I cattolici devono capire il funzionamento dei media

L’Arcivescovo di Denver e il “quarto potere”

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COLORADO SPRINGS (Colorado, Stati Uniti), lunedì, 20 luglio 2009 (ZENIT.org).- I mezzi di comunicazione hanno un’enorme influenza nella formazione dell’opinione pubblica, ed è urgente che i cattolici comprendano come funziona l’informazione e chi lavora dietro le quinte, afferma monsignor Chales Chaput.

L’Arcivescovo di Denver (Stati Uniti) lo ha dichiarato una settimana fa in un discorso rivolto a Legatus, un’organizzazione di uomini d’affari cattolici, sul tema “I cattolici e il ‘quarto potere’”, riferendosi a una definizione coniata in tempi rivoluzionari. A quell’epoca, in Francia, i tre pilastri della società – i nobili, il clero e il popolo – venivano chiamati i tre “poteri” della società francese.

“I media nordamericani hanno un enorme potere di formare opinione”, ha osservato monsignor Chaput. “Per questo è fondamentale per i cattolici comprendere come lavorano i media, soprattutto quando lavorano su di noi”.

“La maggior parte di ciò che sappiamo del mondo proviene da gente che non incontreremo mai e che, in realtà, non comprendiamo”, ha spiegato. “Non pensiamo mai a loro come individui, ma in genere ne parliamo come di una collettività – ‘i media’ o ‘la stampa’”.

“Malgrado questo, dietro a un editoriale del Los Angeles Times o a una trasmissione di Fox News ci sono esseri umani con opinioni e pregiudizi personali. Queste persone selezionano e inquadrano le notizie. E quando leggiamo i loro articoli o seguiamo i loro programmi televisivi ci ‘immergiamo’ in loro con una sorta di intimità intellettuale”.

Anche se “questa non è necessariamente una pratica sbagliata”, ha rilevato, bisogna essere consapevoli di chi sta dietro alle notizie.

“In genere sappiamo molto poco della persona che scrive un editoriale senza firma o di chi crea le notizie di notte”, ha dichiarato l’Arcivescovo. “Bisogna parlare di loro, perché in una società dell’informazione le persone che la producono controllano la conversazione pubblica”.

Definendo i media e le tecniche che impiegano una “sorta di ‘imperialismo dolce’”, il presule ha constatato che “la maggior parte di noi definisce le ‘notizie’ in base a ciò che riceve più attenzione da parte di una manciata di media importanti”.

“Il potere dei media di formare l’opinione pubblica è ciò che rende fondamentale per noi il fatto di comprendere il loro elemento umano”, sostiene monsignor Chaput. “Se non riconosciamo la chimica personale degli uomini e delle donne che ci portano le notizie – i loro punti di vista culturali e politici, le loro pressioni economiche, le loro ambizioni sociali –, sbagliamo inquadrando i media in uno standard troppo basso. Sbaglieremo anche non pensando e agendo come cittadini intelligenti, il che è molto più importante”.

Pensare poco

Monsignor Chaput ha anche parlato di come Internet e le emittenti di notizie 24 ore via cavo abbiano cambiato in modo fondamentale non solo il ciclo di notizie, che in genere era caratterizzato dalle edizioni del mattino e del pomeriggio di un quotidiano, ma anche il modo in cui la società consuma le notizie stesse.

“Negli ultimi 50 anni, la nostra cultura è scivolata dalla stampa alle comunicazioni visive, che puntano molto più alla sensazione e al consumo passivo”, afferma. “Ciò ha conseguenze. Quando muore una cultura stampata, le idee, le istituzioni e anche le abitudini di comportamento pubblico costruite su questa cultura iniziano a indebolirsi”.

“I media visivi ed elettronici, quelli dominanti al giorno d’oggi, hanno bisogno di un certo tipo di contenuti. Prosperano con la brevità, la velocità, il cambiamento, l’urgenza, la varietà e i sentimenti. Ma pensare richiede il contrario, serve tempo. C’è bisogno di silenzio e delle abitudini metodiche della logica”.

Pur riconoscendo i vantaggi dell’accesso a più informazioni, monsignor Chaput lamenta il fatto che la tecnologia abbia “minato la disciplina intellettuale che avevamo quando i nostri strumenti di comunicazione principali erano i libri e le pubblicazioni stampate. Questo non è positivo per lo sviluppo. E’ infatti assai pericoloso in una democrazia, che è una forma di governo che per sopravvivere richiede maturità intellettuale e morale da parte dei cittadini”.

Anche se non esorta la gente ad abbandonare computer, telefoni cellulari o altri dispositivi della nuova tecnologia, l’Arcivescovo chiede di tenere a mente che “il progresso materiale non è mai una pura benedizione”.

“Dà e toglie”, ha rimarcato. “E ha sempre conseguenze non intenzionali, il che significa che è necessario essere più – e non meno – attenti sul modo in cui ci formano i nostri media, e su come la loro influenza modella il contenuto della nostra vita pubblica”.

Comprendere il senso

La seconda preoccupazione sottolineata dall’Arcivescovo Chaput è il fatto che i media abbiano perso la direzione al momento di coprire le storie con lo “spirito certo”.

Lo spiega ricordando che la stampa ha un ruolo importante nell’ordine pubblico del Nordamerica: “La stampa è l’unico settore, oltre alla religione, che viene citato esplicitamente per la sua difesa nel Primo Emendamento. Thomas Jefferson, durante la sua presidenza, parlava dell’importanza di una stampa libera in questo modo: ‘Nessun esperimento può essere più interessante di ciò che abbiamo tra le mani, e pensiamo che finirà per stabilire il fatto che l’uomo si può governare con la ragione e la verità. Il nostro primo obiettivo, quindi, dovrebbe essere lasciare aperte tutte le vie per la verità. La più efficace trovata finora è la libertà di stampa’”.

L’Arcivescovo definisce le parole di Jefferson “incisive, perché la sua difesa di una stampa libera sottolinea che la libertà è un mezzo e non un fine in sé. Sottolineano ciò che egli definisce l’obiettivo della libertà di stampa: la ragione e la verità necessarie per l’autogoverno”.

“Nella nostra epoca, il mondo dei media – anche quando dibatte temi seri – è in genere meno interessato alla ragione e alla verità che a quelli che Christopher Lasch definiva ‘gesti ideologici’; in altre parole, i motti e gli slogan pensati per conformare il nostro pensiero anziché promuoverlo”.

“I mezzi di comunicazione, nonostante i loro proclami di imparzialità e il buon lavoro che svolgono in genere, sono propensi al pregiudizio, all’ignoranza, alle cattive abitudini e alla parzialità come ogni altra professione”, afferma. “Contrariamente alle altre professioni, però, la stampa ha protezioni costituzionali. Ha anche un vero potere per modellare il modo in cui pensiamo, cosa pensiamo e cosa vogliamo, non vogliamo e ignoriamo”.

“I mezzi di comunicazione nordamericani, inclusi i nuovi media, sono il sindacato catechetico più grande della storia. E se questa classe di potere non ci fa stare inquieti, dovrebbe almeno tenerci sempre allertati”.

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ZENIT Staff

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