Introduzione di Salvatore Martinez al Convegno su don Luigi Sturzo

A 150 anni dalla morte del fondatore del Partito popolare italiano

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ROMA, sabato, 3 ottobre 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l’introduzione generale di Salvatore Martinez, Presidente di Rinnovamento nello Spirito Santo e della Fondazione ‘Mons. Francesco Di Vincenzo’, al Convegno internazionale dal titolo “Don Luigi Sturzo, uomo dello Spirito” che si è tenuto il 2 e il 3 ottobre presso il centro congressuale “Le ciminiere” di Catania, e che continuerà il 4 ottobre presso la residenza estiva della famiglia Sturzo a Caltagirone.

* * *

Carissime amiche e amici,

è un atto d’amore la nostra presenza qui.

Il sentimento di gratitudine che mi pervade è intenso, a motivo dell’affetto, dell’incoraggiamento, dell’amicizia che in tanti hanno testimoniato a questa intrapresa che si consumerà tra Catania e Caltagirone.

Il mio pensiero va alle decine e decine di amici e fratelli nella fede, al professionista come al giovane disoccupato, agli esperti sturziani come ai tecnici della Provincia, della Regione, di diversi Ministeri, che con dedizione e sacrificio da mesi preparano questo Convegno e tutte le opere che andremo ad annunziare nel segno di un’eredità sturziana ancora viva e finalmente vivibile nei luoghi storici di Caltagirone.

Non è stato facile e non lo sarà per il prosieguo. Credetemi, un lavoro enorme, sfidante, pieno di insidie e anche di malevoli disturbi, ma che sempre abbiamo avvertito e avvertiamo come uno speciale privilegio, per me un privilegio divino.

Come non ringraziare il Santo Padre per l’affetto che ci ha mostrato. Nel salutarLo, al termine dell’udienza, presentavo il nostro Convegno. Il Papa commentava come “molto importante” il rilancio della figura di don Sturzo e “prezioso” il “metodo” che abbiamo voluto porre a base del Convegno. Poi, apprendendo dell’inaugurazione del Fondo rurale degli Sturzo, grazie al lavoro dei detenuti e degli ex detenuti, e della riapertura del Palazzo Sturzo nel centro storico di Caltagirone, il Papa con viva soddisfazione affermava: “così Sturzo ritorna vivo; è questo che bisogna fare”.

E noi, umilmente, vorrei dire, ci stiamo provando! Sì, nel 50° della morte, noi vogliamo che Don Luigi torni vivo; che tornino a parlare di lui non solo i libri o le pietre degli edifici che abbiamo restaurato, ma la sua eredità spirituale scritta nel cuore delle nuove generazioni e riscritta nella coscienza sociale addormentata del nostro Paese.

Ed è confortante sapere che lo vogliamo in tanti. Siamo qui per dire che è possibile farlo, al di là di ogni steccato culturale, al di là delle appartenze, al di là dell’autonomia della Chiesa e della laicità dello Stato.

E allora, intanto, grazie alla Regione Siciliana e alla Provincia Regionale di Catania. Si sono fatti nostri compagni di cammino, testimoniandomi lealtà e amicizia, disponibili ad accettare il motto di don Luigi Sturzo: “dall’ideale al fatto”, così da sostenere tangibilmente l’organizzazione di questi giorni e le opere che nel segno di don Luigi e di mons. Mario Sturzo qualificheranno il “Polo di Eccellenza di promozione umana e della solidarietà” loro dedicato e meglio presentato nella giornata di domenica a Caltagirone.

Grazie alle tre Istituzioni sturziane che hanno partecipato attivamente alla preparazione del nostro Convegno, al Comitato Scientifico, ai sub comitati tematici, alle nostre segreterie che si sono date cura di predisporre i materiali e l’organizzazione del Convegno.

Grazie ai sovrintendenti e agli allestitori che hanno predisposto le mostre degli itinerari sturziani esposte in questo complesso fieristico, come anche a Caltagirone, nonché agli architetti che hanno recuperato gli arredi e le memorie sturziane che torneranno fruibili.

Uno speciale grazie ai familiari eredi di don Sturzo – a Gaspare, Guglielmo, Emanuela – persone a me assai care, grazie alle quali molte delle cose che andremo a presentare si sono rese possibili, dai protocolli siglati alla creazione della Fondazione “Casa Museo Sturzo”.

Il mio affetto va poi al presidente onorario della Fondazione “Istituto di promozione umana «Mons. Francesco Di Vincenzo», il Vescovo Michele Pennisi, per la passione e l’impegno che continua a contagiarmi e per lo speciale rapporto di collaborazione che tiene in vita con noi.

Nella quarta di copertina del libretto del Convegno trovate tutti i patrocini e le collaborazioni istituzionali che questa iniziativa ha meritato. Credetemi, non si tratta di una parata di stemmi; con ognuna di queste istituzioni il rapporto è stato aperto, proficuo e significato in un aiuto concreto.

Guardando poi ai relatori, ai moderatori – che anticipatamente ringrazio – se dovessi raccontare di ciascuno, dovrei intrattenerVi per qualche ora. È davvero raro trovare tanta disponibilità a condividere un disegno unitario; in molti casi venire da molto lontano per prendere la parola anche solo per qualche minuto. È questo un regalo fatto alla memoria di don Luigi, quasi un debito che in tanti hanno voluto saldare in rappresentanza dei diversi mondi che questo Convegno proverà a rileggere, per ridire – con don Luigi Sturzo – che è possibile avere fiducia nel pensiero cristiano e che nel Vangelo l’uomo può trovare ispirazione, profezia, ideali, sentimenti, vita nuova.

Grazie a mons. Crociata, in cui vediamo rappresentati tutti i Vescovi d’Italia. È nostro desiderio che la tanto osteggiata laicità cristiana, in Italia e in Europa, possa trovare nel Polo di eccellenza dedicato ai fratelli Sturzo, nella terra degli Sturzo, un nuovo incubatore di prassi educative, a partire dalle famiglie disagiate, una nuova piattaforma di laicità vissuta, prepolitica, che segnali la possibilità di far interagire le tante istanze di rinnovamento presenti nel nostro tessuto sociale e ancora inespresse o condizionate da interessi particolari o da mafie locali.

E guardando al tavolo di questa sera, grazie a due speciali figure che testimonieranno cosa significa servire un “popolo”, essere solidali con i bisogni di un popolo, dare voce alle sofferenze di un popolo. Due figure amate, note in tutto il mondo, che hanno accolto il nostro invito ad essere i primi testimoni di questo nostro disegno: il card. Angelo Comastri; il Presidente Lech Walesa.

Onorare insieme il servo di Dio don Luigi Sturzo, significa che è ancora possibile far credito alla speranza, a quella speranza creatrice che irrorò gli ideali di libertà, di carità, di giustizia sociale di don Luigi Sturzo, fare credito a quella “speranza creatrice” che Giovanni Paolo consegnò ai siciliani nei suoi tre viaggi apostolici come risorsa vitale e di rinnovamento morale, sociale e politico.

Dal suo esilio londinese, nel giugno 1938, giudicando le rivoluzioni che la storia coeva aveva drammaticamente registrato (la socialista, la nazi-fascista, la messicana), così si esprimeva nel suo scritto “The preservation of the Faith”: “Per noi, la prima, vera, unica rivoluzione fu quella del cristianesimo. Cristo portò in terra un Vangelo che ripudia qualsiasi pervertimento e oppressione umana, qualsiasi predomino del mondo sullo spirito. La vera rivoluzione comincia con una negazione spirituale del male e una spirituale affermazione del bene. In pratica ciò procede lentamente, ma è una costruzione sicura, un edificio con profonde fondamenta e perciò stabile”.

Ecco perché il Rinnovamento nello Spirito recupera in don Luigi Sturzo uno straordinario testimone di quella “evangelizzazione del sociale” alla quale Benedetto XVI ci sta fortemente richiamando, fondata sulla riaffermazione ragionevole e vitale della nostra fede e della nostra identità cristiana. Rifare il tessuto spirituale della società umana è la nostra missione in un momento storico in cui sembra sempre più evidente lo smarrimento dell’originalità cristiana.

Ben lo comprese don Luigi Sturzo, il quale individuò chiaramente
le ragioni di una crisi, che allora come ora, hanno lo stesso comune denominatore: separare, contrapporre cristianesimo e umanesimo. Scriverà don Sturzo: «L’errore moderno è consistito nel separare e contrapporre Umanesimo e Cristianesimo: dell’Umanesimo si è fatto un’entità divina; della religione cristiana un affare privato, un affare di coscienza o anche una setta, una chiesuola di cui si occupano solo i preti e i bigotti. Bisogna ristabilire l’unione e la sintesi dell’umano e del cristiano; il cristiano è nel mondo secondo i valori religiosi; l’umano deve essere penetrato di Cri­stianesimo (Miscellanea londinese, vol. III).

Non c’è identità cristiana senza una fede umilmente confessata, vitalmente praticata, ma anche permanentemente perseguitata. La fede non è una teoria; è una via, quindi una prassi, meglio un insieme di buone prassi.

La nostra identità cristiana non può essere meticciata; le culture possono, ma non la fede. La fede salda la vita di un credente e la rende impenetrabile ad ogni negoziazione delle verità di Dio. Sono eterne, per questo non negoziabili. Sono divine, per questo non riducibili umanamente. Tra il nostro “essere cristiani in questo mondo” e “l’essere uomini di questo mondo” non potrà mai esserci coincidenza: ed ecco il nostro permanente soffrire, il disagio della coscienza, il prezzo del morire come cifra irriducibile dell’autenticità della fede.

Ricorre quest’anno il 90esimo dall’appello al Paese di don Luigi Sturzo, “a tutti gli uomini liberi e forti”, per la costituzione del Partito Popolare Italiano. L’appello era accompagnato da una programma in dodici punti. Vorrei qui ricordare l’ottavo:

Libertà e indipendenza della Chiesa nella piena esplicitazione del suo Magistero spirituale. Libertà e rispetto della coscienza cristiana considerata come fondamento e presidio della vita della nazione, delle libertà popolari e delle ascendenti conquiste della civiltà nel mondo.

Sono parole che risuonano oggi come una profezia. Una grande tragedia del nostro tempo, che sottende alla cosiddetta “emergenza educativa”, trova un paradigma dominante nella separazione dell’etica dalla metafisica, dell’etica dallo spirituale. Ne consegue il cambiamento della visione del reale, della percezione delle relazioni, con il risultato che si separa il senso morale dal valore dell’esistere, si perde la tensione verso le virtù, si smarrisce la passione per la conversione personale e comunitaria, per il senso del dovere, del sacrificio.

Chi pone rimedio a questi squilibri? Se non ci sveglieremo dal torpore che è sceso sulle nostre responsabilità educative, tornando a vivere in armonia con noi stessi, con le nuove generazioni, con le differenti visioni del mondo, noi renderemo la nostra terra sempre meno riflesso del cielo e l’uomo e la donna sempre meno riflesso del divino.

Ora, guardando all’insegnamento di don Luigi Sturzo, e ai principi fondamentali che ispirarono i suoi scritti e le sue battaglie sociali e politiche, io ritengo che non ci sia pericolo peggiore, per la coscienza sociale di un popolo, che l’insensibilità del popolo stesso di fronte al dilagare dell’immoralità; è paradossale che l’insensibilità al male, l’assuefazione ai mali sociali che denigrano la dignità della persona, si vadano giustificando con l’idea che sia sinonimo di modernità una vita pubblica moralmente inquinata, in cui vera libertà è autonomia da ogni legge morale o da ogni verità, in cui vera libertà è l’affermarsi del bene individuale su ogni bene oggettivo, sul bene comune.

È bene ricordare che don Luigi Sturzo aggettivava “cristiana” la nostra democrazia nel senso che “delimitava”, arginava in nome di principi saldi, eticamente validi, il dilagare dell’immoralità pubblica e privata. Affermava don Luigi: “L’aggettivo “cristiano” non indica l’idea di uno stato confessionale, né di un regime teocratico. Indica invero un principio di moralità, la morale cristiana applicata alla vita pubblica di un Paese” (in L’Italia, 3 novembre 1951).

Per Sturzo, e anche per noi, è la morale cristiana il legame, il collante tra il cielo e la terra; è la morale cristiana che autentica i rapporti di fraternità fra gli uomini, fra i popoli; perché mancano della vera nozione di moralità coloro che la concepiscono solo in modo puramente individuale e individualista, mentre essa ha sempre un carattere pubblico, collettivo, sociale. Senza una morale religiosa, senza un rimando ai valori dello Spirito, la morale razionale rimarrà solo nell’ordine materiale, umano, e presto scadrà nel calcolo, nel vantaggio immediato, nell’egoismo.

La legge morale è anzitutto una legge interiore, è quell’intima convergenza dell’animo umano verso il bene in quanto vero bene e ripugnanza al male in quanto male; le leggi, i precetti religiosi, i costumi sono solo l’espressione esteriore e dipendono dai tempi, dalla natura sociale dell’uomo. Ma l’uomo non è scindibile: l’uomo che vive con gli altri è l’uomo che vive nella sua interiorità. La falsità, la malvagità non esistono nella natura, sono solo un disordinato rapporto tra noi e la natura, un’alterazione, un’inversione di valori, un disequilibrio tra noi e il mondo esterno, fra noi stessi. È impossibile che la falsità sia buona, né che il male sia bello.

È solo dall’adesione interiore, profonda, dell’intimo dell’uomo con il vero, con il bello, con il buono che le nostre azioni, la nostra attività pubblica produrrà beni duraturi e di vero progresso umano.

La sfida, dunque, è dare cittadinanza a livello culturale, educativo, formativo, sociale, politico ad una nuova dimensione interiore, spirituale dell’uomo. Se l’umanesimo cristiano – come Sturzo ampiamente documenta – è la cultura dell’uomo integrale, ci si accorge, a volte drammaticamente, come l’uomo contemporaneo sia “l’uomo ad una dimensione”, secondo la definizione di Marcuse nel 1968, o dalle tante dimensioni frammentate, isolate, ripiegate su se stesse, immagine coerente dello sgretolamento di valori e di modelli.

Nell’uomo di oggi, la mancanza di una dimensione interiore e spirituale, trascurata perché ritenuta anacronistica ed inutile, si fa percepire con nuovi segnali, con fenomeni che vanno considerati attentamente. Urge una cultura dell’interiorità, che sia autentica ricerca della verità interiore, vissuta con lucidità, consapevolezza, e senso critico.

Tale cultura non può rimanere ambito esclusivo di pochi esperti, deve trasformarsi in educazione permanente al valore degli affetti, dei sentimenti, degli ideali, delle memorie, come abbiamo in animo di fare mediante il Polo di Eccellenza Sturzo, in cui “famiglia, chiesa, cultura e lavoro” tornino ad interagire, a completarsi a determinare autentici processi di redenzione umana, di liberazione dal male, di elevazione sociale.

Don Luigi Sturzo vedeva nella superbia la radice di tutte le immoralità. Ed esortava ad un “riarmo morale” nel desiderio di spingere tutti, credenti e non credenti, a combattere tutte quelle passioni che dentro di noi causano odi, lotte, egoismi, violenze. Questo era per Sturzo il trionfo dell’amore.

Urge questo trionfo dell’amore, perché nessuno di noi è tanto alle strette, nel proprio cuore, da non potere assumere l’altro, il prossimo, il collega, il diverso come parte del proprio destino, come un’opportunità di vivere sinceramente l’umanità che ci accomuna, come una risorsa da cogliere e non come un problema da eliminare.

Nessuno di noi è tanto alle strette da non potere dare e ricevere amore!

Affermava don Luigi: “Si può essere di diverso partito, di diverso sentire, anche sostenere le proprie tesi sul terreno politico ed economico, e pure amarsi cristianamente. Perché l’amore è anzitutto giustizia ed equità, è anche eguaglianza, è anche libert
à, è rispetto degli altrui diritti, è esercizio del proprio dovere, è tolleranza, è sacrificio. Tutto ciò è la sintesi della vita sociale, è la forza morale della propria abnegazione, è l’affermazione dell’interesse generale sugli interessi particolari” (Don Luigi Sturzo, Il Cittadino di Brescia, Brescia 30 agosto 1925).

Ecco cosa è e che cosa fa l’amore cristiano quando si accasa nella storia e non viene espulso come un intruso!

C’è, talvolta, tra noi, una sorta di complesso d’inferiorità dinanzi all’ineluttabile male che si accanisce sulla storia, un’inquietudine che ci assale dinanzi al tentativo corrente di privare il cristianesimo di ogni rilievo pubblico. Si vorrebbe una sorta di cristianesimo svilito, diluito, anonimo, una chiesuola in cui riparare per trovare protezione.

Ebbene, come ha scritto un celebre martire cristiano evangelico del Novecento, Dietrich Bonhoeffer, «noi cristiani dobbiamo tornare all’aria aperta; dobbiamo tornare all’aria aperta del confronto spirituale con il mondo» (in “Resistenza e Resa”).

La fede offre indicazioni concrete per la vita umana; proprio attraverso la loro morale i cristiani si differenziavano dagli altri nel mondo antico; proprio in tal modo la loro fede divenne visibile come qualcosa di nuovo, una realtà inconfondibile, attraente, contagiosa.

Per un cristiano, il bene comune nasce dalla capacità di rendere socialmente visibile il contenuto morale della fede. Finché non sapremo rimpatriare questa verità, noi continueremo a permettere la canonizzazione del relativismo etico.

Occorre un sentimento più alto perché i motivi di interesse, di orgoglio e di dominio che disintegrano la vita sociale siano repressi e contenuti, per potere sviluppare quelli di amicizia, di collaborazione e di aiuto reciproco.

Teniamo a mente queste tre parole: amicizia, collaborazione e aiuto reciproco. Erano per don Luigi la “cifra” della nostra laicità cristiana, come egli sosteneva il “metodo cristiano” applicabile in ogni tempo e in ogni situazione.

Ebbene, se guardo a questa sala, a questo Convegno, mi pare di poter sostenere che questo “metodo” ritorni possibile. Qui sono rappresentate la Chiesa, la società civile e lo Stato. Tre baluardi della nostra Democrazia al cui servizio don Luigi si pose sino al martirio.

L’Italia può contare su una società civile ricca di fermenti ideali, culturali, economici, come in nessun altro Paese al mondo: movimenti, associazioni, reti sociali sono una straordinaria forza “prepolitica” capace di riaffermare ideali e valori in modo vitale e tradurli in buone prassi. Non è questa una ricchezza trascurabile, ieri promossa da don Sturzo e oggi ribadita da Benedetto XVI, anche al G8, quando con l’enciclica “Caritas in veritate” afferma: Volere il bene comune e adoperarsi per esso è esigenza di giustizia e di carità. È prendersi cura, da una parte, e avvalersi, dall’altra, di quel complesso di istituzioni che strutturano giuridicamente, civilmente, politicamente, culturalmente il vivere sociale”.

Nel tempo della crisi non è lecito rassegnarsi ad una sorta di “recessione dello spirito”. Non basta cercare di rimuovere le “diseguaglianze sociali” per creare una società più giusta. Nell’era della globalizzazione la sfida è non mortificare le differenze ma esaltarle nella fraternità, riconciliando gli opposti e dando nuova “soggettività sociale” a coloro che fino a ieri erano solo “oggetto” di politiche assistenziali o clientelari.

Bisogna dare slancio a nuove e concrete esperienze di “sussidiarietà orizzontale”, in cui i soggetti sociali radicati e diffusi sul territorio si aggreghino tra loro non per sostituirsi allo Stato, ma per ricucire le maglie di fiducia sociale sfibrate, provando ad occupare quegli spazi di dialogo e di sviluppo in cui lo Stato si mostra inadeguato. Sturzo proponeva il passaggio da una “economia socialista” ad una “economia sociale”, che al paternalismo centralista si sostituisse l’operosa efficienza delle reti intermedie, quei mondi vocati per talenti e missione alla costruzione del bene comune. Il suo proposito è anche il nostro.

Noi ci chiediamo come gli ideali cristiani possano determinare una cultura che ponga nel giusto equilibrio la giustizia, la misericordia, le leggi e i diritti umani, la solidarietà, in definitiva tutto ciò che ispira, fonda e rivela la nozione di “bene comune”.

E ribadiamo con don Luigi: la cifra perché questo avvenga è l’amicizia.

Ciascuno di noi è un testimone del dolore e delle speranze di un’epoca, se ne fa carico; vive su di sé l’angoscia di un mondo che non riesce più a trovare il rapporto tra le parole, i segni, le memorie, gli ideali per i quali vale la pena vivere ed essere uomini.

Serve un supplemento di passione, perché le grandi passioni sociali e civili che animavano la nostra tradizione occidentale stanno tramontando. È errato dire che ci sono negate; siamo noi che le stiamo lasciando tramontare! Ed ecco che l’amore si spegne, si scompone il dinamismo relazionale, i poveri divengono sempre più poveri, i lontani sempre più lontani. E agli uomini è tolta la possibilità stessa di esperimentare l’amore, nelle case, come nelle istituzioni; per le strade come nelle nostre chiese.

Le nostre società stanno perdendo la capacità di essere misericordiose e benevole. Abbiamo il compito di ricondurre la società ai valori morali eterni, cioè il compito di sviluppare nuovamente nel cuore degli uomini l’udito spirituale, ormai quasi spento, per risentire interiormente la voce di Dio che infonde coraggio e speranza.

Il pensiero di don Luigi Sturzo costituisce oggi la migliore via d’uscita alle continue rimozioni storiche che stanno pesantemente segnando la vita civile, sociale e morale insieme del nostro Paese, in special modo del nostro Sud d’Italia. Non è un caso che Sturzo sia stato così a lungo trascurato, archiviato anzitempo dal pensiero dominante in modo ingiustificato.

Noi crediamo che si possa, si debba ripartire da don Luigi Sturzo, da quella nozione a lui cara di “autentico umanesimo integrale”, un umanesimo che sappia coniugare e valorizzare quei “beni spirituali e sociali” ancora ampiamente disponibili alle nostre comunità, per dare dignità e soggettività all’uomo, ad ogni uomo.

Nell’enciclica “Caritas in veritate” il Santo Padre ha ribadito con forza che non sarà vero sviluppo dei popoli senza un autentico umanesimo integrale, senza un’umanità a misura d’uomo. Afferma il Papa: “Senza Dio l’uomo non sa dove andare e non riesce nemmeno a comprendere chi egli sia. L’umanesimo che esclude Dio è un umanesimo disumano. Solo un umanesimo aperto all’Assoluto può guidarci nella promozione e realizzazione di forme di vita sociale e civile — nell’ambito delle strutture, delle istituzioni, della cultura, dell’ethos — salvaguardandoci dal rischio di cadere prigionieri delle mode del momento… Lo sviluppo ha bisogno di cristiani con le braccia alzate verso Dio nel gesto della preghiera, cristiani mossi dalla consapevolezza che l’amore pieno di verità, caritas in veritate, da cui procede” (nn.78-79).

Nel tempo della crisi non è in crisi la responsabilità per il futuro dell’uomo. Il Papa è chirao: non ci saranno sviluppo plenario e bene comune e universale senza l’elevazione spirituale dell’uomo, senza un impegno per il rinnovamento dei cuori, delle menti, delle volontà, dell’agire umano nella direzione di una nuova fraternità.

Istituzioni, strutture sociali, culture hanno bisogno di un nuovo ethós, di un’etica delle virtù che segni una profonda stagione di conversione degli stili di vita sociali. Noi non vogliamo sfuggire a questa responsabilità, ecco perché siamo qui e perché da qui proseguiremo il no
stro impegno.

Alla vigilia della sua morte, a tre mesi dal compimento degli 88 anni, don Luigi componeva una “Appello ai Siciliani”, una sorta di testamento spirituale di un siciliano ai siciliani. Vorrei concludere con le stesse parole che don Luigi usa alla fine di questo ultimo Appello ai Siciliani: “È vero sono un ottimista impenitente, anche di fronte ad una situazione oscura… Ma voglio andare all’altro mondo, quando Dio vorrà, con il mio ottimismo. Che potrei dire di più?”.

Voglia il Cielo che questo ottimismo della speranza contagi anche noi e continui ad ispirare i nostri lavori.

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ZENIT Staff

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