La beatificazione di Newman per far risorgere l’Europa cristiana

Segno di contraddizione per la Modernità che rifiuta Dio

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di Paolo Gulisano

ROMA, mercoledì, 22 luglio 2009 (ZENIT.org).- John Henry Newman, nato in Inghilterra nel 1801 e morto nel 1890, uno dei più grandi pensatori cristiani degli ultimi secoli, convertito al Cattolicesimo, sarà presto annoverato tra i beati della Chiesa Cattolica. Si tratta di un avvenimento che lascerà il segno, e non solo nella Chiesa che è in Inghilterra, ma per tutta la Cristianità.

Newman nell’800 positivista e scientista che aveva cominciato a rifiutare Dio fu un segno di contraddizione che aveva scosso l’Inghilterra sia cattolica che protestante.

Da anglicano aveva dato vita al Movimento di Oxford, teso ad approfondire la ricerca teologica, specie nel campo della Patristica (la teologia del tempo in cui la Chiesa era ancora una e indivisa) e a confrontarsi con le sfide della modernità. Questa ricerca della verità lo aveva fatto infine approdare, quarantenne, al cattolicesimo. Un distacco, quello dall’anglicanesimo a vantaggio di Roma, che fece scalpore.

Peraltro, divenuto cattolico, non mancarono a Newman altre contrarietà se non ostilità. Il suo genio teologico, la sua grande libertà con cui anteponeva il primato della coscienza ad ogni semplicistico dogmatismo suscitarono invidie e sospetti. Anche nella stessa gerarchia non mancò chi giudicava Newman non sufficientemente “romano”, non abbastanza polemico nei confronti di quell’anglicanesimo che aveva lasciato.

Newman attraversò anche queste prove, sostenendo sempre che “diecimila difficoltà non fanno un dubbio, se io capisco bene la questione”.

L’ex grande protagonista della vita culturale di Oxford venne messo in disparte nella sua nuova chiesa, dove gli si rimproverava di non attuare abbastanza conversioni.“Per me le conversioni non erano l’opera essenziale, ma piuttosto l’edificazione dei cattolici”, scrisse.

Entrato a far parte della Congregazione di San Filippo Neri, si stabilì a Birmingham, fondandovi un Oratorio. Qui il grande pensatore, l’intellettuale brillante, si trovò accanto alla miseria degli slums, in una realtà ecclesiale dove pochi erano quelli che si erano potuti permettere un’istruzione, e proprio qui, e a partire da qui, la Grazia di Dio che era in lui cominciò a seminare a piene mani.

“Il vero trionfo del Vangelo- aveva scritto- consiste in ciò: nell’elevare al di sopra di sé e al di sopra della natura umana uomini di ogni condizione di vita, nel creare questa cooperazione misteriosa della volontà alla Grazia… I santi: ecco la creazione autentica del Vangelo e della Chiesa.”

Oggi la Chiesa indica proprio in Newman una di queste figure di santità. Che cosa significa la beatificazione di Newman nella realtà britannica ed anglosassone? Vuol dire riproporre ancora una volta un modello di santità fondato sulla sequela di Cristo.

Significa non rassegnarsi all’idea di un mondo che sembra totalmente secolarizzato, significa – per il mondo britannico- offrire una via d’uscita alla crisi gravissima dell’anglicanesimo. “La Chiesa Cattolica è per i santi e per i peccatori, per le persone rispettabili è sufficiente la Chiesa Anglicana”: così aveva scritto Oscar Wilde in procinto di convertirsi al Cattolicesimo.

Oggi la Chiesa Anglicana ha perso anche questo aplomb di rispettabilità formale: tra pastori smarriti che cercano di inseguire le varie mode ideologiche a vescovi che dichiarano pubblicamente di non credere nei fondamenti della Fede cristiana a reverende donne, in tutta questa confusione c’è una parte non trascurabile di fedeli anglicani che non si ritrovano più in questa chiesa, che tra l’altro alla morte della Regina Elisabetta II avrebbe formalmente come capo il panteista Carlo. La beatificazione di Newman potrebbe rappresentare un momento di riflessione per questo mondo anglicano smarrito.

La sua teologia, che quando era in vita appariva “liberale”, in realtà fu sempre profondamente sensibile alla tradizione e rispettosa dell’autorità magisteriale della Chiesa.

Le obiezioni cessarono quando fu elevato alla porpora cardinalizia da Leone XIII alla soglia degli ottant’anni, un riconoscimento dovuto per la sua opera e per la nobiltà della sua figura. Venne altresì nominato Fellow onorario del Trinity College di Oxford, un riconoscimento accademico straordinario, se si pensa che era dai tempi della Riforma, tre secoli prima, che un tale riconoscimento del massimo istituto accademico inglese non veniva più dato ad un cattolico.

Nonostante la mitezza, quasi la fragilità della sua persona. Il volto magro e solcato di rughe profonde in cui splendevano due occhi intrisi di ideale che avevano scrutato per anni in quella difficile Inghilterra dell’epoca vittoriana, John Henry Newman fu un apostolo e un profeta. Quando si spense a Birmingham nel 1890, la Chiesa cattolica in Inghilterra era in piena rifioritura, dopo tre secoli di persecuzione e emarginazione.

Newman lasciò il segno in generazioni di cattolici britannici, tra i quali numerosissimi convertiti. Tutta la grande cultura cattolica anglosassone gli è in qualche modo debitrice: senza Newman non avremmo avuto Chesterton, Belloc, Tolkien, Bruce Marshall e tanti altri ancora.

Il suo pensiero, la sua Fede coniugata alla Ragione sono più che mai attuali, e per questo motivo la sua beatificazione suscita in certi ambienti fastidio e irritazione. Il mondo anglosassone è veramente incredibile: mantiene sempre un impostazione puritana, e mentre da una parte promuove e diffonde la cultura del libertinismo sessuale, dall’altra appena la Chiesa cattolica prova a far emergere qualcosa di buono, bello e santo, trova il modo di attaccarla duramente.

Lo si è visto quando recentemente – proprio in vista del buon esito del processo di beatificazione – si è reso necessario riesumare il corpo di Newman, provocando così diverse reazioni, in particolare da parte della lobby omosessuale inglese, secondo cui egli non dovrebbe essere separato dal suo grande amico e collaboratore, padre Ambrose St John, insieme al quale Newman era stato sepolto, in accordo con le sue volontà testamentarie.

L’implicazione di tali proteste è chiara: Newman avrebbe voluto essere seppellito con il suo amico perché legato a lui da qualcosa di più di una semplice amicizia. Si adduca sostegno di questa tesi ciò che il cardinale scrisse alla morte di padre Ambrose, suo confratello nell’ordine oratoriano e stretto collaboratore:“Ho sempre pensato che nessun lutto fosse pari a quello di un marito o di una moglie, ma io sento difficile credere che ve ne sia uno più grande, o un dolore più grande, del mio”. In questa frase c’è semplicemente un riferimento al senso di una perdita, non certamente un’equiparazione di stato di vita.

Newman inoltre fu sempre un sostenitore decisissimo della castità e del celibato sacerdotale, tanto che lo definiva “uno stato superiore di vita, al quale la maggioranza degli uomini non possono aspirare”. I maliziosi hanno addirittura visto nel motto di Newman, cor ad cor loquitur, “il cuore parla al cuore”, un criptato riferimento ai suoi sentimenti per Padre Ambrose, ignorando grossolanamente che questa è un’espressione di san Francesco di Sales.

In realtà quella tra Newman e St. John fu la storia di una grande amicizia fondata sul comune amore per Cristo e la sua Chiesa. Quando Padre Ambrose morì, stava lavorando su indicazione di Newman alla traduzione di un testo teologico a sostegno del Dogma dell’infallibilità papale: una strana occupazione per una improbabile “coppia di fatto” ecclesiastica.

Ma la cultura libertina e pansessualista sembra non volere ammettere che possano esistere rapporti di amicizia puri, gratuiti: sembra che non riesca a concepire il bello morale che Cristo ha manifestato.

Anche per questo beatificare Newman è un segno della Chiesa per salvare e far risorgere l’Europa Cristiana. Su
lla sua tomba il grande convertito aveva voluto che fossero incise queste parole: Ex umbris et imaginibus ad veritatem. Andiamo verso la verità passando attraverso ombre e immagini. Questo è il destino dei cristiani nei nostri tempi difficili.

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ZENIT Staff

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