Il significato dell'eredità di Giovanni Calvino

A cinque secoli dalla sua nascita

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ROMA, venerdì, 17 luglio 2009 (ZENIT.org).- Riportiamo di seguito un articolo di Pawel Andrzej Gajewski, Pastore della Chiesa evangelica valdese di Firenze, apparso sul tredicesimo numero di Paulus (luglio 2009), dedicato al tema “Paolo l’architetto”.

 

 

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La teologia di Giovanni Calvino è solitamente identificata con la dottrina della doppia predestinazione (Dio ha diviso l’umanità intera in eletti e reprobi) e con un forte rigore morale che deriva da tale dottrina. Non vi sono dubbi che la dottrina della predestinazione e una visione morale della vita cristiana, basata sul continuo confronto con la parola di Dio, siano le colonne portanti del sistema teologico elaborato dal riformatore di Ginevra. Ma chi era Calvino e qual è il significato della sua eredità oggi? Egli era prima di tutto un attento esegeta delle sacre Scritture nonché un ottimo organizzatore della vita ecclesiastica. In questo senso, vorrei definirlo come seguace e interprete dell’apostolo Paolo. Una coincidenza particolarmente favorevole stimola tale approccio: l’Anno Paolino 2008/2009 celebrato nella Chiesa cattolica romana coincide con l’Anno di Calvino 2009, proclamato dall’Alleanza Riformata Mondiale. Questo organismo ecumenico riunisce più di ottanta milioni di credenti cristiani che leggono attentamente le Lettere di Paolo, considerando il pensiero di Giovanni Calvino un punto di riferimento assai importante per il confronto con le sfide del mondo di oggi.

Alla scuola delle Scritture ebraiche

La teologia o è biblica o non è teologia. Sembra che questa frase abbia molti padri, veri o presunti. In ogni caso, il suo contenuto è assai pertinente all’opera di Calvino. Sfogliando una qualunque rassegna bibliografica dei suoi scritti, scopriamo che la stragrande maggioranza delle opere pubblicate a stampa consiste in commentari biblici e raccolte delle predicazioni. Bisogna aggiungere che le predicazioni di Calvino si contano a migliaia (mediamente sei, sette sermoni ogni settimana); una parte di esse non è stata ancora censita e pubblicata. L’approccio di Calvino alle Scritture si basa su due semplici presupposti: la sostanziale unità dell’Antico e del Nuovo Testamento (o meglio: del Primo e del Secondo Testamento) e la centralità di Gesù Cristo per entrambi i Testamenti. In altre parole, per Calvino le Scritture ebraiche parlano chiaramente di Gesù Cristo. Questo particolare tratto della sua ermeneutica lo mette in diretto collegamento con l’apostolo Paolo. Tale collegamento si rende ancora più evidente quando consideriamo l’attenzione al senso letterale e al testo originale delle Scritture. Entrambi però, sia Paolo che Calvino, sono attenti alla contestualizzazione della rivelazione. In altre parole, Dio si rivela nella storia attraverso i linguaggi umani dell’epoca. I credenti delle epoche successive sono dunque chiamati a distinguere le forme linguistiche e retoriche dall’essenza del messaggio. Questo pensiero è espresso in maniera assai chiara all’inizio della Lettera agli Ebrei, uno scritto postpaolino in cui però il principio basilare dell’ermeneutica di Paolo compare a modo di preambolo: «Dio, dopo aver parlato anticamente molte volte e in molte maniere ai padri per mezzo dei profeti, in questi ultimi giorni ha parlato a noi per mezzo del Figlio» (Eb 1,1-2a). Nell’insieme dell’opera esegetica di Calvino merita una particolare attenzione la sua riflessione sui capitoli 9-11 della Lettera ai Romani, contenuta nel Commentario a questo scritto di Paolo. Calvino afferma con forza la validità dell’elezione e il ruolo particolare degli ebrei nel divino piano della salvezza di tutti i popoli. Senza alcun dubbio la celebre frase di Paolo in Romani 11,2 – «Dio non ha ripudiato il suo popolo, che ha riconosciuto già da prima» – costituisce uno dei cardini della riflessione di Calvino. In essa la Chiesa non sostituisce il Popolo d’Israele, bensì s’inserisce in una dinamica di continuità: «Chiesa d’Israele» e «Chiesa di Gesù Cristo» sono due espressioni usate assai spesso da Calvino. La coesistenza storica dei due popoli, dunque, fa parte del piano di Dio.

Vivere in Cristo

Se l’esegesi di Giovanni Calvino può essere definita cristocentrica, lo è ancor di più l’intero impianto teologico ed etico da lui costruito. Il centro di questo impianto è l’Istituzione della religione cristiana, una delle più importanti sintesi della dottrina cristiana, la cui struttura si basa su quella del Credo apostolico. La prima edizione di quest’opera risale al 1536; la quarta, che è anche la più ampia, al 1559. Una buona parte dell’opera è dedicata alla cristologia. In questa riflessione Calvino si concentra in particolare sull’incarnazione dell’eterno Figlio di Dio. Anche in questa riflessione Calvino segue le orme di Paolo, costruendo la sua riflessione su un’accurata analisi dei testi biblici. L’Istituzione della religione cristiana dimostra la piena adesione di Calvino al paradigma dogmatico affermato dal Concilio di Calcedonia (451) a proposito dell’unione ipostatica delle due nature, divina e umana, nella stessa persona del Figlio di Dio. Il metodo di Calvino, di fatto, sottopone però il dogma al vaglio della Scrittura e non viceversa. Un forte legame tra Calvino e Paolo si manifesta tuttavia sul piano esistenziale, nella determinazione di Calvino di anteporre Gesù Cristo al nostro pensare e al nostro vivere. Egli afferma: «Anche se ci separiamo di poco da Cristo, la salvezza svanisce […], dove il nome di Cristo non risuona, ogni cosa diviene stantia» (Istituzione II,16,1). Calvino chiede che s’intraveda Cristo in ogni persona. Al cuore di questa visione c’è un impegno compassionevole in favore dell’amore, della giustizia, della cura responsabile e dell’ospitalità verso «le vedove, gli orfani e gli stranieri» coloro che sono indifesi, senza patria, affamati, soli, costretti al silenzio, traditi, impotenti, malati, spezzati nel corpo e nello spirito. È una visione particolarmente incisiva per la missione della Chiesa di Gesù Cristo in questo nostro mondo globalizzato e diviso al tempo stesso.

La Chiesa di Gesù Cristo

Nella prospettiva teologica di Calvino esposta nel quarto libro dell’Istituzione della religione cristiana, la Chiesa dipende interamente dalla presenza del Cristo vivente tramite la forza dello Spirito di Dio. Così avviene la comunione degli “amanti di Cristo” sia nella dimensione invisibile, sia in quella visibile. Calvino parla sempre della Chiesa visibile, e del suo ministero della parola e del sacramento (battesimo e cena del Signore), come di una comunità di credenti entro la quale la fede è nata, è stata nutrita e rafforzata tramite l’azione dello Spirito Santo. Lo stesso Spirito Santo ci unisce a Cristo, ispirandoci nella nostra comprensione della parola di Dio, illuminandoci e consacrandoci nella fede e raccogliendoci dentro la comunione della Chiesa. Il tratto particolare dell’ecclesiologia “pratica” di Calvino è l’organizzazione collegiale, in cui il ministero del vescovo viene esercitato da un organo comunitario (concistoro o sinodo). Allo stesso modo, nella comunità locale, la molteplicità dei ministeri (pastori/dottori, anziani/presbiteri e diaconi) posti sullo stesso piano sostituisce la centralità del ministero di un parroco. Si tratta indubbiamente di un’applicazione concreta dell’affermazione di Paolo: «Dio ha posto nella chiesa in primo luogo degli apostoli, in secondo luogo dei profeti, in terzo luogo dei dottori, poi miracoli, poi doni di guarigioni, assistenze, doni di governo, diversità di lingue» (1Cor 12,28). Questa definizione di Paolo è ancora oggi oggetto di attenti studi anche nelle chiese pentecostali. In ogni caso, la collegialità e la molteplicità dei ministeri come basi dell’organizzazione ecclesiastica sono oggi un patrimonio comune di
tutte le chiese evangeliche. Concludendo queste note, ancora una domanda: è possibile trarre da Calvino qualche ispirazione ecumenica? Credo che la riposta debba essere affermativa. Il cospicuo e appassionato impegno di Calvino a favore dell’unità del corpo di Cristo si è giocato all’interno di una realtà ecclesiastica già frammentata. Nel mezzo della divisione egli ha riconosciuto l’unico Signore dell’unica Chiesa, sottolineando più volte che il corpo di Cristo è uno. Il pensiero di Calvino circa la natura della comunità cristiana, la sua volontà di compiere mediazioni per quanto riguarda questioni controverse, quali la Cena del Signore e gli instancabili sforzi di costruire ponti a ogni livello della vita della Chiesa, rappresentano una sfida per l’oggi. Calvino stimola le chiese a comprendere le cause della loro continua separazione e, in accordo con la Scrittura, a tendere verso l’unità per amore della credibilità del vangelo nel mondo di oggi.

Pawel Andrzej Gajewski

Pastore della Chiesa evangelica valdese di Firenze

 

BOX: Tra ansia riformatrice e aspri conflitti

Giovanni Calvino (Jehan Cauvin) nacque il 10 luglio 1509 a Noyon in Piccardia (Francia). Studiò filosofia, teologia, giurisprudenza e lettere a Noyon, Parigi e Orléans. Nel luglio 1536 pubblicò la prima edizione della sua celebre opera Istituzione della religione cristiana, iniziando la prima fase della sua opera riformatrice a Ginevra in un rapporto di stretta collaborazione con Guglielmo Farel, conclusasi nel 1538. L’anno 1541 vide Calvino di nuovo a Ginevra particolarmente impegnato a redigere due scritti di carattere pastorale: il Trattato della Santa Cena di Nostro Signore Gesù Cristo e le Ordonnances ecclésiastiques, entrambi fondamentali per il sistema organizzativo e giuridico della Chiesa di Ginevra. Nello stesso anno, fu data alle stampe anche la versione francese dell’Istituzione. Nel 1542 Calvino pubblicò, inoltre, il Catechismo della Chiesa di Ginevra e il Formulario delle preghiere e dei cantici ecclesiastici. La vita di Calvino a Ginevra fu segnata da una serie di aspri conflitti con i suoi oppositori politici e anche da una strenua battaglia per la purezza della dottrina cristiana che trovò il suo drammatico apice nella condanna a morte del teologo e medico Michele Serveto, accusato di eresia antitrinitaria e quindi arso al rogo nel 1553. Nel 1559 l’opera riformatrice di Calvino raggiunse il suo culmine, segnato dalla fondazione dell’Accademia di Ginevra e dalla successiva pubblicazione della quarta (la più ampia) edizione dell’Istituzione. Consumato da un intenso lavoro, Giovanni Calvino morì il 27 maggio 1564.

p.a.g.

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ZENIT Staff

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