La Santa Sede chiede più cooperazione mondiale in campo sanitario

Nel mondo globalizzato, “anche la malattia e i virus non hanno confini”

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di Roberta Sciamplicotti

GINEVRA, martedì, 14 luglio 2009 (ZENIT.org).- In un mondo sempre più globalizzato in cui “anche la malattia e i virus non hanno confini”, è necessaria una maggiore cooperazione per assicurare a tutti l’assistenza sanitaria per il benessere dell’intera umanità.

E’ quanto ha affermato l’Arcivescovo Silvano M. Tomasi, Osservatore Permanente della Santa Sede presso l’Ufficio delle Nazioni Unite ed Istituzioni Specializzate a Ginevra, intervenendo il 9 luglio davanti al Segmento di Alto Livello del Consiglio Economico Sociale dell’ONU (ECOSOC) nella città svizzera.

La crisi economica e finanziaria “provocata dall’avidità e dalla mancanza di responsabilità etica”, ha osservato il presule, è esacerbata anche dalla nuova influenza A-H1N1, che ha già raggiunto le dimensioni di una pandemia, e dalla crisi globale di sicurezza alimentare, che mette in pericolo la vita di milioni di esseri umani, soprattutto nei Paesi più poveri del mondo, dove si soffre già la malnutrizione cronica.

In questo contesto, la delegazione della Santa Sede nota “con profonda preoccupazione” le previsioni della Banca Mondiale per cui durante il 2009 altri milioni di persone in tutto il mondo, da 53 a 65, entreranno nel novero dell’estrema povertà, mentre quanti soffrono cronicamente la fame supereranno il miliardo, 800 milioni dei quali “in zone rurali in cui il sistema sanitario pubblico è debole e servono urgentemente iniziative sanitarie innovative”.

I poveri e gli affamati, sostiene monsignor Tomasi, rischiano maggiormente di contrarre malattie da contatto e malattie croniche. Se subiranno i tagli degli aiuti internazionali o se ci sarà un aumento delle persone che richiederanno cure, inoltre, “i già fragili sistemi sanitari pubblici dei Paesi in via di sviluppo non sapranno rispondere adeguatamente alle necessità sanitarie dei cittadini più vulnerabili”.

“Ancor più che un’espressione di solidarietà, è una questione di giustizia il fatto di vincere la tentazione di ridurre i servizi pubblici per un beneficio a breve termine contro il costo umano a lungo termine”, ha osservato l’Arcivescovo.

“Sulla stessa linea, gli aiuti allo sviluppo dovrebbero essere mantenuti e anzi aumentati come fattore fondamentale per rinnovare l’economia e portarci fuori dalla crisi”, ha aggiunto.

Un ostacolo fondamentale che impedisce di raggiungere gli obiettivi previsti a livello internazionale nel sistema sanitario pubblico, ha proseguito, è rappresentato dalle “disuguaglianze tra Paesi e all’interno dello stesso Paese, e tra gruppi etnici e razziali”.

“In molte regioni, purtroppo, le donne continuano a ricevere un’assistenza sanitaria di qualità inferiore”, ha denunciato monsignor Tomasi.

Nel settore sanitario, la Chiesa cattolica è particolarmente attiva, sostenendo 5.378 ospedali, 18.088 cliniche, 15.448 case per anziani e disabili e altri programmi sanitari in tutto il mondo, “principalmente nelle zone più isolate ed emarginate e tra persone che hanno raramente accesso all’assistenza sanitaria”.

Nonostante l’eccellente lavoro svolto, tuttavia, “le organizzazioni basate sulla fede non ricevono una parte equa delle risorse destinate a sostenere le iniziative sanitarie globali, nazionali e locali”.

Monsignor Tomasi ha osservato che il semplice controllo quantitativo degli aiuti e la moltiplicazione delle iniziative sanitarie possono non essere sufficienti ad assicurare “la salute per tutti”, riconoscendo che “l’accesso all’assistenza sanitaria di base e ai medicinali salvavita è fondamentale per migliorare la salute globale e per promuovere una risposta globale condivisa alle necessità basilari di tutti”.

“In un mondo sempre più interdipendente, anche la malattia e i virus non hanno confini, e quindi una maggiore cooperazione globale diventa non solo una necessità pratica, ma soprattutto un imperativo etico di solidarietà”.

In questo settore, ha rilevato, il principio guida deve essere “il rispetto e la promozione del diritto alla vita dal concepimento alla morte naturale per tutti, indipendentemente da razza, disabilità, nazionalità, religione, sesso e status socio-economico”.

“Fallire nel porre la promozione della vita al centro delle decisioni sanitarie porterà a una società in cui il diritto assoluto di un individuo all’assistenza sanitaria di base e alla vita potrebbe essere limitato dalla possibilità di pagare, dalla qualità della vita percepita e da altre decisioni soggettive che sacrificano la vita e la salute in cambio di vantaggi sociali, economici e politici a breve termine”.

Per queste regioni, la delegazione della Santa Sede ha richiamato l’attenzione sulla necessità di soluzioni che trascendano il mero aspetto finanziario per far fronte alle sfide poste dalla crisi economica e assicurare l’accesso universale all’assistenza sanitaria.

“E’ necessario un approccio etico allo sviluppo, che implica un nuovo modello di sviluppo globale centrato sulla persona umana più che sul profitto, e che tenga conto delle necessità e delle aspirazioni dell’intera famiglia umana”, ha concluso il presule.

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ZENIT Staff

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