La risposta alla tragedia della Shoah

Intervento del Rabbino Israel Meir Lau

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CRACOVIA, martedì, 8 settembre 2009 (ZENIT.org).- Pubblichiamo di seguito l’intervento pronunciato questo martedì da Israel Meir Lau, ex Rabbino Capo askenazita di Israele e sopravvissuto del campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau, in occasione del Meeting Internazionale “Religioni e Culture in Dialogo” svoltosi a Cracovia (Polonia).

* * *

Nel settembre del ’93 questa settimana 16 anni fa ebbi una lunga conversazione con il Papa Giovanni Paolo II a Castelgandolfo in Italia. All’inizio del nostro lungo incontro mi disse: “Mi ricordo di suo nonno, nella città di Cracovia, dove sono stato vescovo, durante la guerra mondiale.Ricordo suo nonno il Rabbino Frankel che andava verso la sinagoga per lo Shabbath il sabato, circondato da moltissimi bambini”.

Gli chiesi: “Quanti nipoti ha?”.

Lui rispose: “47”.

Ed il Papa mi chiese allora: “Quanti sono sopravvissuti all’Olocausto?”.

Io risposi: “Solo cinque”.

42, compreso mio fratello, che aveva 13 anni, e tutti i miei cugini, erano morti durante l’Olocausto. Il Papa alzò gli occhi al cielo e disse: “Ho visitato già un centinaio di stati. Ovunque io vada lo ripeto sempre con forza. Noi, tutta l’umanità’ abbiamo l’obbligo e l’impegno di garantire un futuro ed una continuità ai nostri fratelli maggiori, gli Ebrei”.

Noi oggi siamo qui riuniti grazie all’invito della Comunità di Sant’Egidio, che ci ha condotti a visitare insieme il più grande cimitero dell’umanità’, della storia dell’umanità’, nel luogo dove c’era la fabbrica della morte.

Potete vedere la foto di Mengele, con un dito decideva se a destra o a sinistra, la vita o la morte.

Ecco, era la fabbrica della morte.

E il mondo era diviso in 3 parti.

Una parte dove stavano gli assassini, i Nazisti e la resistenza. Dall’altra parte con le vittime. La terza parte era costituita dal mondo che restò in silenzio. E non disse una parola.

Ecco perché oggi siamo qui.

Per promettere a noi stessi, ai nostri figli ed alle generazioni future, come avete detto prima, NEVER AGAIN, mai più.

Noi non dimenticheremo mai, non possiamo dimenticare, e faremo ogni sforzo affinché un tale orrore non si ripeta. In nessuna parte del mondo, contro nessuna nazione al mondo.

Secondo i rapporti dell’ONU che io cito e ripeto in continuazione ogni giorno, di fame e solo di fame, non di malattie, non di incidenti automobilistici, non di Aids o di cancro, ma solo a causa della fame, 18.000 bambini muoiono ogni giorno. Da quando siamo arrivati ad Auschwitz oggi mille bambini, neonati, bambini innocenti sono già morti di fame, principalmente in Asia ed in Africa. Ma non si vede nemmeno sulle prime pagine dei giornali, o nei titoli dei telegiornali. Su nessun canale. 18.000 bambini al giorno!

Sant’Egidio si prende cura della salute dei poveri, dei bisognosi, delle vittime del passato e per evitare vittime innocenti nel futuro.

Vedete qui oggi quante religioni sono rappresentate. Io faccio appello anche ai cugini del mondo islamico. Se possiamo camminare qui oggi spala a spalla e deporre i fiori, non possiamo anche sederci insieme ed avere un buon dialogo per risolvere tutti i conflitti e tutti i problemi e parlarci, l’uno con l’altro, come amici, come cugini, come vicini? Sì possiamo.

Io avevo un amico, un sopravvissuto ad Auschwitz, un famoso scrittore che scrisse diversi libri sulla sua terribile esperienza.

Mi diceva sempre: “Non scrivo mai con l’inchiostro, ma con il mio sangue”.

Venne chiamato come testimone al processo di Adolf Eichman. Dopo pochi minuti dall’inizio della sua testimonianza svenne e cadde a terra. Non poteva sopportare di testimoniare.

Prima vide Eichman e disse: “Io vengo da un paese in cui i bambini non sono mai nati e i fiori non crescevano più. Era un pianeta diverso, un pianeta chiamato Auschwitz. Vedo le loro facce”. Disse e poi svenne.

Che la memoria del mio amico sia benedetta. Ciò non avvenne in un altro pianeta. Era il nostro pianeta. Sentivano la musica, leggevano libri, studiavano filosofia, morale, etica ed erano eletti in un modo molto democratico. Ma loro lo fecero. L’omicidio di 50 milioni di persone, compresi 6 milioni di Ebrei. Nessuno li aveva minacciati o messi in pericolo.

Noi non avevamo armi. Non avevamo un paese, né uno Stato. Né missili, né razzi. Non avevamo una pistola in mano. Su questo pianeta!

Dobbiamo essere sicuri che su questo pianeta non riappaia più un orrore simile.

Finirò il mio discorso così come ho iniziato, con la memoria di Giovanni Paolo II.

Mi chiese: “Rabbino Capo, lei ha dei figli?”.

Risposi di sì.

“Vivono in Israele?”, mi chiese.

“Sì, tutti, anche i miei nipoti vivono tutti in Israele”.

Ed egli mi disse: ”Questa era la promessa di cui parlavo sul futuro e la continuità degli Ebrei”.

Quando nel ’95 mi trovavo nel campo di Buchenwald nella città di Weimar in Germania, dove venni liberato quando avevo 8 anni, sul muro della finestra della stanza delle torture vidi una parola “necumene”, in Yiddish fai la vendetta. Era l’ultima parola di un uomo torturato in quella stanza, una vittima di Buchenwald. Vendetta. Quale vendetta possiamo fare noi? Sono un credente, credo nel Signore onnipotente, non solo perché sono un rabbino o un ebreo. Ma perché sono un essere umano. Io credo sia accaduto dal Cielo.

Due o tre ore fa qui a Cracovia, ero arrivato stanotte per partecipare all’incontro, ho ricevuto una telefonata da mia nipote. “Nonno, mezz’ora fa ti ho dato alla luce un altro nipote”. E’ nato oggi alle 7 in Israele. Questa è la mia vendetta. Questa è la mia riposta. Questa è la mia soluzione. Vivi e lascia vivere. Vivete insieme, in amicizia, in amore ed in pace. Grazie.

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ZENIT Staff

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