ROMA, mercoledì, 9 settembre 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l’omelia pronunciata questo mercoledì dal Cardinale Segretario di Stato Tarcisio Bertone, in occasione della Messa da lui presieduta nella Basilica di San Pietro, ad inaugurazione del XXXVI Convegno dei Consiglieri Ecclesiastici sul tema “Solidarietà: le ali della speranza – Etica ed economia oggi” che si chiuderà l’11 settembre.
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Cari fratelli e sorelle,
vi ringrazio per avermi invitato a pregare insieme a voi, prima dell’incontro che avrete con il Santo Padre Benedetto XVI, e volentieri celebro per voi e con voi il Sacrificio eucaristico. Tra poco, all’offertorio, offriremo il pane e il vivo, “frutto della terra e del lavoro dell’uomo”. Quest’oggi avvertiamo la verità di tali parole più intensamente, poiché la nostra assemblea liturgica è formata in gran parte da voi, cari Consiglieri ecclesiastici dei Coltivatori Diretti, convenuti a Roma per il vostro Convegno Nazionale dal titolo: “Solidarietà: le ali della speranza – etica ed economia oggi”. A ciascuno rivolgo il mio cordiale saluto, ad iniziare da Padre Renato Gaglianone, Consigliere ecclesiastico nazionale, ed esprimo a tutti viva gratitudine per il servizio che rendete alla Chiesa con la quotidiana azione pastorale nel mondo rurale.
Il vostro è un servizio apostolico importante e prezioso, tenendo conto anche delle molteplici problematiche e difficoltà che caratterizzano, in questo nostro tempo, l’attività agricola non solo in Italia, a seguito, a esempio, del vasto fenomeno dell’industrializzazione urbana e dell’abbandono delle campagne. Se è vero che con il progresso scientifico, industriale e tecnologico molte cose vanno cambiando, resta però indispensabile, per la sopravvivenza umana, coltivare la terra, al fine di trarre da essa un sufficiente e sano nutrimento per tutti gli uomini. In tale contesto, acquista significativo rilievo il tema sul quale volete riflettere: la solidarietà, la speranza ed il rapporto tra etica ed economia oggi. E’ un vasto campo di riflessione che tanto sta a cuore alla Chiesa e al Papa, e al riguardo non sono mancati, negli ultimi decenni, diversi e precisi riferimenti del magistero pontificio. Pensiamo alla Rerum novarum, che pose in modo nuovo, alla fine dell’800 e all’alba del 900, la questione del lavoro, seguita poi, lungo il secolo XX, da altre Encicliche sociali dei Papi, i quali non hanno mai trascurato la questione del lavoro, in particolare quello agricolo.
Cari Consiglieri ecclesiastici diocesani della Coldiretti, sostenete ed incoraggiate coloro che in vario modo sono occupati nel settore agricolo-alimentare, aiutandoli a fare della loro attività un’autentica missione al servizio della società e della Chiesa. E per questo preoccupatevi che la promozione economica del mondo rurale sia sempre ispirata ai valori del Vangelo, come emergono nel costante insegnamento sociale della Chiesa.
Cerchiamo di trarre ora dalla parola di Dio, che è stata proclamata, qualche utile spunto di riflessione. Soffermiamoci dapprima sulla pagina evangelica. San Luca ci presenta Gesù che, alzati gli occhi verso i suoi discepoli (gesto che indica l’importanza di quanto si appresta a dire), proclama il noto discorso delle Beatitudini. Nella versione lucana notiamo una differenza rispetto al racconto di san Matteo. Qui – come abbiamo ascoltato – Gesù proclama per quattro volte “Beati” e poi aggiungerà alcune volte “Guai”. Beati sono i poveri, perché proprio di essi è il regno di Dio, beato è chi ora ha fame, perché sarà saziato, beato è chi ora piange, perché riderà, beato chi è odiato e messo al bando, insultato e respinto a causa del Figlio dell’uomo. “Rallegratevi – dice Gesù – ed esultate, perché ecco la vostra ricompensa è grande nei cieli”. Segue poi l’ammonimento: “Guai a voi che ora siete sazi… guai a voi che ora ridete… guai a voi quando tutti diranno bene di voi…”.
Potremmo dire che Gesù fotografa la realtà quotidiana: spesso chi cerca di seguire il Vangelo non ha vita facile; chi si adatta o sceglie lo spirito del mondo, pare invece godere di un benessere e di un successo che si rivelano però ben presto apparenti e fallaci. Ma egli ci mette in guardia e ci invita a saper leggere le vicende di questa terra in una prospettiva ben più alta, la prospettiva dell’eternità. Presenta una contrapposizione tra “ora” e il domani: chi ha fame “ora”, sarà domani saziato. Gesù parla del futuro, ma il futuro a cui fa riferimento è già presente nell’oggi della nostra esistenza. Se il nostro cuore si apre a Lui e nella fede lo accogliamo con amore, siamo con Lui e si realizza già la beatitudine che egli proclama.
La via che Egli indica è l’opposto di quella che il mondo ci propone. Non spende molte parole: ne bastano quattro. Quattro beatitudini, ben delineate e chiare. Annuncia ai poveri, agli affamati, agli abbandonati e agli assetati di giustizia che Dio ha scelto di stare accanto a loro. La sua vicinanza e quella dei suoi discepoli sarà per loro il segno di una gioia grande. E’ per questo che sono “beati”. La beatitudine, la felicità, non scaturisce certo dalle tristi e precarie condizioni di vita, che al contrario dobbiamo cercare sempre di migliore. Non è bello, infatti, né essere poveri, né essere afflitti, né essere affamati, né essere insultati. La loro beatitudine sta nel fatto che Dio ha scelto di stare con loro, essi accolgono il suo amore e ne fanno la ragione della propria vita. La nostra beatitudine, pur tra prove e fatiche, è dunque Dio nella nostra esistenza. Tocca a noi credenti e specialmente a noi, cari sacerdoti, far sentire l’amore di Dio, unica vera ricchezza che non si acquista nei mercati del mondo, ma che Dio dona gratuitamente a chi si affida a Lui.
Accogliamo pertanto, cari fratelli e sorelle, l’invito che l’apostolo Paolo rivolgeva ai Colossesi e che abbiamo ascoltato nella prima Lettura, l’invito a “cercare le cose di lassù dove si trova Cristo assiso alla destra di Dio” (cfr Col 3,1). In nessuna attività umana, come in quella agricola, l’uomo avverte quanto sia importante essere “collaboratori” di Dio. La terra – ha scritto il Santo Padre nella sua ultima Lettera enciclica Caritas in veritate – è dono prezioso del Creatore che ne ha disegnato gli ordinamenti intrinseci, dandoci così gli orientamenti doverosi per “custodirla e coltivarla” (Gn 2,15), come amministratori della sua creazione. Ed è a partire da questa consapevolezza, che la Chiesa considera le questioni connesse con l’ambiente e la sua salvaguardia intimamente legate anche con il tema dello sviluppo umano integrale. Il Papa richiama allora “l’urgente necessità morale di una rinnovata solidarietà” non solo tra i Paesi, ma tra i singoli uomini, perché l’ambiente naturale è dato da Dio per tutti, e il suo uso comporta una nostra personale responsabilità verso l’intera umanità, in particolare verso i poveri e le generazioni future (cfr. 48,49,51). La Chiesa non soltanto promuove la difesa della terra, dell’acqua e dell’aria, che il Creatore ha donato a tutti, ma si adopera soprattutto per proteggere l’uomo contro la
distruzione di se stesso. In effetti – aggiunge il Papa – “Quando l’ecologia umana è rispettata dentro la società, anche l’ecologia ambientale ne trae beneficio” (ibid.). “Se viene meno il rapporto della creatura umana con il Creatore la materia è ridotta a possesso egoistico, l’uomo ne diventa l’ultima istanza e lo scopo dell’esistenza si riduce ad essere una affannata corsa a possedere il più possibile” (Catechesi di Benedetto XVI del 26 agosto scorso).
Auguro di cuore che il vostro XXXVI Convegno Nazionale possa essere un’occasione propizia per sottolineare l’importanza della presenza di Dio nell’esistenza e nell’attività dell’uomo. In proposito, vorrei richiamare un altro passo della Caritas in veritate, dove Benedetto XVI scrive: “Senza Dio l’uomo non sa dove andare e non riesce nemmeno a comprendere chi egli sia”. E prosegue:“Dio ci dà la forza di lottare e di soffrire per amore del bene comune, perché Egli è il nostro tutto, la nostra speranza più grande”. Bella e suggestiva è poi l’immagine che evoca il Sommo Pontefice laddove osserva: “Lo sviluppo ha bisogno di cristiani con le braccia alzate verso Dio nel gesto della preghiera, cristiani mossi dalla consapevolezza che l’amore pieno di verità, caritas in veritate, da cui procede l’autentico sviluppo, non è da noi prodotto ma ci viene donato”. Si comprende pertanto perché il Papa insiste nel ribadire che “Lo sviluppo implica attenzione alla vita spirituale, seria considerazione delle esperienze di fiducia in Dio, di fraternità spirituale in Cristo, di affidamento alla Provvidenza e alla Misericordia divine, di amore e di perdono, di rinuncia a se stessi, di accoglienza del prossimo, di giustizia e di pace” (cfr ibid. 78,79).
Mi piace chiudere con queste parole del Pontefice Beato Giovanni XXIII, figlio di contadini, da lui rivolte ai partecipanti alla XI Conferenza della FAO: “Il mondo di oggi aspira a due grandi beni, che sono la pace e il pane”. Il legame tra pace e pane fa pensare all’indispensabile ricerca della giustizia, della solidarietà che deve sempre animarci e, in questo ambito, al contributo che la Coldiretti e il mondo agricolo possono offrire alla costruzione di un mondo dove la pace sia frutto di reale condivisione dei beni della terra fra tutti i suoi abitanti. Per questo occorre il ricorso all’aiuto di Dio con la preghiera e l’impegno concreto di ognuno di noi.
Per chi lavora nel mondo agricolo, questo impegno legato alla preghiera è fortemente evocato dal pane e dal vino che offriremo tra poco sull’altare e che diventeranno il Corpo e il Sangue di Cristo. Invochiamo per il vostro servizio pastorale la celeste intercessione di san Pietro Claver, che oggi ricordiamo, il quale trascorse lunghi anni in America Latina e in Africa al fianco di schiavi che lavoravano nelle campagne. Invochiamo su di voi e sull’intero mondo agricolo la materna protezione della Vergine Maria, Madre sollecita dell’intera umanità. Amen!