Per i bambini soldato c'è una speranza

Una delegazione ONU ringrazia Benedetto XVI

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di Edward Pentin

ROMA, lunedì, 13 luglio 2009 (ZENIT.org).- E’ stata definita la schiavitù peggiore ed è presente ancora oggi: bambini usati come soldati, probabilmente 250.000 in tutto il mondo, costretti ad uccidere, a volte i loro stessi genitori, fratelli e amici.

Alcune settimane fa, Benedetto XVI ha riconosciuto l’opera di quanti cercano di porre fine a questa orribile piaga e aiutano i bambini a tornare a una vita normale. Al termine dell’udienza generale settimanale del 24 giugno, ha espresso il suo “vivo apprezzamento” per l’impegno di una delegazione dell’ONU che lotta contro l’utilizzo dei bambini come combattenti.

“Penso a tutti i bambini del mondo, in particolare a quelli che sono esposti alla paura, all’abbandono, alla fame, agli abusi, alla malattia, alla morte. Il Papa è vicino a tutte queste piccole vittime e li ricorda sempre nella preghiera”, ha affermato il Pontefice.

Secondo la Coalizione per Fermare l’Utilizzo di Bambini Soldato, una coalizione di organizzazioni per i diritti umani, anche se molti bambini sono stati liberati dopo le guerre che sono terminate ultimamente, altre migliaia di loro sono state spinte in nuovi conflitti come quelli in Costa d’Avorio, Sudan, Ciad, Colombia, Repubblica Democratica del Congo e Myanmar.

Bambini di anche cinque anni sono addestrati non solo all’uso delle armi, ma anche alla collocazione di mine ed esplosivi, come spie o sentinelle, postini o guardie. Possono anche essere costretti a svolgere funzioni logistiche o di sostegno, e molte ragazze sono costrette alla schiavitù sessuale. La maggior parte di loro è nutrita in modo insufficiente e ha poca protezione o nessuna. Anche quando vengono liberati, in genere sono stigmatizzati quando tornano a casa e non vengono accettati dalla comunità.

Nonostante questo, c’è speranza per quanti sopravvivono e riescono a fuggire. Secondo le Nazioni Unite, in gran parte grazie all’opera delle comunità religiose e soprattutto della Chiesa cattolica hanno accesso a cibo e protezione, e vengono aiutati a riabilitarsi e a reintegrarsi.

Radhika Coomaraswamy, rappresentante del Segretario Generale dell’ONU per i bambini e i conflitti armati, ha affermato che in parte era andata in Vaticano per ringraziare personalmente Benedetto XVI per l’opera che la Chiesa svolge in questo campo.

La Chiesa, ha dichiarato in una conferenza stampa a Roma il 24 giugno, sta compiendo un “lavoro enorme” per aiutare questi bambini. Attraverso le sue estese reti, ha ricordato, sta creando una consapevolezza attraverso l’istruzione e atti come il “sistema di allerta preventivo” per aiutare a difendere i bambini e impedire che siano rapiti.

Nel corso della conferenza stampa, che si è svolta presso la Comunità di Sant’Egidio, che sostiene la riabilitazione dei bambini-soldato, ha parlato anche Grace Akallo, 29 anni, ex bambina-soldato dell’Uganda. Grazie all’operato della Chiesa, è riuscita ad avere una nuova vita dopo essere stata portata via dalla sua scuola cattolica e trasferita in Sudan, dov’è stata costretta a sposarsi, le è stato insegnato l’uso delle armi e ha incontrato altri bambini che erano stati obbligati ad uccidere familiari e amici.

Ha riacquistato la libertà ed è riuscita a riabilitarsi grazie alla sua direttrice, una monaca, ed è entrata all’università dell’Uganda. Attualmente studia negli Stati Uniti.

“Ciò di cui questi bambini hanno bisogno è soprattutto amore e accettazione, perché la maggior parte della società li rifiuta”, ha affermato la Akallo, sottolineando l’importanza della “prevenzione e protezione” per questi piccoli. L’educazione della società è fondamentale, ha aggiunto, ricordando che tornando a casa lei stessa era “espulsa dagli autobus, insultata e a volte colpita alla testa perché credevano che avessi commesso dei crimini”.

E’ intervenuta anche suor Rosemary Nyerumbe, del Sacro Cuore, che dirige un centro per ex bambini-soldato in Uganda. “Abbiamo tutti la responsabilità e il dovere di ripristinare la dignità e l’innocenza di questi bambini”, ha dichiarato. “Puoi aprire la porta della tua casa, ma la cosa più importante che puoi fare è aprire la posta del tuo cuore e arrivare fino a questi bambini”.

[Traduzione dallo spagnolo di Roberta Sciamplicotti]

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ZENIT Staff

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