di Nieves San Martín
PESHAWAR, lunedì, 20 luglio 2009 (ZENIT.org).- Alcuni gruppi cristiani hanno denunciato una disparità di trattamento nei confronti delle vittime della guerra tra Esercito e gruppi talebani.
Solo le famiglie musulmane, registrate presso i centri governativi della valle di Swat e di Makaland, ricevono gli aiuti del Governo per la ricostruzione. I cristiani sono accolti da parenti e amici perché sono stati espulsi dai campi di rifugiati e privati degli aiuti.
Lo ha denunciato il “Pakistan Christian Post”, che chiede parità di trattamento per i tre milioni di sfollati, senza discriminazioni di tipo confessionale.
Il 13 luglio scorso, Islamabad ha avviato le misure per il ritorno degli sfollati. Varie zone del nord-est del Paese, vicino alla frontiera con l'Afghanistan, sono già sicure e i profughi possono tornare alle proprie abitazioni.
Per favorire il ritorno alla normalità, il Governo ha stabilito l'assegnazione di 25.000 rupie (circa 230 euro) come risarcimento alle famiglie vittime della guerra.
Il “Pakistan Christian Post” sottolinea che non ci sono registrazioni significative di profughi cristiani nei campi di accoglienza governativi. Sono appena 60 i gruppi familiari che hanno ottenuto lo status di rifugiati dal Governo, anche se ci sono “migliaia di profughi cristiani” accolti da familiari e amici e che corrono il rischio di non ricevere alcun compenso.
Nelle ultime settimane, l'agenzia AsiaNews ha denunciato la disparità di trattamento delle vittime cristiane della guerra, espulse dai campi profughi per la loro fede e sottoposte a numerose discriminazioni.
Per questo motivo la Caritas, la Chiesa cattolica in Pakistan e altre organizzazioni cristiane hanno avviato raccolte fondi e distribuzione di alimenti e generi di prima necessità per gli sfollati, di cui hanno beneficiato sia cristiani che musulmani.
Nazir S Bhatti, presidente del “Pakistan Christian Congress” (Pcc), ha espresso la sua “preoccupazione” per la disparità di trattamento e ha chiesto al Governo di “garantire il risarcimento anche ai profughi di fede cristiana”.
[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]