù, non solo a quelle ‘grandi’ – le virtù teologali (fede, speranza, carità) e quelle cardinali (prudenza, fortezza, giustizia, temperanza) –, ma anche alla moltitudine delle ‘piccole’ virtù della vita quotidiana (ordine, puntualità, laboriosità, attenzione all’altro, disponibilità all’ascolto, sincerità, gratitudine, riconoscenza, ecc.), noi vediamo che le basi umane di tali virtù risiedono nell’humus di una vita famigliare in cui ciascuno si orienta all’Altro in un certo modo, quello che chiamiamo appunto ‘famigliare’. Le virtù non si applicano necessariamente a cose grandi, eclatanti, ad eventi straordinari e portentosi, ma anche e soprattutto a cose ‘piccole’, alle piccole difficoltà, delusioni, contraddizioni della vita quotidiana. La relazione famigliare genera un clima caratterizzato da fiducia, cooperazione, reciprocità, dentro il quale crescono le virtù personali e sociali. Senza il clima proprio della famiglia, le virtù personali e sociali diventano più difficili, e a volte impossibili, da apprendere e mettere in pratica.

Quando fiducia, cooperazione e reciprocità sono strettamente legati fra loro e crescono assieme, la famiglia diventa scuola di fraternità. Lo si vede nel gioco di chi prepara osparecchia la tavola, di chi pulisce o mette in ordine il soggiorno, di chi lava i piatti: se i membro della famiglia si sentono sempre in credito rispetto agli altri, vuol dire che in quelle relazioni famigliari non c’è virtù sociale; la virtù sociale c’è quando ciascun membro si sente sempre in debito di farlo per primo e senza riserva per gli altri. Possiamo riassumere il quadro delle virtù sociali che ineriscono alla vita famigliare e si sprigionano da essa dicendo che la vita famigliare educa alla generosità verso il prossimo, porta al riconoscimento dell’Altro, stimola le virtù che hanno a che fare con la capacità di perseguire un progetto sensato assieme agli altri, esige un continuo allenamento nelle virtù che servono da mezzi per realizzare gli scopi della vita (come la pazienza, la costanza, il giusto calcolo nell’uso delle risorse, ecc. in quanto richiesti dalle interazioni familiari).

Vivere nella relazione famigliare vuol dire accettare ogni giorno la sfida di scoprire che questi comportamenti sono necessari per essere felici. Possono essere rifiutati, si può cercare di evitarli, o di evadere, ma ciò non dà la stessa felicità. Stare in famiglia vuol dire scoprire che “noi siamo ciò di cui ci prendiamo cura”. Implica scoprire che i nostri comportamenti rivelano le nostre premure fondamentali e che non possiamo sfuggire alle responsabilità che ne derivano.

<p>In famiglia valgono norme che non esistono altrove, perché in famiglia “non si può non rispondere” e “non si può non comunicare”. Qualunque gesto è sempre percepito dagli altri come una comunicazione, sia che colui che compie il gesto ne abbia l’intenzione o meno. Queste sono le norme proprie della famiglia. Esse educano ad uno speciale apprendimento dell’interazione umana. Sono norme vincolanti il cui senso non giace nel reprimere la persona, bensì nell’aprirla all’Altro da sé con un senso di responsabilità e attenzione senza riserve. La differenza cristiana sta nell’aggiungere un ‘qualcosa’ di più a questa base umana. Nella famiglia cristiana la reciprocità diventa fraternità, nel senso che la norma della reciprocità diventa l’amore vissuto come virtù, insieme personale e sociale, che attualizza la compresenza, senza confusioni, tra eros, philía e agape.

4. La virtù come habitus e come riflessività. La filosofia morale classica, da Aristotele in poi, ha sempre considerato la virtù come habitus. Non c’è dubbio che questa visione mantiene la sua validità. Ma i processi di modernizzazione rendono sempre meno probabile una educazione alle virtù concepite come frutto di una semplice ripetizione di atti buoni orientata a consolidare nella persona un atteggiamento stabile verso il bene. Confidare solo su questo modo di intendere la virtù oggi porta a crescenti delusioni e fallimenti. Ciò è dovuto al fatto che l’habitus deve essere sempre più sostenuto da quella attività che chiamiamo riflessività. La riflessività umana è il dialogo o conversazione interiore di cui le persone e le famiglie hanno sempre più necessità per apprendere e vivere le virtù che rendono felice la vita personale e sociale.

< p>Questa qualità si manifesta in modo particolare nelle famiglie dove sono presenti membri deboli o disabili, perché in esse si attivano speciali esigenze di gestione della persona in difficoltà. Queste famiglie sviluppano delle virtù ‘speciali’, che possiamo chiamare di capacitazione (empowerment) e di resilienza (resilience). La virtù della capacitazione consiste nello sviluppare quelle abilità, che la famiglia ha in potenza, di crescere nella consapevolezza di sé e delle proprie capacità di organizzazione e determinazione nell’agire come gruppo di sostegno alle persone in difficoltà. La virtù della resilienza è quella forza spirituale e pratica che permette spesso alla famiglia con disabilità di uscire rafforzata e meglio motivata dalle mille avversità che la contrastano, attraverso un processo di resistenza attiva che trasforma l’evento negativo, teoricamente paralizzante, in una forza propulsiva e propositiva che supera i confini familiari e si riversa sulla società circostante. Da tale virtù derivano i “vantaggi sociali” che la famiglia con disabilità offre alla società, in quanto: l’impegno che la famiglia pone nella riabilitazione e nell’inclusione sociale della persona in difficoltà in tutte le sfere sociali, dalla scuola al lavoro, significa credere nella possibilità di recupero sociale dei più deboli ed emarginati; in particolare, l’assistenza domiciliare integrata per i disabili più gravi mette in moto quelle virtù potenziali che i membri della famiglia hanno di essere soggetti di cura (care) che debbono dare a ciascuno secondo le sue specifiche necessità.

Un altro esempio di famiglie particolarmente “riflessive” che generano benefici per l’intera società è dato dalle famiglie adottive e dalle famiglie affidatarie. Il fatto che la società globalizzata richieda un uso sempre minore dell’habitus e un bisogno sempre maggiore di riflessività, sia personale (nella conversazione interiore) sia sociale (nelle relazioni), rende più evidente il molteplice ruolo di mediazione che la famiglia è chiamata a svolgere nel fare fiorire le virtù personali e sociali.

5. Per concludere. La famiglia rimane la sorgente vitale di quelle società che sono più portatrici di futuro. La ragione di ciò è semplice: è dalla famiglia che proviene il capitale umano, spirituale e sociale primario di una società. Il capitale civile della società viene generato proprio dalle virtù uniche e insostituibili della famiglia. La società globalizzata potrà trovare un futuro di civiltà se e nella misura in cui sarà capace di promuovere una cultura della famiglia che la ripensi come nesso vitale fra la felicità privata e la felicità pubblica. Le ricerche empiriche mostrano che la famiglia diventa sempre di più, e non già sempre di meno, il fattore decisivo per il benessere materiale e spirituale delle persone. È da queste dinamiche che possiamo capire perché e come la famiglia alimenti quelle virtù, personali e sociali, che rendono felice una società. Occorre una nuova cultura dei diritti della famiglia. Affinché le famiglie possano sviluppare i loro compiti, e creare fiducia sociale, occorre che godano dei propri diritti. Tali diritti la riguardano come gruppo e come istituzione sociale, cioè come relazione intersoggettiva e come istituzione del senso. In pratica, ciò significa riconoscere i diritti di cittadinanza della famiglia. La famiglia è un soggetto sociale che ha un proprio complesso di diritti-doveri nella comunità politica e civile in ragione delle mediazioni insostituibili che di fatto esercita.

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ZENIT Staff

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