di padre Angelo del Favero*
ROMA, venerdì, 4 settembre 2009 (ZENIT.org).-“Dite agli smarriti di cuore: ‘Coraggio, non temete! Ecco il vostro Dio, giunge la vendetta, la ricompensa divina. Egli viene a salvarvi’. Allora si apriranno gli occhi dei ciechi e si schiuderanno gli orecchi dei sordi. Allora lo zoppo salterà come un cervo, griderà di gioia la lingua del muto, perché scaturiranno acque nel deserto, scorreranno torrenti nella steppa. La terra bruciata diventerà una palude, il suolo riarso sorgenti d’acqua” (Is 35,4-7a).
“Di nuovo, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidone, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decapoli. Gli portarono un sordomuto e lo pregarono di imporgli la mano. Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro e disse: ‘Effatà!’, cioè: ‘Apriti!’. E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente. E comandò loro di non dirlo a nessuno. Ma più egli lo proibiva, più essi lo proclamavano e, pieni di stupore, dicevano: ‘Ha fatto bene ogni cosa: fa udire i sordi e fa parlare i muti!’” (Mc 7,31-37).
Alcuni anni fa ho assistito in televisione a questa scena: la telecamera riprendeva in primo piano il volto di Mary, una giovane donna totalmente sorda dalla nascita, alla quale era stata applicata chirurgicamente una protesi in grado di restituirle perfettamente l’udito. Si trattava adesso semplicemente di premere un interruttore e la musica di una sinfonia, come un torrente nella steppa, avrebbe cominciato a scorrere dai suoi timpani al cervello, e per la prima volta in vita sua Mary avrebbe fatto l’esperienza del suono, dell’armonia, della Bellezza tradotta in musica. Dopo pochi secondi dallo “start”, il suo viso si trasfigurò straordinariamente: sopraffatta da un’ondata di rossore e di gioia travolgente, Mary cominciò incontenibilmente a ridere e a piangere, mentre due rivoli d’acqua scendevano dai suoi occhi. Fu come assistere alla risurrezione di un cadavere.
Questo episodio si presta bene a comprendere il messaggio delle Letture di oggi, convergente sull’incontro di Gesù con un uomo sordomuto. Sappiamo che la sordità fisica è una grave e diffusa infermità che interpella la pazienza, la delicatezza, la sensibilità di chi si fa prossimo di queste persone, generalmente ma non sempre anziane.
Quest’aspetto di cura sollecita e fine non è, tuttavia, il messaggio principale del Vangelo odierno circa la sordità. Perché, infatti, Marco si preoccupa di scrivere la parola originale aramaica pronunciata da Gesù: “effatà”? E’ questa una di quelle parole che sono state “registrate” dalla bocca stessa del Signore, vere “reliquie” che ci restano di Lui, le cosidette “ipsissima verba Christi”. Marco la usa per farci comprendere qual è il profondo desiderio di Gesù: guarirci da una sordità ben più grave di quella fisica, una sordità a “prognosi infausta” per l’eternità. E’ la sordità/indifferenza spirituale che riguarda il rapporto con Dio e la conoscenza della Verità, cioè quella apertura alla fede in Cristo che dipende dall’ascolto della sua Parola. Il sospiro profondo emesso da Gesù guardando il cielo, rimanda allo Spirito creatore della vita, energia sovrumana e celeste che solo il Figlio di Dio possiede e comunica alla mente e al cuore dell’uomo per guarirlo dalla cecità e dalla sordità interiore, permettendogli così di dialogare con Dio ed obbedire, come figlio, alla Parola di verità del Vangelo.
Potrei tradurre l’“Effatà!” di Gesù con: “Si spalanchi a me la porta del tuo cuore, a me che sono la Via, la Verità e la Vita!”. E’ questa la parola divina che guarisce l’uomo dalla sordità del cuore, cioè della sua coscienza davanti a Dio: sordità “organica” presente sin dal concepimento a causa del peccato originale, guarita istantaneamente dall’acqua del Battesimo, ma più o meno riacquisita come sordità “funzionale” per effetto del peccato volontario di egoismo ed orgoglio.
Al riguardo mi si consenta un ricordo professionale: i cardiologi sanno che esiste una “sindrome surdo–cardiaca” congenita, caratterizzata da sordità acustica ed anomalie della conduzione elettrica del cuore che comportano il rischio di gravi aritmie e di morte improvvisa. Così, anche la coscienza può essere affetta da quell’incapacità di aprirsi all’ascolto della verità (sordità morale e spirituale), le cui conseguenze consistono in anomalie e distorsioni del giudizio e del comportamento, con gravi e potenzialmente mortali conseguenze in ordine alla vita della persona e alla vita eterna.
Per questo suo profondo significato la parola “effatà” è entrata nel rituale del Battesimo, Sacramento che guarisce dalla sordità congenita del peccato originale ed apre per sempre l’udito interiore all’ascolto della parola di Dio, alla fede, alla preghiera, <b>alla rivelazione della verità della vita.
Ascoltiamo le parole di Benedetto XVI durante l’omelia di un Battesimo nella Cappella Sistina: “Nel Battesimo ciascun bambino viene inserito in una compagnia di amici che non lo abbandonerà mai nella vita e nella morte, perché questa compagnia di amici è la famiglia di Dio. Questa compagnia è eterna perché è comunione con Colui che ha vinto la morte, che ha in mano le chiavi della vita. Essere nella compagnia, nella famiglia di Dio, significa essere in comunione con Cristo, che è vita e da’ amore eterno oltre la morte. E se possiamo dire che amore e verità sono fonte di vita, sono la vita – e una vita senza amore non è vita – possiamo dire che questa compagnia con Colui che è vita realmente, con Colui che è il sacramento della vita, risponderà alla nostra aspettativa, alla nostra speranza. Sì, il Battesimo inserisce nella comunione con Cristo e così da’ vita, la vita.” (8 gennaio 2006).
E’ singolare qui l’insistente ripetizione della parola “vita”, quasi ad indicare che la sordità del peccato riguarda e compromette anzitutto la coscienza circa la verità della vita. E’ quella verità sulla vita e della vita di ogni essere umano, che Gesù ha riassunto nelle parole “Sono venuto perché abbiano la vita e l’abbiano in abbondanza” (Gv10,10): vita nuova ed eterna che consiste nella comunione con Dio, nella quale “acquistano pieno significato tutti gli aspetti e i momenti della vita dell’uomo” (Giovanni Paolo II, Enciclica “Evangelium vitae”, n° 1).
Ora, non c’è dubbio che il momento più importante e fondamentale della vita dell’uomo è il primo, quando Dio ne accende l’esistenza mortale nell’istante della fecondazione. Il dono della vita umana, infatti, è fatto mediante il concepimento e nel concepimento, momento in cui essa è donata totalmente ed interamente, come totale e intero è all’altare il “sì” degli sposi, che davanti a sé hanno solo lo sviluppo storico concreto di tale sì incondizionato. A questa totalità completa, il Battesimo aggiunge il “di più” della vita intrinseca di Dio, la quale rende quella umana partecipe della sua stessa natura divina (2 Pt 1,4), scopo per cui ogni uomo riceve in dono la vita. Lo fa intendere ancora Benedetto XVI nel prosieguo della citata omelia: “Il Battesimo è dono di vita. E’ un “sì” alla sfida di vivere veramente la vita, dicendo il “no” all’attacco della morte che si presenta con la maschera della vita< i>; ed è il “sì” al grande dono della vera vita, che si è fatta presente nel volto di Cristo, il quale si dona a noi nel Battesimo e poi nell’Eucaristia”.
Le parole che ho sottolineato sopra mi sembrano un efficace e veritiero riferimento alla fecondazione artificiale, del tutto simili a quelle, più recenti, che si trovano nell’Istruzione “Dignitas personae” del 12/12/2008: “Le tecniche di fecondazione in vitro in realtà vengono accettate, perché si presuppone che l’embrione non meriti un pieno rispetto, per il fatto che entra in concorrenza con un desiderio da soddisfare. Questa triste realtà, spesso taciuta, è del tutto deprecabile, in quanto “le varie tecniche di riproduzione artificiale, che sembrerebbero porsi a servizio della vita e che sono praticate non poche volte con questa intenzione, in realtà aprono la porta a nuovi attentati contro la vita” (n°15). Quest’ultima citazione è presa dall’Evangelium vitae, n° 14.
Di questa verità fu profeta inascoltato Jerome Lejeune, scienziato genetista di fama mondiale, scopritore della causa congenita della Sindrome di Down e primo presidente della Pontificia Accademia per la Vita. Lejeune pagò con la mancata assegnazione del Nobel per la medicina la sua incondizionata difesa della verità scientifica della vita umana: dimostrazione lampante di quel peccato diabolico di sordità e cecità che soprattutto ai sapienti e agli intelligenti di questo mondo impedisce di spalancare la mente e il cuore alla verità della vita, e della vita tutta intera a partire dal concepimento.
Ascoltiamo, in conclusione, questa sua pubblica testimonianza, data il 29 agosto 1985 sul tema “Il progresso cieco”: “La vita ha una storia lunghissima, ma ogni individuo ha un inizio ben preciso: il momento della fecondazione. La fecondazione extracorporea dimostra che l’essere umano ha inizio nel momento della fecondazione. Quest’affermazione non è né un’ipotesi formulata da teorici, né un’opinione formulata da teologi, ma una constatazione sperimentale”.
Alla domanda: “Perché la fecondazione extracorporea resta così ricca di fascino?”, Lejeune rispose: “Fabbricare artificialmente degli uomini, modellarli a nostro piacimento, non è forse la tentazione dell’orgoglio assoluto? Poter infine proclamare che l’uomo è fatto a nostra immagine e non a quella di Dio! Le più abili discussioni non potranno farci niente. I Comitati etici erutteranno solennemente i loro oracoli contradditori senza esorcizzare la preoccupazione: la tecnologia è cumulativa, ma la saggezza no. A guida dei medici, resta solo la morale. Essa è chiarissima nella verità e si può riassumere semplicemente nel discorso che giudica tutto: ‘Quello che avete fatto ai più piccoli fra i miei fratelli, l’avete fatto a me’”.
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* Padre Angelo del Favero, cardiologo, nel 1978 ha co-fondato uno dei primi Centri di Aiuto alla Vita nei pressi del Duomo di Trento. E’ diventato carmelitano nel 1987. E’ stato ordinato sacerdote nel 1991 ed è stato Consigliere spirituale nel santuario di Tombetta, vicino a Verona. Attualmente si dedica alla spiritualità della vita nel convento Carmelitano di Bolzano, presso la parrocchia Madonna del Carmine.