Il perdono, una tappa obbligata sulla via della riconciliazione

La riflessione dell’Arcivescovo Tomasi nell’Anno Internazionale della Riconciliazione

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ROMA, venerdì, 24 luglio 2009 (ZENIT.org).- Qualsiasi processo di riconciliazione che coinvolga popoli in conflitto o sia destinato al raggiungimento della stabilità sociale non può non alimentarsi del perdono e per questo una religione, come quella cattolica, può giocare un ruolo determinante.

E’ quanto scrive in sintesi l’Arcivescovo Silvano M. Tomasi, Osservatore permanente della Santa Sede presso l’Ufficio ONU a Ginevra, nell’articolo dal titolo “Riconciliazione: l’esperienza della Chiesa cattolica” apparso sul Bollettino dell’Osservatorio internazionale Cardinale Van Thuân (2/2009).

Nella sua riflessione, il presule parte dal testo della Risoluzione dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite (61/17) che ha proclamato il 2009 Anno Internazionale della Riconciliazione e che si richiama ai principi di giustizia e pacifica convivenza pur senza definirla.

“La riconciliazione – afferma da subito mons. Tomasi – non può avvenire nel vuoto”.

Infatti, spiega, “l’intera comunità internazionale deve svolgere un ruolo attivo nei processi di peacekeeping e di peacebuilding, di disarmo, di sviluppo sostenibile, di promozione e di difesa dei diritti umani all’interno della inalienabile dignità della persona umana, di democrazia, di stato di diritto e governance, tutte esigenze che aprono la strada alla riconciliazione”.

In particolare, aggiunge, per affrontare la riconciliazione tra avversari “la verità” e “la giustizia” devono essere viste come “indispensabili elementi se la riconciliazione deve portare ad una pace duratura”.

“Negli ultimi anni – scrive – è diventata chiara la consapevolezza che la riconciliazione è un impegno per la società civile, per le chiese e per i gruppi di volontari, per gli studiosi e le università”, perché “una pace duratura non può essere imposta”.

“Una parola non presente nella Risoluzione delle Nazioni Unite, eppure fondamentale per ogni concreta iniziativa di riconciliazione – osserva l’Arcivescovo Tomasi –, è perdono, la volontà di ripartire, di ristabilire relazioni interrotte e di guardare al futuro piuttosto che al passato”.

“Qui le radici religiose della riconciliazione assumono tutto il loro significato”, afferma perché “la parola riconciliazione stessa proviene dalla lunga tradizione della religione che afferma che il perdono può e dovrebbe reintegrare una persona nella comunità e una comunità nel più vasto organismo di tutti i credenti, e rende possibile il passaggio dalla comunità alla comunione”.

“Il cambiamento è implicito nella riconciliazione, e il perdono è un cambiamento profondo ed interiore della persona che la rende consapevole che anche le altre persone possono cambiare”, spiega.

Tra i primi passi che la Chiesa cattolica compie in iniziative di riconciliazione, il presule ha indicato quello di “fondare la riconciliazione nel cuore del messaggio evangelico (Dio riconcilia il mondo in Cristo) e condividere questa buona novella con il mondo mediante l’insegnamento e la liturgia”.

Da qui poi deriva “l’impegno quotidiano delle comunità ad accogliere e servire chiunque sia in stato di bisogno e strutturare questo impegno, in specifici momenti di crisi, attraverso forme di riconciliazione più formalizzate” e “l’azione occasionale diplomatica di mediazione e riconciliazione tra Stati”.

“Il legame che unisce queste varie forme di impegno – aggiunge il presule – è il fondamento comune su cui esse riposano, la fede che la famiglia umana è una sola ed ha un comune destino secondo il progetto di Dio”.

Un esempio in tal senso è stato il diretto coinvolgimento della Santa Sede nel 1978 – grazie soprattutto a Giovanni Paolo II – nei contrasti di frontiera tra Argentina e Cile relativi al possesso delle isole di Picton, Lennox e Nueva nel Canale di Beagle, che condusse ad una soluzione diplomatica e sventò lo scoppio di un conflitto.

A volte è invece la Chiesa locale a intervenire, come nel caso della Conferenza dei Vescovi cattolici della Colombia che ha guidato la Commissione Nazionale di Conciliazione, creata il 4 agosto 1995, al fine di raggiungere la pacificazione nel paese.

“Elemento chiave di questa politica – scrive mons. Tomasi – è la difesa e la promozione dei diritti umani e l’applicazione dei principi del diritto internazionale umanitario per i conflitti internazionali”.

Il cammino verso la riconciliazione riguarda tuttavia anche i paesi ricchi e tecnologicamente avanzati, “dove milioni di immigranti spingono la Chiesa a lavorare per l’integrazione, per l’accoglienza reciproca”, e dove si comprende che “la tolleranza non è sufficiente” e che la via da percorrere è quella del “rispetto” e dell’“amore”.

“Oggi il bisogno di riconciliazione come base per la pace è una urgente priorità”, sottolinea il presule, e “senza una vera riconciliazione, la guerra si ripresenterà con regolarità”.

Per questo, ricorda infine, “c’è la necessità di riflettere ulteriormente su tutto ciò ed elaborare una dottrina dello jus post bellum”, perché “circa la metà di tutti i paesi che escono da una guerra ricadono nella violenza entro cinque anni”.

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ZENIT Staff

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