ROMA, martedì, 8 settembre 2009 (ZENIT.org).- Don Mario Predieri ha lasciato il nostro mondo lunedì mattina, 31 agosto, a Fontanaluccia, nella Casa della Carità, dove ha vissuto gli ultimi anni della sua vita terrena, dopo il rientro dalla missione, curato e “venerato” dalle Suore come il “Dadatoa”, lo zio.
Era questo il nome con cui era conosciuto un po’ ovunque in Madagascar, per avere costruito tutte le prime 7 Case della Carità e ricostruito la grande chiesa parrocchiale di Ampasimanjeva, l’ex cattedrale dei pipistrelli, come l’aveva chiamata mons. Prandi per la loro presenza intensa, sgradevole (soprattutto per gli odori e il resto). Don Predieri, allora laico, la fece diventare la cattedrale dei cristiani.
Nato il 12 giugno 1918 a S. Giovanni Querciola, secondo di sei fratelli e una sorella (Suor Elisabetta delle Case della Carità, recentemente scomparsa), Mario crebbe in una famiglia credente e praticante sotto la guida del parroco don Giovanni Reverberi, Servo della Chiesa.
Certamente il venerato parroco contribuì anche alla scelta di consacrazione nell’Istituto dei Servi della Chiesa, fatta dal giovane Predieri dopo la guerra, che lo vide prigioniero, deportato in Russia, “miracolato” a più riprese, scampato alla morte in circostanze assolutamente particolari, secondo i suoi stessi racconti.
Dopo vari anni di servizio nella Cooperativa agricola parrocchiale e nella locale Casa della Carità, da lui costruita, sempre sotto la guida e l’ispirazione di don Reverberi, partì per la missione in Madagascar nel novembre del ’67, membro della numerosa équipe diocesana.
Là si distinse soprattutto per la disponibilità ai più svariati servizi pratici e per la capacità di adattarsi alle più strane situazioni, senza poter contare, soprattutto all’inizio, sulla conoscenza della lingua.
La sua esperienza di prigioniero dei tedeschi in Russia l’aveva temprato a tutto… Sapeva fare di tutto e non diceva di no a nessuno.
In missione, pur essendo Servo della Chiesa, praticamente, ha vissuto sempre nelle varie Case della Carità, costruite sia in Madagascar che in India. Così, passando mesi o anni di casa in casa, sempre con il rosario in mano, ha conosciuto Vescovi, missionari, operai, ospiti… Per tutti era appunto il “Dadatoa”!
Il Governo malagasy gli ha conferito la medaglia di Cavaliere del Lavoro. Don Mario la metteva al petto quando entrava in aeroporto, per passare spedito e ossequiato ai controlli di dogana.
Il Vescovo Baroni, verso la fine degli anni ’80, gli propose di ordinarlo prete. Fu una grazia di don Reverberi, morto nel ’79? Il Dadatoa accettò volentieri, pur non nascondendosi alcune difficoltà. “Continuerai a costruire Case della Carità – lo rassicurò Baroni – ma lo farai da prete”.
Fu così che, rientrato in Italia e “iniziato” alla teologia e alla pastorale da don Bruno Marini, fu ordinato sacerdote nella nativa S. Giovanni Querciola il 26 luglio 1991. Non fu cosa facile per lui fare il prete, né in Italia né in Madagascar, ma fece del suo meglio, da vero Servo della Chiesa, prestando servizio un po’ ovunque, in Madagascar e in Italia, dove rientrò definitivamente nel 2003.
Un giorno prese la tangenziale contro mano, mettendo a rischio la propria vita e quella altrui… Suo malgrado, capì che quello era un campanello d’allarme importante: il mondo in Italia correva diversamente da come lui stesso aveva corso, per decenni, spesso in modo ardito, in missione!
Ritirandosi a Fontanaluccia, ha potuto vivere nel cuore della missione e del servizio, pregando, adorando, ascoltando, sognando, ridiventando bambino, aspettando la “patente” o il “visto” necessari per il Regno dei Cieli. Là non ci sono sensi unici, né si va contromano: potrà così circolare liberamente in tutte le direzioni, ovunque scorgerà amici conosciuti in giro per il mondo…
Con tutti e tutte potrà fermarsi, discutere, raccontare le sue peripezie, fondendo mirabilmente italiano, francese, tedesco, inglese, russo, malagasy, indi, polacco e dialetto reggiano. Con calma, senza scomporsi
Unico interrogativo: al mattino, potrà fare colazione con cipolla e peperoni crudi? Comunque, nessun problema: “quando c’è Dio, il resto non conta!”. Non dicevi così, Dadatoa?!
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*Don Emanuele Benatti è Direttore del Centro missionario diocesano di Reggio Emilia