di Nieves San Martín
KINSHASA, mercoledì, 22 luglio 2009 (ZENIT.org).- Sono decine di migliaia le donne che hanno subito violenze nella Repubblica Democratica del Congo. Su questo problema, l’Arcivescovo di Kinshasa, monsignor Laurent Monsengwo Pasinya, ha esortato Governo e società a mobilitarsi.
Il dramma delle donne violate è stato al centro degli interventi non solo di monsignor Monsengwo, ma anche del segretario generale del Consiglio Mondiale delle Chiese (WCC), Samuel Kobia, in occasione di un incontro ecumenico svoltosi a Kinshasa, secondo quanto ha reso noto “L’Osservatore Romano”.
Sulla questione, l’Arcivescovo della capitale congolese ha affermato che “la fede cristiana condanna la violenza, qualunque sia la sua origine, poiché partecipa della malvagità di quei metodi che provocano direttamente la morte”.
“La violenza contro il sesso femminile contraddice l’armonia originale voluta da Dio tra l’uomo e la donna. La donna è stata donata all’uomo come un aiuto che gli fosse simile e una compagna della sua stessa natura, creata a immagine e somiglianza di Dio, ossia dotata della ragione e del libero arbitrio”, ha aggiunto.
Il presule ha sottolineato che “le violenze sono agli antipodi della cultura africana, in cui la donna è considerata come una madre e la cui missione è fortemente esaltata nella società, poiché la madre è fonte di vita. Le violenze perciò denotano una barbarie estranea alla visione cristiana e alla saggezza africana”.
“E’ fondamentale che le forze di Governo, la società civile, le organizzazioni di difesa dei diritti umani e le confessioni religiose si mobilitino”, ha concluso.
Dal canto suo, Samuel Kobia ha esortato le comunità ecclesiali a mettere al centro dell’attenzione la questione nei suoi molteplici aspetti, sottolineando che “relegano ancora la violenza nella sfera privata e la considerano soltanto dal punto di vista fisico”.
Il primo passo da compiere, ha osservato, è “quello di riconoscere che la violenza realmente esiste”.
“Questo significa affrontare il problema pubblicamente, nelle nostre comunità, nella nostra assemblea parlamentare e nelle nostre accademie”, ha rilevato.
Il WCC denuncia che molte donne vengono sequestrate e trattate brutalmente dalle bande di ribelli.
Secondo dati dell’ospedale di Panzi, a Bukavu, Sud Kivu, solo nel 2008 sono state 3.500 le donne assistite per i traumi subiti.
Il medico Christine Amisi, che lavora nell’ospedale, sottolinea: “Queste donne sono traumatizzate e noi continuiamo a domandarci che cosa possiamo fare per porre fine alla violenza”.
Cinque gruppi di delegati ecumenici del WCC hanno visitato il Paese nel contesto del programma di questo organismo “Living Letters”.
“Abbiamo ascoltato storie di donne con figli – ha ricordato Kobia – che non soltanto hanno patito la povertà, ma hanno anche pagato con la loro vita gli egoismi degli uomini violenti”.
“E mentre queste storie riecheggiano nelle nostre orecchie e il loro dolore fa sanguinare il nostro cuore, constatiamo ancora la miopia e forse la completa cecità delle nostre comunità nel riconoscere questa violenza”.
La Chiesa cattolica ha lanciato da tempo l’allarme per le violenze contro le donne congolesi.
In un rapporto della Commissione Giustizia e Pace dell’Arcidiocesi di Bukavu ci si riferisce a “una barbarie inimmaginabile della quale bisogna parlare perché a volte si ha più paura del silenzio dei buoni che della barbarie dei cattivi”.
“Le violenze contro le donne sono considerate come un modo d’infliggere la morte a un’intera comunità. È un modo di colpire al cuore stesso della comunità”.
Secondo il rapporto, l’area più colpita dai crimini è quella di Walungu, nel distretto di Kaniola.