di Chiara Santomiero
ROMA, domenica, 4 ottobre 2009 (ZENIT.org).- “Escludere la ragione e non ammettere che la ragione”: sono questi i due eccessi da evitare nel confronto tra fede e scienza. Lo ha affermato mons. Gianfranco Ravasi, presidente del Pontificio Consiglio della cultura, prendendo in prestito un pensiero del filosofo Pascal, nel corso del dibattito con il genetista Axel Kahn, presidente dell’Università Paris-Descartes, tenutosi venerdì scorso a Roma, nell’Ambasciata francese presso la Santa Sede, per iniziativa della stessa ambasciata in collaborazione con la Delegazione della Commissione europea presso la Santa Sede.
Due eccessi ai quali sostituire “due sguardi, quello della scienza e quello della fede” necessari, secondo Ravasi, “per una visione completa della realtà che si indaga”. Il rapporto tra scienza e fede deve svolgersi “nella distinzione e nel dialogo”. Se, infatti, ognuna di essa riguarda “ambiti distinti, con percorsi autonomi e differenti metodologie”, tuttavia entrambe “hanno bisogno l’una dell’altra per completarsi nella mente di un uomo che pensa”.
“La tentazione in Occidente – ha affermato Ravasi – è stata quella di sbeffeggiarsi reciprocamente guardando, da un lato, alla teologia come a un prodotto della paleologia culturale destinato ad essere abbandonato con l’avvento della scienza e tentando, dall’altro, di imporre alla scienza dei limiti fondati su affermazioni teologiche”.
“La scienza – ha proseguito Ravasi – si interroga sui fatti, sul ‘come’, mentre la metafisica e la religione sono consacrate all’indagine dei valori ultimi, del ‘perché’”.
Se è vero che teologia e scienza hanno “grammatiche diverse”, tuttavia, secondo Ravasi, “hanno anche coincidenze metodologiche ed espressive”. Il linguaggio scientifico moderno, ad esempio “ricorre molto alla categoria del simbolo, avvicinandosi a quello teologico”.
D’altra parte, “secondo S. Agostino ‘la fede se non è pensata è nulla’. L’adesione di fede non è solo affettiva ma richiede un’elaborazione intellettuale e la teologia si serve di categorie logiche”.
Allo stesso modo se la conoscenza di fede si pone su un canale diverso rispetto a quello della semplice razionalità “non è l’unica di questo tipo sperimentata dall’uomo. Si può pensare all’esperienza dell’innamoramento, in cui travalichiamo ininterrottamente il risultato che la scienza ci offre e vediamo nel volto dell’altro la bellezza al di là dell’oggettività”.
“Si tratta – ha affermato Ravasi – di una conoscenza vera anche se non è la stessa della geometria, della razionalità. Ci sono, quindi, più verità da conquistare e la domanda da porre dovrebbe essere: cos’è la verità?”.
“Perché è bello un quadro? – si è interrogato Kahn -. Non c’è una risposta scientifica a questo interrogativo, ma è legittimo porlo, così come chiedersi cosa sia il bene o il male”. “La filosofia – ha proseguito Khan – è un metodo razionale per cercare risposte che non possono essere affrontate con la scienza e la razionalità”.
Ed è la filosofia, invece della fede, secondo Kahn, ad esigere un dialogo con la scienza; infatti “il dialogo deve avere un vocabolario di concetti comuni: se i concetti della fede e della scienza sono incommensurabili l’uno all’altro, il dialogo non può essere intellettualmente proficuo”.
“L’approccio filosofico-scientifico – ha sottolineato Kahn – presuppone una domanda aperta cui si cerca di trovare una risposta; se l’ipotesi di partenza, dopo la verifica, si rivela falsa, vi si rinuncia”. Un approccio teologico, invece “non può rinunciare alla sua premessa, cioè la Rivelazione”.
Tuttavia “il dialogo tra la fede e la scienza è utile”. “Sull’umanesimo – ha proseguito il genetista francese – le posizioni convergono e siamo più spesso in accordo che in disaccordo”. Nella ricerca sull’embrione, per esempio, ha sostenuto Kahn, “la necessaria protezione della singolarità dell’embrione – che se si sviluppa diventa un essere umano – va accordata con o senza fede. Per questo ritengo che nessun embrione debba essere creato a fine di ricerca ma si possano utilizzare quelli già esistenti, sovranumerari. Sulla condanna dei test genetici per gli immigrati io la penso come la Chiesa francese”.
“Il nostro – ha affermato Kahn – è un mondo fondato su chi crede e chi no, ma insieme bisogna creare il futuro. Occorre dialogare su ciò che l’uno e l’altro considerano la ‘via buona’”.
“L’emergere di un essere umano – ha aggiunto Kahn – è il risultato di due condizioni: possedere un genoma umano e saper guardare all’altro come a un interrogativo, qualcuno attraverso il cui valore di essere umano percepisco il mio stesso valore”.
“La reciprocità – ha concluso Kahn che si è professato ‘agnostico ma non ateo’ – per un materialista al di fuori della Rivelazione, è la condizione del pensiero morale”.
“Quando la Genesi definisce l’immagine di Dio nell’uomo – ha ricordato Ravasi – afferma che ‘maschio e femmina li creò’, cioè l’immagine di Dio è la relazione d’amore, la reciprocità”.
“Per usare ancora una volta un pensiero di Pascal – ha concluso il presidente del Pontificio Consiglio per la cultura – ‘se esiste l’amore, esiste Dio’”.