Uganda: la pace, finalmente

La Chiesa cattolica aiuta gli sfollati a ricominciare a vivere

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KÖNIGSTEIN, lunedì, 20 luglio 2009 (ZENIT.org).- Il rettore del seminario maggiore di Alokolum, nel nord dell’Uganda, monsignor Cosmas Alule, ha informato l’associazione cattolica internazionale Aiuto alla Chiesa che Soffre (ACS) che il campo di sfollati nato durante la guerra civile intorno al seminario si sta svuotando, perché circa l’80% dei rifugiati è già tornato nei luoghi d’origine.

Un comunicato inviato dall’associazione a ZENIT spiega che il secondo il sacerdote, nonostante si debba ancora firmare l’accordo di pace definitivo tra il Governo ugandese e i ribelli dell’Esercito di resistenza del Signore (LRA, dalle iniziali in inglese), la guerra civile iniziata nel 1988 è finalmente terminata e la situazione è sempre più stabile.

Il rettore sottolinea che la Chiesa continua ad affrontare sfide frutto del conflitto. I futuri sacerdoti del seminario di Alokolum, che durante la guerra civile hanno convissuto a stretto contatto con gli sfollati, assistendoli a livello umano e sociale, continuano ad occuparsene, recandosi nei villaggi e aiutando quanti ci sono appena tornati a cominciare una nuova vita, ad esempio insegnando nelle scuole.

Monsignor Alule spiega che molti alunni sono cresciuti nei campi di sfollati, senza conoscere altri tipi di vita, e per questo hanno problemi di condotta e non hanno imparato ciò che significano sforzo, disciplina e rispetto del prossimo e delle cose altrui.

Anche gli adulti devono affrontare molti problemi, avverte: nei campi hanno infatti dimenticato come guadagnarsi da vivere, e tutta una generazione è cresciuta senza sapere ciò che vuol dire avere una vita normale. Il rettore segnala che in questo settore gli anziani svolgono un ruolo molto importante, perché hanno mantenuto i valori tradizionali e possono trasmetterli ai giovani.

Un altro problema è il trauma che continua a ossessionare molti che hanno visto violentare le proprie madri, sorelle e donne, sequestrare i bambini o compiere stragi. Per aiutarli, gli evangelizzatori ricevono una formazione speciale in un centro creato a questo scopo dalla Diocesi di Gulu.

Monsignor Alule ha spiegato che la Chiesa è in questo momento “l’unica istituzione in Uganda a godere ancora di fiducia tra la popolazione”, perché anche nei momenti più difficili è rimasta al lato di quanti soffrivano.

Il fatto di mantenere il seminario maggiore ad Alokolum anziché trasferirlo in una zona più sicura, ad esempio, è stato frutto di una decisione consapevole, che il rettore ha definito “profetica” perché altrimenti i fedeli avrebbero potuto avere l’impressione che la Chiesa abbandonava i bisognosi per mettersi in salvo.

“Il fatto che la Chiesa abbia condiviso gioie e pene con la gente è stato un segno importante per il futuro”, ha dichiarato.

Nel seminario maggiore di Alokolum studiano giovani provenienti da tutta l’Uganda. Monsignor Alule segnala che quelli che non appartengono alla Diocesi di Gulu sapevano ciò che facevano quando hanno deciso di studiare in questa regione colpita dalla guerra civile. Secondo il rettore, nessuno dei seminaristi è uscito indenne, e alcuni sono traumatizzati.

Ad ogni modo, si è potuto verificare che proprio questi uomini si dimostrano particolarmente sensibili e comprensivi nella pastorale rivolta alle persone che hanno vissuto le stesse esperienze. Molti di questi futuri sacerdoti sono nati nei campi di rifugiati, e alcuni sono anche stati vittime di sequestri.

Il numero delle vocazioni, spiega il rettore, è in aumento, motivo per il quale il seminario maggiore sta diventando troppo piccolo per accogliere tutti i giovani. Nell’ultimo anno accademico i futuri sacerdoti erano 163, nel nuovo saranno 206.

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ZENIT Staff

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